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aprile-maggio 2013 1
aprile-maggio 2013 33
Percorsi di cambiamento verso
una società sostenibile
È appena arrivata in Italia, dove soggiornerà per i prossimi quattro mesi. Intervista
a Simran Sethi, giornalista, docente e consulente strategica sulle tematiche della
sostenibilità e della giustizia ambientale
Valeria Verga
I
ncontro Simran in una splendida giornata ro-
mana di fine maggio. L’appuntamento è all’ho-
tel in cui soggiorna. Mi accoglie nel giardino
dove gli ospiti possono consumare la propria
colazione su comode panche all’ombra di al-
beri. Il posto è molto gradevole, anche se non riu-
scirà a isolare la nostra conversazione dal rumore
del traffico.
Simran è una donna solare e molto intelligente che
mi mette subito a mio agio nonostante il mio ingle-
se non sia dei migliori. Ci sediamo e cominciamo
a chiacchierare. Abbiamo bisogno di scaldarci un
po’ prima che io affidi l’esatta comprensione del
suo discorso al registratore.
Le spiego che mi occupo di fonti rinnovabili e che
mi piacerebbe capire quali sono le barriere non
economiche che frenano la loro diffusione e, più in
generale, quella di azioni, comportamenti e scelte
improntate alla sostenibilità. Ciò che mi interessa
è portare l’attenzione non tanto sulle barriere eco-
nomiche e politiche – su cui si scrivono e leggono
articoli tutti i giorni – ma su quelle culturali e psi-
cologiche, più nascoste e meno evidenti. Che cosa,
mi chiedo, ci impedisce di investire i nostri soldi
in un impianto a fonti rinnovabili o nell’efficien-
tamento termico delle nostre case, invece che in
un televisore a schermo piatto o in un’auto super
accessoriata?
La nostra vita è fatta di scelte quotidiane e, nono-
stante si parli sempre più di sostenibilità, di ecolo-
gia, di cambiamenti climatici, di giornate a targhe alterne, di eco-pass, di polveri sottili,
di sacchetti biodegradabili, di OGM, sembrano esserci ancora molte resistenze a un reale
cambiamento di paradigma. Ed è per questo che ho deciso di rivolgermi a Simran Sethi
che su queste tematiche si è molto focalizzata soprattutto negli ultimi anni.
»» Simran, prima di tutto vorrei che ci spiegassi meglio di cosa ti occupi…
«Sono una giornalista e sono interessata alle persone e a come interagiscono con il pro-
prio ambiente. Non mi pongo l’obiettivo di salvare quell’albero o una particolare specie
animale, quello che mi interessa è fare in modo che i membri di una comunità imparino a
prendersi cura l’uno dell’altro e dell’ambiente in cui vivono.
Oltre a insegnare giornalismo all’Università del Kansas, nel Midwest (USA), scrivo sui
temi della sostenibilità e della green economy. Mi occupo in particolare di giustizia am-
bientale, narrando le storie di persone la cui salute è minacciata o compromessa da un
uso distorto o da un vero e proprio abuso delle risorse naturali; o di comunità, già povere,
ulteriormente impoverite – economicamente, socialmente e dal punto di vista della loro
integrità fisica – da attività produttive/economiche inquinanti.
Intervista
pp Simran Sethi
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Quello che veramente mi interessa nel raccontare queste storie non è la semplice denuncia
ma capire, e far capire, come si può cambiare, cosa induce in noi e nella società il cambia-
mento, il passaggio a nuovi paradigmi e a modi di essere e di vivere meno nocivi e meno
impattanti sulla nostra salute e sull’ambiente. Considero, infatti, assurdo che si continu-
ino a finanziare attività nocive e pericolose come la produzione di energia con il carbone
o il nucleare, quando conosciamo modi alternativi per produrla: il vento, il sole ecc. Ma
quando si tratta di dare una spinta convinta allo sviluppo di tecnologie che usano queste
risorse, rinnovabili e sostenibili, ci viene detto che non ci sono soldi… è semplicemente
folle!
L’allocazione delle risorse economiche – quali attività finanziare e quanto finanziarle – è
sempre una questione di scelte. Per fare un esempio, pensiamo a quante risorse vengono
investite nella produzione degli OGM. Quello che mi interessa è capire cosa si può fare
per cambiare le percezioni e i comportamenti delle persone nei confronti di questi temi. Se
pensiamo che fino a 20 anni fa non avevamo gli OGM e che fino a 200 anni fa vivevamo
senza petrolio, è chiaro che tutto si può fare e tutto si può cambiare».
»» Quali sono le principali barriere che impediscono o frenano un cambiamento di para-
digma nel quale il risparmio energetico e le fonti rinnovabili siano considerati qualcosa
di “normale” e, diciamo, “dovuto”?
«Il nostro cervello ha 200 mila anni ed è molto sofisticato ma ha alcune caratteristiche
che devono essere tenute in considerazione per capire come indurre un cambiamento nei
modi di pensare, di percepire e di agire. Il nostro cervello risponde a stimoli immediati.
Anche se i cambiamenti climatici uccidono milioni di persone a causa della fame, della
desertificazione ecc… questa cosa è così lontana che non la percepiamo e non riusciamo a
connetterci con il problema. Noi conosciamo cose terribili che succedono in tutto il mon-
do tutti i giorni. Perché non reagiamo? Perché non facciamo qualcosa? Non è perché sia-
mo persone cattive o perché non ce ne importa nulla. Il punto è che il nostro cervello non
può riconoscere e processare tanti problemi alla volta. Dobbiamo preoccuparci di molte
cose nell’immediatezza della vita, non ce la facciamo a occuparci anche della biodiversità
in Africa: è troppo lontana. Ecco perché è fondamentale portare i problemi vicino alle
persone in modo che ne abbiano una comprensione immediata e diretta. Farlo significa
fare in modo che percepiscano nella loro vita quotidiana gli effetti di questi problemi, che
solo in apparenza sono lontani e non ci toccano».
Quello che mi interessa non è la semplice denuncia ma capire, e far
capire, come si può cambiare, cosa induce in noi e nella società il
cambiamento, il passaggio a nuovi paradigmi e a modi di essere e di vivere
meno nocivi e meno impattanti sulla nostra salute e sull’ambiente
Intervista
Simran Sethi è giornalista, docente
all’Università del Kansas e consulente
strategica sulle tematiche della
sostenibilità e della giustizia ambientale.
Soprattutto negli ultimi anni ha focalizzato
la sua attenzione sulla comunicazione
e sui social media come strumenti
per coinvolgere le persone e indurre
cambiamenti sociali e culturali con
particolare riferimento alla sostenibilità
ambientale.
Sethi ha contribuito alla creazione del più
grande sito web dedicato alle tematiche
ambientali, Treehugger, del quale è stata
anche produttrice esecutiva. Sotto la sua
guida, il sito ha vinto nel 2006 il premio
Vloggie come miglior “Vlog verde”.
Nel 2007 il quotidiano inglese The
Independent l’ha inserita tra i primi 10
“eco-eroi del pianeta”.
È anche fondatrice e curatrice del
sito Metamorphose, un’esplorazione
interdisciplinare delle dimensioni personali
e culturali del cambiamento.
L’intervistata
WEB
http://www.simransethi.com/
aprile-maggio 2013 35
»» E secondo te cosa bisognerebbe fare per portare le persone a percepire come propri i
problemi ambientali ed energetici?
«Per portare le persone a percepire i problemi, uno strumento molto efficace è quello
di raccontare delle storie. Raccontare delle storie sulle energie rinnovabili permette di
“inquadrare” i problemi. Il processo di framing è fondamentale. Bisogna comunicare in
modo tale che le persone possano capire di cosa si sta parlando. Termini come “mega-
watt”, “rete elettrica” o “cambiamenti climatici” sono concetti troppo astratti, che per la
maggior parte delle persone non vogliono dire nulla. Bisogna catturare l’immaginazione
e rendere le questioni visibili e comprensibili e questo lo si fa meglio raccontando delle
storie che non parlando in termini astratti e teorici.
La questione dell’identità è un altro aspetto molto importante. Dobbiamo parlare di tutto
quello che può interessare le persone e che possono vedere e riconoscere come parte della
propria identità. Per fare un esempio, un’automobile si può vedere e si può far vedere, dice
qualcosa di me. Bisogna parlare delle energie rinnovabili in un modo che le trasformi in
qualcosa di cui la gente si preoccupa e che diventa parte della loro identità. È importante
capire quali sono i valori di una comunità e come possiamo connetterci con essi. Il discor-
so sulle energie rinnovabili deve rinforzare l’identità delle persone».
»» Pensi che ci siano degli errori nel modo di inquadrare e comunicare queste proble-
matiche? Quali sono le modalità più efficaci per attrarre l’attenzione delle persone
su questi temi tanto da indurre un cambiamento nei loro modi di pensare e nei loro
stili di vita?
«Non esiste un unico messaggio o un’unica strategia per rendere consapevoli le persone,
per far loro percepire i problemi e cambiare i propri comportamenti e stili di vita, perché
diverse sono le barriere e le resistenze da superare.
Per esempio, in California sono state condotte parecchie ricerche1
sull’effetto che diverse
strategie di comunicazione possono avere sui consumi elettrici di utenti residenziali.
Un interessante esperimento consisteva nel mandare agli utenti un report di accompa-
gnamento alla bolletta, che mostrava loro il proprio livello di consumo confrontato con
Intervista
Il movimento delle transition town,
nato in Irlanda nella città di Kinsale e in
Inghilterra, a Totnes, per opera di Rob
Hopkins negli anni 2005 e 2006, parte
dalla considerazione che per avere un
quadro realistico di quanto sta succedendo
a livello planetario dal punto di vista
energetico-ambientale è necessario
valutare in modo correlato due concetti
chiave: il picco del petrolio (il momento
storico in cui si raggiunge la massima
capacità di estrazione dai giacimenti
disponibili nel mondo) e i cambiamenti
climatici. Dalla valutazione di questi due
aspetti emerge la necessità di mettere
in atto azioni individuali e collettive per
avviare la transizione verso una società
non più dipendente dal petrolio.
Elemento cardine della transizione è il
concetto di resilienza applicato a piccole
comunità locali. Si definisce resiliente
quel sistema che, a fronte di forze esterne
che agiscono su di esso, è in grado di
ripristinare il proprio equilibrio. Un sistema
locale, dice Hopkins nel suo The Transition
Handbook, ha più possibilità di essere
resiliente e, quindi, di funzionare meglio
rispetto a un sistema globalizzato, perché
caratterizzato da retroazioni più veloci,
da maggiore flessibilità e differenziazione
interna. “Tornare al piccolo” e (ri)
costruire la resilienza delle comunità locali
permette quindi di avviare la transizione
verso un tipo di società diversa da quella
attuale, che non dipenda dal petrolio e
da un’economia globalizzata, una società
che consumi e sprechi meno grazie a
una rilocalizzazione dell’economia, che
permetta di produrre il più possibile
vicino a casa (il cibo, i materiali per la
costruzione, l’energia).
Lo strumento fondamentale intorno al
quale si avvia la transizione a livello locale
è il “Piano d’azione per la decrescita
energetica” costruito dalla stessa comunità
attraverso un processo partecipato e dal
basso.
Il movimento della transizione
WEB
www.transitionnetwork.org
www.transitionitalia.wordpress.com
I messaggi che trasmettiamo devono avere una forte connessione con la
storia delle persone alle quali ci rivolgiamo, con la loro visione del futuro,
con la salute dei loro figli, con l’ambiente in cui vivono, con il loro impegno
civile, con le loro aspettative, con i loro stili di vita
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la media degli utenti in un dato periodo di tempo. La stessa tipologia di comunicazione
veniva inviata a tutti gli utenti a prescindere dal loro livello di consumo. Con questa stra-
tegia, nel periodo successivo, hanno verificato che i consumi di coloro che consumavano
al di sopra della media si abbassavano, mentre i consumi di coloro che consumavano al
di sotto della media si alzavano.
L’esperimento è stato ripetuto cambiando la strategia di comunicazione: veniva inviato un
messaggio diverso a seconda della tipologia di consumatore (alto/basso consumatore). A
coloro che presentavano consumi al di sopra della media veniva dato lo stesso messaggio
di prima, mentre per i “bassi consumatori” la comunicazione riguardava il confronto tra
i loro consumi e la porzione di utenti che consumavano ancora meno. In questo secondo
esperimento, entrambe le tipologie di consumatori hanno poi presentato una riduzione
dei consumi. È fondamentale quindi trasmettere messaggi diversi a target differenti. I mes-
saggi devono essere calibrati in base a chi dovrà riceverli. Se si parla a una comunità (reale
o virtuale) dove i membri sono accomunati da una medesima sensibilità e propensione
verso le tematiche ambientali ed etiche, non è necessario differenziare il messaggio ma se
si deve parlare all’”uomo della strada”, a persone e/o comunità che non necessariamente
si interessano a queste tematiche o hanno competenze in tali campi, allora per coinvolgerli
bisogna prima di tutto capire quali sono i loro interessi, i loro problemi, i loro valori. È
sicuramente più impegnativo, ma permette di migliorare l’efficacia del messaggio.
I messaggi che trasmettiamo devono avere una forte connessione con la storia delle perso-
ne alle quali ci rivolgiamo, con la loro visione del futuro, con la salute dei loro figli, con
l’ambiente in cui vivono, con il loro impegno civile, con le loro aspettative, con i loro stili
di vita...».
Intervista
Wiser.org è un social network, una
comunità online che lavora per la
sostenibilità sociale e ambientale. Il sito
serve a censire e a connettere tra loro
ONG, istituzioni, aziende, gruppi e individui
che si occupano dei problemi globali più
importanti della nostra epoca: cambiamenti
climatici, povertà, ambiente, pace, acqua,
fame, giustizia sociale, conservazione della
natura, diritti umani, beni comuni e altro
ancora.
Lanciato come WiserEarth.org in occasione
della Giornata della Terra nel 2007, come
un database online comprendente più di
100 mila organizzazioni, è nato dall’allora
direttore esecutivo del Natural Capital
Institute (California), Paul Hawken, che
nel libro Blessed Unrest spiega come nel
suo lavoro di formazione e divulgazione
sulle tematiche sociali e ambientali
in giro per il mondo, negli anni abbia
collezionato i biglietti da visita di migliaia
di organizzazioni che si occupavano di
giustizia sociale e sostenibilità ambientale.
Stimando che il totale delle organizzazioni
doveva superare il milione, Hawken ha
quindi deciso di lanciare la piattaforma
online che permettesse di censire
e mappare il lavoro fatto da queste
organizzazioni.
Dal giorno del suo lancio, le funzionalità
e gli strumenti di Wiser.org si sono evoluti
coerentemente con le esigenze dei suoi
utenti e ora offre a persone e gruppi le
possibilità e gli strumenti di un social
network.
Attualmente, comprende più di 114mila
organizzazioni sparse in tutto il mondo,
con 75mila membri registrati e 3mila
gruppi. I contenuti, organizzati in 341 aree
tematiche, sono disponibili in 8 lingue,
compreso l’italiano.
L’obiettivo della piattaforma non è quello
di creare un social network che rimanga
solo “virtuale” ma soprattutto fare in modo
che i contatti, gli scambi e le discussioni
in rete si trasformino in azioni e progetti
sul e per il territorio a livello locale.
Nascono in questo modo i WiserLocal, che
permettono di promuovere reti a livello
locale, formate da gruppi, organizzazioni
e singoli, attraverso l’organizzazione di
incontri. Attualmente esistono WiserLocal
nazionali, come WiserItalia, WiserIndia,
WiserCamerun, WiserWestAfrica,
WiserLatinoAmerica, e WiserLocal più locali,
come WiserCastelliRomani, WiserDakar,
WiserLocalParis.
Wiser.org: il social network per la sostenibilità
WEB
www.wiser.org
http://it.wiser.org/group/WiserItalia
aprile-maggio 2013 37
Intervista
1
Behavior and Energy Savings. Evi-
dence from a Series of Experimen-
tal Interventions, position paper di
Matt Davis, ricercatore presso Envi-
ronmental Defense Fund, 2011 New
York.
Note
»» Il movimento delle transition town (v. box pag. 35) sostiene che la concomitanza di due
problemi che affliggono le nostre società, i cambiamenti climatici e il picco del petrolio,
porti alla necessità di “tornare al piccolo” e di produrre il più possibile localmente
riducendo gli spostamenti e, più in generale, le attività economiche più impattanti e
aumentando la resilienza delle comunità locali nonché la capacità di “fare da sé”. Non
credi che una prospettiva di questo genere possa avere maggior presa oggi, in un mo-
mento di forte crisi economica?
«Assolutamente sì. Quando le persone sono costrette a dover pensare a cosa possono e
debbono fare per la loro sopravvivenza e sussistenza, agiscono attivamente sulla propria
vita, sui propri stili di vita con un approccio problem solving che li porta a potenziare se
stessi e a sviluppare capacità e competenze (self-empowerment). In una prospettiva come
quella delle transition town, della costruzione di comunità locali resilienti, è più facile ve-
dere gli effetti. Vedere i risultati sul proprio stile di vita e sul proprio benessere di ciò che
produco a livello locale e in modo sostenibile ha un effetto di rafforzamento della propria
identità. Se faccio qualcosa posso vederlo subito, ho un feedback immediato e questo
facilita la comprensione dei processi e di concetti che, invece, senza un’esperienza diretta,
possono sembrare terribilmente astratti e lontani.
Le persone percepiscono di avere meno soldi, di essere in un certo senso tornati indietro
dal punto di vista finanziario e questo le spaventa. È quindi il momento per dire che ci
sono modi diversi di vivere, modi che sono meno impattanti sulla propria salute e sul pia-
neta e che permettono di spendere meno, per esempio producendo energia mettendo un
pannello sul proprio tetto o producendo cibo con gli orti urbani, ecc.
Il movimento delle transition town è molto interessante da questo punto di vista perché
agisce sui valori e sui simboli, ci si sente parte di un movimento in cui il ruolo attivo di
ciascuno è fondamentale per raggiungere un obiettivo collettivo.
Il messaggio trasmesso dal movimento della transizione crea empowerment e cambiamen-
to: questo è il problema, questo è quello che possiamo fare adesso collettivamente e questi
sono i risultati. Vedo il circolo che si chiude, posso toccare con mano».
»» Anche se non ne abbiamo ancora parlato esplicitamente, questa nostra conversazione
verte sui “beni comuni”, su come costruirli e su come difenderli. Pensi che, in questo
processo di costruzione della consapevolezza delle persone sui beni comuni e sulla ne-
cessità di tutelarli, i social media possano avere un ruolo importante?
«Se guardo alla mia esperienza, direi proprio di sì. Come giornalista, grazie ai social
media, posso costruire una storia e pubblicarla subito, non ho bisogno di intermediari.
Questa immediatezza e l’opportunità di portare le persone all’interno delle storie è molto
importante, è potente. Ti racconto una storia attraverso la mia esperienza, quello che ho
visto, le mie foto. Il tempo che ci vuole da quando scatto delle foto o giro un video al
momento in cui li rendo disponibili a un numero elevato di persone che magari vivono
dall’altra parte del mondo può essere molto breve. Anche se si raccontano storie che sono
lontane, i social media creano una relazione, una vicinanza, una condivisione di espe-
rienze grazie all’alto livello di interattività e alla possibilità di avere un feedback quasi
immediato. Tra l’altro, conoscere le esperienze e le storie non attraverso intermediari
(per esempio i giornalisti) ma da chi quelle esperienze le ha vissute o le sta vivendo sulla
propria pelle potenzia e rende più coinvolgente il messaggio oltre che suggerire possibili
soluzioni che possono essere replicate.
Penso che siamo di fronte a una nuova modalità di comunicazione che permette di coin-
volgere di più le persone e di spingerle al cambiamento perché lo fa attraverso la narrazio-
ne di storie e di esperienze e non attraverso statistiche o concetti astratti. Questo modo di
raccontare storie cattura l’immaginazione. Per fare un esempio, esiste un social network,
Wiser.org (v. box pag. 36), che si pone come obiettivo quello di connettere tra loro per-
sone, gruppi, organizzazioni, attivi, in diverse parti del mondo, sulle tematiche della so-
stenibilità ambientale, della giustizia sociale, dei diritti delle persone e delle comunità. In
questo caso, il social network diventa uno strumento potente di diffusione di conoscenze
e di scambio di esperienze, fino a creare una vera e propria comunità… una comunità di
persone, di organizzazioni, di pratiche per attuare il cambiamento». s

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Percorsi di cambiamento verso una società sostenibile

  • 2. aprile-maggio 2013 33 Percorsi di cambiamento verso una società sostenibile È appena arrivata in Italia, dove soggiornerà per i prossimi quattro mesi. Intervista a Simran Sethi, giornalista, docente e consulente strategica sulle tematiche della sostenibilità e della giustizia ambientale Valeria Verga I ncontro Simran in una splendida giornata ro- mana di fine maggio. L’appuntamento è all’ho- tel in cui soggiorna. Mi accoglie nel giardino dove gli ospiti possono consumare la propria colazione su comode panche all’ombra di al- beri. Il posto è molto gradevole, anche se non riu- scirà a isolare la nostra conversazione dal rumore del traffico. Simran è una donna solare e molto intelligente che mi mette subito a mio agio nonostante il mio ingle- se non sia dei migliori. Ci sediamo e cominciamo a chiacchierare. Abbiamo bisogno di scaldarci un po’ prima che io affidi l’esatta comprensione del suo discorso al registratore. Le spiego che mi occupo di fonti rinnovabili e che mi piacerebbe capire quali sono le barriere non economiche che frenano la loro diffusione e, più in generale, quella di azioni, comportamenti e scelte improntate alla sostenibilità. Ciò che mi interessa è portare l’attenzione non tanto sulle barriere eco- nomiche e politiche – su cui si scrivono e leggono articoli tutti i giorni – ma su quelle culturali e psi- cologiche, più nascoste e meno evidenti. Che cosa, mi chiedo, ci impedisce di investire i nostri soldi in un impianto a fonti rinnovabili o nell’efficien- tamento termico delle nostre case, invece che in un televisore a schermo piatto o in un’auto super accessoriata? La nostra vita è fatta di scelte quotidiane e, nono- stante si parli sempre più di sostenibilità, di ecolo- gia, di cambiamenti climatici, di giornate a targhe alterne, di eco-pass, di polveri sottili, di sacchetti biodegradabili, di OGM, sembrano esserci ancora molte resistenze a un reale cambiamento di paradigma. Ed è per questo che ho deciso di rivolgermi a Simran Sethi che su queste tematiche si è molto focalizzata soprattutto negli ultimi anni. »» Simran, prima di tutto vorrei che ci spiegassi meglio di cosa ti occupi… «Sono una giornalista e sono interessata alle persone e a come interagiscono con il pro- prio ambiente. Non mi pongo l’obiettivo di salvare quell’albero o una particolare specie animale, quello che mi interessa è fare in modo che i membri di una comunità imparino a prendersi cura l’uno dell’altro e dell’ambiente in cui vivono. Oltre a insegnare giornalismo all’Università del Kansas, nel Midwest (USA), scrivo sui temi della sostenibilità e della green economy. Mi occupo in particolare di giustizia am- bientale, narrando le storie di persone la cui salute è minacciata o compromessa da un uso distorto o da un vero e proprio abuso delle risorse naturali; o di comunità, già povere, ulteriormente impoverite – economicamente, socialmente e dal punto di vista della loro integrità fisica – da attività produttive/economiche inquinanti. Intervista pp Simran Sethi
  • 3. aprile-maggio 2013 34 Quello che veramente mi interessa nel raccontare queste storie non è la semplice denuncia ma capire, e far capire, come si può cambiare, cosa induce in noi e nella società il cambia- mento, il passaggio a nuovi paradigmi e a modi di essere e di vivere meno nocivi e meno impattanti sulla nostra salute e sull’ambiente. Considero, infatti, assurdo che si continu- ino a finanziare attività nocive e pericolose come la produzione di energia con il carbone o il nucleare, quando conosciamo modi alternativi per produrla: il vento, il sole ecc. Ma quando si tratta di dare una spinta convinta allo sviluppo di tecnologie che usano queste risorse, rinnovabili e sostenibili, ci viene detto che non ci sono soldi… è semplicemente folle! L’allocazione delle risorse economiche – quali attività finanziare e quanto finanziarle – è sempre una questione di scelte. Per fare un esempio, pensiamo a quante risorse vengono investite nella produzione degli OGM. Quello che mi interessa è capire cosa si può fare per cambiare le percezioni e i comportamenti delle persone nei confronti di questi temi. Se pensiamo che fino a 20 anni fa non avevamo gli OGM e che fino a 200 anni fa vivevamo senza petrolio, è chiaro che tutto si può fare e tutto si può cambiare». »» Quali sono le principali barriere che impediscono o frenano un cambiamento di para- digma nel quale il risparmio energetico e le fonti rinnovabili siano considerati qualcosa di “normale” e, diciamo, “dovuto”? «Il nostro cervello ha 200 mila anni ed è molto sofisticato ma ha alcune caratteristiche che devono essere tenute in considerazione per capire come indurre un cambiamento nei modi di pensare, di percepire e di agire. Il nostro cervello risponde a stimoli immediati. Anche se i cambiamenti climatici uccidono milioni di persone a causa della fame, della desertificazione ecc… questa cosa è così lontana che non la percepiamo e non riusciamo a connetterci con il problema. Noi conosciamo cose terribili che succedono in tutto il mon- do tutti i giorni. Perché non reagiamo? Perché non facciamo qualcosa? Non è perché sia- mo persone cattive o perché non ce ne importa nulla. Il punto è che il nostro cervello non può riconoscere e processare tanti problemi alla volta. Dobbiamo preoccuparci di molte cose nell’immediatezza della vita, non ce la facciamo a occuparci anche della biodiversità in Africa: è troppo lontana. Ecco perché è fondamentale portare i problemi vicino alle persone in modo che ne abbiano una comprensione immediata e diretta. Farlo significa fare in modo che percepiscano nella loro vita quotidiana gli effetti di questi problemi, che solo in apparenza sono lontani e non ci toccano». Quello che mi interessa non è la semplice denuncia ma capire, e far capire, come si può cambiare, cosa induce in noi e nella società il cambiamento, il passaggio a nuovi paradigmi e a modi di essere e di vivere meno nocivi e meno impattanti sulla nostra salute e sull’ambiente Intervista Simran Sethi è giornalista, docente all’Università del Kansas e consulente strategica sulle tematiche della sostenibilità e della giustizia ambientale. Soprattutto negli ultimi anni ha focalizzato la sua attenzione sulla comunicazione e sui social media come strumenti per coinvolgere le persone e indurre cambiamenti sociali e culturali con particolare riferimento alla sostenibilità ambientale. Sethi ha contribuito alla creazione del più grande sito web dedicato alle tematiche ambientali, Treehugger, del quale è stata anche produttrice esecutiva. Sotto la sua guida, il sito ha vinto nel 2006 il premio Vloggie come miglior “Vlog verde”. Nel 2007 il quotidiano inglese The Independent l’ha inserita tra i primi 10 “eco-eroi del pianeta”. È anche fondatrice e curatrice del sito Metamorphose, un’esplorazione interdisciplinare delle dimensioni personali e culturali del cambiamento. L’intervistata WEB http://www.simransethi.com/
  • 4. aprile-maggio 2013 35 »» E secondo te cosa bisognerebbe fare per portare le persone a percepire come propri i problemi ambientali ed energetici? «Per portare le persone a percepire i problemi, uno strumento molto efficace è quello di raccontare delle storie. Raccontare delle storie sulle energie rinnovabili permette di “inquadrare” i problemi. Il processo di framing è fondamentale. Bisogna comunicare in modo tale che le persone possano capire di cosa si sta parlando. Termini come “mega- watt”, “rete elettrica” o “cambiamenti climatici” sono concetti troppo astratti, che per la maggior parte delle persone non vogliono dire nulla. Bisogna catturare l’immaginazione e rendere le questioni visibili e comprensibili e questo lo si fa meglio raccontando delle storie che non parlando in termini astratti e teorici. La questione dell’identità è un altro aspetto molto importante. Dobbiamo parlare di tutto quello che può interessare le persone e che possono vedere e riconoscere come parte della propria identità. Per fare un esempio, un’automobile si può vedere e si può far vedere, dice qualcosa di me. Bisogna parlare delle energie rinnovabili in un modo che le trasformi in qualcosa di cui la gente si preoccupa e che diventa parte della loro identità. È importante capire quali sono i valori di una comunità e come possiamo connetterci con essi. Il discor- so sulle energie rinnovabili deve rinforzare l’identità delle persone». »» Pensi che ci siano degli errori nel modo di inquadrare e comunicare queste proble- matiche? Quali sono le modalità più efficaci per attrarre l’attenzione delle persone su questi temi tanto da indurre un cambiamento nei loro modi di pensare e nei loro stili di vita? «Non esiste un unico messaggio o un’unica strategia per rendere consapevoli le persone, per far loro percepire i problemi e cambiare i propri comportamenti e stili di vita, perché diverse sono le barriere e le resistenze da superare. Per esempio, in California sono state condotte parecchie ricerche1 sull’effetto che diverse strategie di comunicazione possono avere sui consumi elettrici di utenti residenziali. Un interessante esperimento consisteva nel mandare agli utenti un report di accompa- gnamento alla bolletta, che mostrava loro il proprio livello di consumo confrontato con Intervista Il movimento delle transition town, nato in Irlanda nella città di Kinsale e in Inghilterra, a Totnes, per opera di Rob Hopkins negli anni 2005 e 2006, parte dalla considerazione che per avere un quadro realistico di quanto sta succedendo a livello planetario dal punto di vista energetico-ambientale è necessario valutare in modo correlato due concetti chiave: il picco del petrolio (il momento storico in cui si raggiunge la massima capacità di estrazione dai giacimenti disponibili nel mondo) e i cambiamenti climatici. Dalla valutazione di questi due aspetti emerge la necessità di mettere in atto azioni individuali e collettive per avviare la transizione verso una società non più dipendente dal petrolio. Elemento cardine della transizione è il concetto di resilienza applicato a piccole comunità locali. Si definisce resiliente quel sistema che, a fronte di forze esterne che agiscono su di esso, è in grado di ripristinare il proprio equilibrio. Un sistema locale, dice Hopkins nel suo The Transition Handbook, ha più possibilità di essere resiliente e, quindi, di funzionare meglio rispetto a un sistema globalizzato, perché caratterizzato da retroazioni più veloci, da maggiore flessibilità e differenziazione interna. “Tornare al piccolo” e (ri) costruire la resilienza delle comunità locali permette quindi di avviare la transizione verso un tipo di società diversa da quella attuale, che non dipenda dal petrolio e da un’economia globalizzata, una società che consumi e sprechi meno grazie a una rilocalizzazione dell’economia, che permetta di produrre il più possibile vicino a casa (il cibo, i materiali per la costruzione, l’energia). Lo strumento fondamentale intorno al quale si avvia la transizione a livello locale è il “Piano d’azione per la decrescita energetica” costruito dalla stessa comunità attraverso un processo partecipato e dal basso. Il movimento della transizione WEB www.transitionnetwork.org www.transitionitalia.wordpress.com I messaggi che trasmettiamo devono avere una forte connessione con la storia delle persone alle quali ci rivolgiamo, con la loro visione del futuro, con la salute dei loro figli, con l’ambiente in cui vivono, con il loro impegno civile, con le loro aspettative, con i loro stili di vita
  • 5. aprile-maggio 2013 36 la media degli utenti in un dato periodo di tempo. La stessa tipologia di comunicazione veniva inviata a tutti gli utenti a prescindere dal loro livello di consumo. Con questa stra- tegia, nel periodo successivo, hanno verificato che i consumi di coloro che consumavano al di sopra della media si abbassavano, mentre i consumi di coloro che consumavano al di sotto della media si alzavano. L’esperimento è stato ripetuto cambiando la strategia di comunicazione: veniva inviato un messaggio diverso a seconda della tipologia di consumatore (alto/basso consumatore). A coloro che presentavano consumi al di sopra della media veniva dato lo stesso messaggio di prima, mentre per i “bassi consumatori” la comunicazione riguardava il confronto tra i loro consumi e la porzione di utenti che consumavano ancora meno. In questo secondo esperimento, entrambe le tipologie di consumatori hanno poi presentato una riduzione dei consumi. È fondamentale quindi trasmettere messaggi diversi a target differenti. I mes- saggi devono essere calibrati in base a chi dovrà riceverli. Se si parla a una comunità (reale o virtuale) dove i membri sono accomunati da una medesima sensibilità e propensione verso le tematiche ambientali ed etiche, non è necessario differenziare il messaggio ma se si deve parlare all’”uomo della strada”, a persone e/o comunità che non necessariamente si interessano a queste tematiche o hanno competenze in tali campi, allora per coinvolgerli bisogna prima di tutto capire quali sono i loro interessi, i loro problemi, i loro valori. È sicuramente più impegnativo, ma permette di migliorare l’efficacia del messaggio. I messaggi che trasmettiamo devono avere una forte connessione con la storia delle perso- ne alle quali ci rivolgiamo, con la loro visione del futuro, con la salute dei loro figli, con l’ambiente in cui vivono, con il loro impegno civile, con le loro aspettative, con i loro stili di vita...». Intervista Wiser.org è un social network, una comunità online che lavora per la sostenibilità sociale e ambientale. Il sito serve a censire e a connettere tra loro ONG, istituzioni, aziende, gruppi e individui che si occupano dei problemi globali più importanti della nostra epoca: cambiamenti climatici, povertà, ambiente, pace, acqua, fame, giustizia sociale, conservazione della natura, diritti umani, beni comuni e altro ancora. Lanciato come WiserEarth.org in occasione della Giornata della Terra nel 2007, come un database online comprendente più di 100 mila organizzazioni, è nato dall’allora direttore esecutivo del Natural Capital Institute (California), Paul Hawken, che nel libro Blessed Unrest spiega come nel suo lavoro di formazione e divulgazione sulle tematiche sociali e ambientali in giro per il mondo, negli anni abbia collezionato i biglietti da visita di migliaia di organizzazioni che si occupavano di giustizia sociale e sostenibilità ambientale. Stimando che il totale delle organizzazioni doveva superare il milione, Hawken ha quindi deciso di lanciare la piattaforma online che permettesse di censire e mappare il lavoro fatto da queste organizzazioni. Dal giorno del suo lancio, le funzionalità e gli strumenti di Wiser.org si sono evoluti coerentemente con le esigenze dei suoi utenti e ora offre a persone e gruppi le possibilità e gli strumenti di un social network. Attualmente, comprende più di 114mila organizzazioni sparse in tutto il mondo, con 75mila membri registrati e 3mila gruppi. I contenuti, organizzati in 341 aree tematiche, sono disponibili in 8 lingue, compreso l’italiano. L’obiettivo della piattaforma non è quello di creare un social network che rimanga solo “virtuale” ma soprattutto fare in modo che i contatti, gli scambi e le discussioni in rete si trasformino in azioni e progetti sul e per il territorio a livello locale. Nascono in questo modo i WiserLocal, che permettono di promuovere reti a livello locale, formate da gruppi, organizzazioni e singoli, attraverso l’organizzazione di incontri. Attualmente esistono WiserLocal nazionali, come WiserItalia, WiserIndia, WiserCamerun, WiserWestAfrica, WiserLatinoAmerica, e WiserLocal più locali, come WiserCastelliRomani, WiserDakar, WiserLocalParis. Wiser.org: il social network per la sostenibilità WEB www.wiser.org http://it.wiser.org/group/WiserItalia
  • 6. aprile-maggio 2013 37 Intervista 1 Behavior and Energy Savings. Evi- dence from a Series of Experimen- tal Interventions, position paper di Matt Davis, ricercatore presso Envi- ronmental Defense Fund, 2011 New York. Note »» Il movimento delle transition town (v. box pag. 35) sostiene che la concomitanza di due problemi che affliggono le nostre società, i cambiamenti climatici e il picco del petrolio, porti alla necessità di “tornare al piccolo” e di produrre il più possibile localmente riducendo gli spostamenti e, più in generale, le attività economiche più impattanti e aumentando la resilienza delle comunità locali nonché la capacità di “fare da sé”. Non credi che una prospettiva di questo genere possa avere maggior presa oggi, in un mo- mento di forte crisi economica? «Assolutamente sì. Quando le persone sono costrette a dover pensare a cosa possono e debbono fare per la loro sopravvivenza e sussistenza, agiscono attivamente sulla propria vita, sui propri stili di vita con un approccio problem solving che li porta a potenziare se stessi e a sviluppare capacità e competenze (self-empowerment). In una prospettiva come quella delle transition town, della costruzione di comunità locali resilienti, è più facile ve- dere gli effetti. Vedere i risultati sul proprio stile di vita e sul proprio benessere di ciò che produco a livello locale e in modo sostenibile ha un effetto di rafforzamento della propria identità. Se faccio qualcosa posso vederlo subito, ho un feedback immediato e questo facilita la comprensione dei processi e di concetti che, invece, senza un’esperienza diretta, possono sembrare terribilmente astratti e lontani. Le persone percepiscono di avere meno soldi, di essere in un certo senso tornati indietro dal punto di vista finanziario e questo le spaventa. È quindi il momento per dire che ci sono modi diversi di vivere, modi che sono meno impattanti sulla propria salute e sul pia- neta e che permettono di spendere meno, per esempio producendo energia mettendo un pannello sul proprio tetto o producendo cibo con gli orti urbani, ecc. Il movimento delle transition town è molto interessante da questo punto di vista perché agisce sui valori e sui simboli, ci si sente parte di un movimento in cui il ruolo attivo di ciascuno è fondamentale per raggiungere un obiettivo collettivo. Il messaggio trasmesso dal movimento della transizione crea empowerment e cambiamen- to: questo è il problema, questo è quello che possiamo fare adesso collettivamente e questi sono i risultati. Vedo il circolo che si chiude, posso toccare con mano». »» Anche se non ne abbiamo ancora parlato esplicitamente, questa nostra conversazione verte sui “beni comuni”, su come costruirli e su come difenderli. Pensi che, in questo processo di costruzione della consapevolezza delle persone sui beni comuni e sulla ne- cessità di tutelarli, i social media possano avere un ruolo importante? «Se guardo alla mia esperienza, direi proprio di sì. Come giornalista, grazie ai social media, posso costruire una storia e pubblicarla subito, non ho bisogno di intermediari. Questa immediatezza e l’opportunità di portare le persone all’interno delle storie è molto importante, è potente. Ti racconto una storia attraverso la mia esperienza, quello che ho visto, le mie foto. Il tempo che ci vuole da quando scatto delle foto o giro un video al momento in cui li rendo disponibili a un numero elevato di persone che magari vivono dall’altra parte del mondo può essere molto breve. Anche se si raccontano storie che sono lontane, i social media creano una relazione, una vicinanza, una condivisione di espe- rienze grazie all’alto livello di interattività e alla possibilità di avere un feedback quasi immediato. Tra l’altro, conoscere le esperienze e le storie non attraverso intermediari (per esempio i giornalisti) ma da chi quelle esperienze le ha vissute o le sta vivendo sulla propria pelle potenzia e rende più coinvolgente il messaggio oltre che suggerire possibili soluzioni che possono essere replicate. Penso che siamo di fronte a una nuova modalità di comunicazione che permette di coin- volgere di più le persone e di spingerle al cambiamento perché lo fa attraverso la narrazio- ne di storie e di esperienze e non attraverso statistiche o concetti astratti. Questo modo di raccontare storie cattura l’immaginazione. Per fare un esempio, esiste un social network, Wiser.org (v. box pag. 36), che si pone come obiettivo quello di connettere tra loro per- sone, gruppi, organizzazioni, attivi, in diverse parti del mondo, sulle tematiche della so- stenibilità ambientale, della giustizia sociale, dei diritti delle persone e delle comunità. In questo caso, il social network diventa uno strumento potente di diffusione di conoscenze e di scambio di esperienze, fino a creare una vera e propria comunità… una comunità di persone, di organizzazioni, di pratiche per attuare il cambiamento». s