1. 12MESI
MARZO 2011
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OPINIONI
di ANTONIO PANIGALLI DAL CONSUMISMO… AIVALORI, ALLA CRISI
E AL SETTIMO COMANDAMENTO
C
i ritroviamo insieme,
all’inizio del nuovo anno
2011, mentre nubi ancora
una volta preoccupanti si
addensano sul nostro Paese. Da qui vor-
rei partire estrapolando il punto sei del
pensiero “condiviso” espresso dal car-
dinale Bagnasco nel corso della scorsa
sessione invernale del Consiglio Perma-
nente della CEI.
In un documento dell’Episcopato pub-
blicato trent’anni or sono e che ebbe a
suo tempo una notevole accoglienza (La
Chiesa italiana e le prospettive del Pa-
ese, 1981), si diceva icasticamente: “Il
consumismohafiaccatotutti”.Ederava-
mo appena agli inizi di quel processo di
trasformazione che interesserà l’Italia e
l’Occidente nei decenni a seguire, e tro-
verà rappresentazione nella cosiddetta
“modernità liquida” dominata da quella
che alcuni hanno definito “ideologia del
mercato”.
Colpisce l’efficacia di quella predi-
zione, dove ad apparire centrato è in
particolare il verbo usato: “fiaccare”.
La desertificazione valoriale ha pro-
sciugato l’aria e rarefatto il respiro.
La cultura della seduzione ha indub-
biamente raffinato le aspettative ma ha
soprattutto adulterato le proposte. Ha
così potuto affermarsi un’idea balzana
della vita, secondo cui tutto è a portata
di mano, basta pretenderlo. Una sorta
di ubriacatura, alle cui lusinghe ha – in
realtà – ceduto una parte soltanto della
società. Però, il calco di quel pensie-
ro è entrato sgomitando nella testa di
molti, come un pensiero molesto che
pretende ascolto. Un ascolto peraltro
che diventava sempre più improbabile,
considerato il nuovo clima sociale, de-
terminato da un volano economico che
senza tanti complimenti si era messo a
girare all’incontrario.
Noi siamo testimoni della dignità con
cui la nostra gente sta normalmente
reagendo alle difficoltà che si sono pre-
sentate, arrivando a configurare un an-
damento diverso nel passo del mondo.
Sembrava che il trend della crescita do-
vesse tutto sommato aumentare sempre,
in un movimento espansivo che avrebbe
via via incluso sempre nuove fette di po-
polazione. Invece la crisi si è presentata
come una sorta di drenaggio generale,
obbligando un po’ tutti a rivedere le
proprie ambizioni.
C’è una verità, forse non troppo detta,
ma che la gente ha intuito abbastanza
presto: si stava vivendo al di sopra delle
proprie possibilità. Bisogna allora im-
primere una moderazione complessiva
dell’andamento di vita, senza dimentica-
re – anzi ! – tutti coloro che già prima
vivevano sul filo e oggi si trovano sotto.
Con bilanci meno ambiziosi, occorre far
fronte a tutte le necessità di una società
moderna,perdipiùsenzapoterpiùcon-
tare sullo sfogo del debito pubblico che
invece dovrà rientrare.
Ma che fare se ognuno difende a spada
tratta il livello di vita già acquisito? Que-
sto è il punto in cui i problemi dei giova-
ni vengono a coincidere con le questioni
di ordine generale: bisogna infrangere
l’involucro individualista e tornare a
pensare con la categoria comunitaria del
“noi”, perché tutto va ricalibrato secon-
do un diverso soggetto.
Anzichéunasommaditanti“io”,sicura-
mente legittimi e forse un po’ pretenzio-
si, occorre insediare il plurale che abita
in ogni famiglia, il plurale di cui si com-
pone ogni società. Non sarà un’opera-
zione facile, ma occorrerà convertire
una parte di ciò che eravamo abituati a
considerare nella nostra esclusiva dispo-
nibilità, e metterlo nella disponibilità di
tutti. E naturalmente chi nel frattempo
aveva accumulato di più, qualcosa di più
ora deve mettere a disposizione.
Quando un anno e mezzo fa cercavamo
ditrovareilsensodiciòchelacrisipoteva
richiedere, si parlò ad un certo punto di
una necessaria conversione degli stili di
vita. Ora ci siamo arrivati. C’è un’alfabe-
tizzazione etica su questa nuova stagione
che occorre saper alimentare. Se una
parte di reddito va ridistribuita per poter
corrispondere alle essenziali attese delle
ultime generazioni, che diversamente ri-
marrebbero sul lastrico, ecco che c’è un
lavoro di rimotivazione da compiere per
dare un orizzonte convincente alla dose
di sacrifici che bisogna affrontare.
Si torna qui alla sfida educativa.
Nella mentalità più diffusa, la sofferenza
è l’ambito oscuro della vita che è meglio
mettere tra parentesi, e da cui in ogni
caso è necessario preservare i più giova-
ni.Maquesto,purscaturitodallemigliori
intenzioni, è l’autoinganno più fatale che
si sia indotto nei figli, nei nipoti, nei di-
scepoli. Tentando di preservarli dalle dif-
ficoltàedalledurezzedell’esistenza,siri-
schia di far crescere persone fragili, poco
realisteepocogenerose;“Nonesisteuna
vita senza sacrificio”, ammoniva il Papa
parlando proprio ai giovani (omelia nella
domenica delle Palme, 5 aprile 2010).
Anche la crescente allergia che si regi-
stra nei confronti dell’evasione fiscale è
un segnale positivo, che va assecondato.
Adessopiùchemaièilmomentodipaga-
re tutti nella giusta misura le tasse che la
comunità impone, a fronte dei servizi che
siricevono.Bisognasnellireesemplifica-
re, ma nessuno è moralmente autorizzato
ad autodecretarsi il livello fiscale.
Chi fa il furbo non va ammirato né emu-
lato. Il settimo comandamento, “Non
rubare”, resiste con tutta la sua intrinse-
ca perentorietà anche in una prospettiva
sociale.