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sabato 13 febbraio 2016 | pagina99 | IILQUARTINODIP99
il quaderno afghano
nel cuore del bosco
Si chiamava Zaher Rezai. Il suo nome dir¨¤ qualcosa a qualcuno.
Aveva tredici anni, o forse un po¡¯ di pi¨´. Era partito ancora bambino
da Mazar-i Sharif. Aveva viaggiato avventurosamente fino a Venezia,
l¡¯ultimo tratto nascosto in un traghetto
GIANFRANCO BETTIN
n ? da un piccolo ponte sopra un fosso che si
intravede presto il Quaderno, in una radura
dove i sentieri si incrociano e si diramano
verso il folto del bosco. Il Quaderno ¨¨ un¡¯in-
stallazione in acciaio corten e in ferro e otto-
ne, poggiata su una base circolare attorno
alla quale si aprono e si possono sfogliare al-
cune grandi pagine metalliche ¨C di circa 50
cm per 30 ¨C sorrette da un basamento da cui
si alza di un paio di metri un¡¯asta sottile sulla
quale garrisce uno stendardo che pare scol-
pito nell¡¯aria. L¡¯installazione, un¡¯agile e sug-
gestiva scultura, ¨¨ opera di Luigi Gardenal,
pittore, incisore, grafico e designer classe
1950, formatosi con Guidi, Vedova, De Lui-
gi, Santomaso. Le pagine color ruggine reca-
no incisi dei versi, la controcopertina simbo-
li e motivi orientali. Qualche anno fa, a Ca¡¯
Pesaro, una mostra antologica di Gardenal
si era ispirata a questi motivi in una sezione
intitolata Afghan Visa. Gardenal conosce
bene i luoghi tra Europa e Asia, raggiunti va-
licando pi¨´ volte il Khyber Pass, quando an-
coraeraunaviadidialogoediscambioenon
l¡¯incrocio periglioso e devastato che poi ¨¨ di-
ventato. Conosce e ha visto i Buddha della
valle Bamiyan, distrutti dalla furia talebana
poco prima dell¡¯attacco alle Torri gemelle.
In quei posti favolosi e tragici e in tutta l¡¯area
ora inquieta e sconvolta tra Medio Oriente,
Iraq, Iran, Turchia, Afghanistan, Pakistan,
Nepal, Tibet e India, ha viaggiato e lavorato
come disegnatore archeologico e ?cacciato-
re? di segni, di forme e colori, di nutrimenti
culturali e di visioni. Non poteva non restare
colpito dalla storia di chi teneva nelle tasche
il quaderno che ha ispirato quel ?monu-
mento? nel bosco.
Il sentiero che porta al Quaderno si inol-
tra nella selva spogliata dall¡¯inverno, tra
gli alberi, gli arbusti di biancospino, le sie-
pi boscate. Le siepi, soprattutto, racconta-
no che cosa c¡¯era prima, qui: un mondo
contadino che altrove, non lontano, ¨¨
scomparso sotto colate di cemento e asfal-
to, templi del commercio e del consumo,
capannoni. A suo tempo febbrili cellule del
miracolo economico, i capannoni del nor-
dest, pur provati dalla crisi, sfidano la con-
giuntura, tenendo duro e preparando l¡¯a-
gognata ripresa.
Le siepi invece sono un reperto preserva-
to, una traccia del passato, di quando dava-
no fascine, legname e vimini. Come le col-
tivazioni, i casolari, le campagne: un mon-
do che si ¨¨ prima spopolato con l¡¯emigra-
zione di massa, poi convertito in universo
industriale e urbano e infine largamente
fatto artigianale intensivo (proprio nei ca-
pannoni) e commerciale alla maniera ame-
ricana e ?globale? (dalla bottega di vicina-
to e dal mercato di paese all¡¯outlet e al me-
gacentro aperti sette giorni su sette).
Qui invece, nella zona nord orientale del
territorio di Venezia, dove la conurbazione
che da Porto Marghera, inglobando Mestre,
si sgrana verso l¡¯aeroporto Marco Polo, da
una ventina d¡¯anni sta crescendo un bosco
che riesuma, in un esperimento di re-wilder-
ness guidata, l¡¯antico bosco planiziale, prece-
dente lo stesso mondo contadino. Oggi le
aree aperte alla fruizione pubblica, dopo an-
ni di assoluta chiusura per consentirne la
crescita pi¨´ libera e tutelata, coprono circa
230 ettari (in totale saranno oltre mille), ar-
ticolati in corpose zone boscate ¨C di farnie,
frassini, carpini, salici, ontani, aceri, robinie,
tigli, platani, olmi: tutte piante autoctone ¨C
collegate da percorsi pedonali e ciclabili e in-
framezzate da prati, bassure, stagni, fossati.
u segue alle pagine II e III
ILLUSTRAZIONIDIKOENIVENS
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II | pagina99 | sabato 13 febbraio 2016
u segue da pagina I
n Il bosco in cui si trova il Quaderno copre
una cinquantina di ettari ed ¨¨ cresciuto dal
2003, anno in cui le nuove semine e pian-
tumazioni sono state integrate nel paesag-
gio agricolo preesistente, allora in buona
parte abbandonato. In pochi passi, dal li-
mitare, si entra nel fitto degli alberi, in una
specie di sovvertimento spazio-temporale
in cui un territorio esempio storico di spe-
culazione edilizia e urbanistica e di una
snaturata e distorta incarnazione della
modernit¨¤ prova a mutare drasticamente i
propri connotati e a ritrovare un ancestra-
le se stesso in certe radici.
Basta aguzzare la vista, e abituare i sensi
e si entra subito in un microcosmo paral-
lelo all¡¯attiguo universo urbano, un altrove
appena di l¨¤ da una linea sottile. Tra le
fronde del platano e della farnia ci si pu¨°
accorgere del cardellino, insidiato dalla
gazza, che ci va apposta a predarne le uova
anche se per s¨¦, come la ghiandaia e la tor-
tora, predilige il pioppo, nel cui tronco ni-
dificano il picchio rosso e il picchio verde.
Nel fusto del salice si pu¨° spiare la cincial-
legra o, pi¨´ raramente, l¡¯upupa. Nella cep-
paia, il merlo. L¡¯olmo lo si pu¨° vedere ospi-
tare fringuelli e colombacci. Cuculi, balie
nere, scriccioli li si nota arrangiarsi tran-
quillamente, come pure, di notte, gufi e ci-
vette, confortati, come i pipistrelli, dalla
(relativa) lontananza del gran bagliore
della citt¨¤, delle autostrade, dell¡¯aeropor-
to. Dal bosco sono solo un riflesso azzur-
rognolo e giallo tenuto a bada dalle ombre
della vegetazione che fa da immensa volie-
ra all¡¯avifauna, e da libero e protetto habi-
tat a tanti altri animali.
* ** **
Si chiamava Zaher Rezai. Il suo nome
dir¨¤ qualcosa a qualcuno. Aveva tredici
anni, o forse un po¡¯ di pi¨´. Era partito an-
cora bambino dall¡¯Afghanistan. Era giun-
to in Iran e vi era rimasto a lavorare come
saldatore. Aveva quindi viaggiato avven-
turosamente fino a Venezia, l¡¯ultimo tratto
nascosto in un traghetto per attraversare il
mare. Poi, nel porto di Venezia, si era ag-
grappato sotto un camion per eludere i
controlli di frontiera. Aveva percorso cos¨¬
gli ultimi otto chilometri. A Mestre, a un
incrocio non lontano da dove sorge il bo-
sco che accoglie il Quaderno e che oggi,
per volont¨¤ del Comune, porta il suo nome
¨C il ?Bosco di Zaher? ¨C ¨¨ caduto, o ha pro-
vato a scendere, ed ¨¨ morto schiacciato
sotto le ruote. Aveva con s¨¦ un quaderno e
alcuni animaletti di plastica: un alce, una
rondine, una giraffa e un leone. Sembrava-
no giocattoli e, al tempo stesso, talismani e
ricordi. Evocavano un¡¯infanzia o un¡¯adole-
scenza, un tempo breve della vita persona-
le, e un tempo lungo, millenario, della sto-
ria naturale e della geografia. Il documen-
to d¡¯identit¨¤ che aveva in tasca diceva che
era nato a Mazhar-i Sharif tredici anni pri-
ma. Secondo i medici che ne hanno ispe-
zionato il corpo forse aveva tre o quattro
anni di pi¨´ e forse quel documento era sta-
to contraffatto per agevolarne l¡¯ingresso e
l¡¯accoglienza in Europa. Inutilmente, dun-
que. Peraltro, alla frontiera, Zaher non ha
nemmeno tentato di farla valere, la mino-
re et¨¤ dichiarata sulla carta, a riprova, for-
se, di un¡¯assenza di premeditazione e con-
traffazione.
Il quaderno, tradotto dagli operatori e
dai mediatori culturali del Comune, con-
teneva un indiretto e toccante racconto
della vita di Zaher nella sua ultima stagio-
ne. C¡¯erano disegni e note sul suo lavoro di
saldatore in Iran. C¡¯erano i poveri conti di
spese e risparmi. E c¡¯erano versi di poesie e
canzoni della tradizione hazara, l¡¯etnia a
cui apparteneva, in parte riprodotti nel-
l¡¯installazione di Gardenal. Una volta tra-
dotti e pubblicati, sono stati soprattutto
questi versi ¨C in lingua hazaragi, un idio-
ma persiano con echi turchi e mongoli,
parlato da circa il 20% della popolazione
afghana ¨C ad attirare l¡¯attenzione di molti,
oltre all¡¯atroce incidente che a Zaher era
costato la vita. Non era il primo incidente
simile, e non era il primo ragazzo a morire
nel tentativo di entrare in Italia, da queste
stesse parti. Ma quei dettagli cos¨¬ singola-
ri, suggestivi ¨C i versi, gli animaletti, il dia-
rio di lavoro ¨C avevano trattenuto pi¨´ a
lungo del solito l¡¯attenzione sul caso. Non
si era esaurita subito, come sempre, dopo
un attimo di piet¨¤.
La calligrafia era da ragazzino poco
istruito, ma la tradizione poetica e cultu-
rale che in quelle righe echeggiava era pro-
fonda e ricca, spesso trasmessa a voce e
mandata a memoria pi¨´ che attinta leg-
gendo, studiando.
* ** **
Nei versi che Zaher aveva trascritto, tra-
dotti da Hamed Mohamad Karim e Fran-
cesca Grisot, con la collaborazione di Do-
menico Ingenito, si canta l¡¯amore, la natu-
ra, la bellezza:
Tu porti il profumo delle gemme che
sbocciano/
sei come un fiore di primavera./
? dolce il tuo affetto,/
amo parlare con te./
Tu sei un amico incantevole,/
sei una seta di passione e bellezza.
Si racconta la fatica del viaggio, la pena
dell¡¯incertezza, il timore di non farcela:
Questo corpo cos¨¬ assetato e stanco/
Forse non arriver¨¤ all¡¯acqua del mare./
Non so ancora quale sogno mi riserver¨¤
il destino,/
ma promettimi, Dio,/
che non lascerai finisca la primavera./
Oh mio caro, che dolore riserva l¡¯attimo
dell¡¯attesa/
ma promettimi, Dio, che non lascerai fi-
nisca la primavera.
Si esprime l¡¯estrema determinazione, in
cui l¡¯amore per qualcuno (o il desiderio di
amare qualcuno) si confonde con l¡¯amore
per la vita e per la libert¨¤ e l¡¯uno e l¡¯altro
motivano l¡¯andare, oltre ogni confine e
asperit¨¤, e si invoca l¡¯esaudirsi, nel caso,
dell¡¯ultimo desiderio, inerme e fiero:
Tanto ho navigato, notte e giorno, sulla
barca del tuo amore/
che, o riuscir¨° in fine ad amarti o mori-
r¨° annegato./
Giardiniere, apri la porta del giardino,
io non sono un ladro di fiori,/
io stesso mi sono fatto rosa, non vado in
giro in cerca di un fiore qualsiasi.
Attraverso i media questi versi hanno
circolato e hanno colpito molti, l¡¯opinione
pubblica. Il ragazzino afghano, per una
volta, ha smesso di essere una semplice
nota di cronaca e un numero, parte fredda
di una statistica ¨C i caduti sulla strada del-
le migrazioni, i respinti che cercano infau-
stamente di aggirare la regole, di valicare
la frontiera ¨C per diventare un volto, una
voce, una vita. ? stato uno dei primi casi in
cui ci¨° ¨¨ successo. Di recente ¨¨ accaduto al
piccolo Aylan, il bambino siriano di tre an-
ni annegato insieme al fratellino Galip di
cinque e alla madre Rehan, nelle acque
dell¡¯Egeo tra Grecia e Turchia. La foto del
suo corpo riverso sulla spiaggia di Bodrum
ha fatto il giro del mondo e ha prodotto un
salto nella consapevolezza europea del
dramma dei migranti. ? uscito dalle stati-
stiche ed ¨¨ diventato (¨¨ tornato a essere)
un volto, una maglietta rossa e un paio di
scarpine fradice, una storia.
La commozione, nel caso di Zaher, ¨¨ poi
anche diventata richiesta di chiarezza. So-
no state fatte delle domande. Non si ¨¨ solo
preso atto, pi¨´ o meno distrattamente,
dell¡¯epilogo. Perch¨¦ ¨¨ morto cos¨¬? ? stato
chiesto. Perch¨¦ ha dovuto ricorrere a quel
temerario, disperato, fatale espediente per
entrare nel continente dei diritti? Cosa
succede davvero al porto di Venezia quan-
do arrivano i migranti?
Succede ¨C ¨¨ poi emerso ¨C che vengano
spesso respinti senza neanche verificare
chi siano, da dove vengano, da cosa fugga-
no, quali siano i loro diritti e quali i doveri
di uno stato dell¡¯Unione europea e comun-
que come vengano rispettati i diritti uma-
ni su questa frontiera. Che se ne occupi so-
lo la polizia, non i mediatori, non i rappre-
sentanti dell¡¯ufficio per i rifugiati, non gli
operatori del Comune, tagliati fuori. Ci so-
no state manifestazioni, denunce. Il Co-
mune di Venezia ha ritirato, in un primo
tempo, la propria collaborazione con le
autorit¨¤ di frontiera, per riprenderla solo
quando ¨¨ stata assicurata una maggiore
attenzione ai migranti, al rispetto delle re-
gole anche da parte delle stesse autorit¨¤, e
il rispetto dei diritti umani. Questa atten-
zione ha anche spinto ad approfondire la
storia di Zaher, le motivazioni del suo
viaggio, dei viaggi di molti come lui.
* ** **
Zaher veniva da Mazar-i Sharif, si ¨¨ sa-
puto, una delle maggiori citt¨¤ afghane,
sulla via della seta percorsa da Marco Polo
e da tanti altri mercanti europei. La citt¨¤
della splendida moschea blu dedicata al
cugino e genero del Profeta. Infatti, in af-
ghano, il nome della citt¨¤ significa ¡°nobile
santuario¡±. La partenza di Zaher, su spinta
dei suoi stessi familiari, era legata alla par-
ticolare situazione creatasi a Mazar-i Sha-
rif negli anni Novanta, dopo la conquista
della citt¨¤ da parte dei talebani. Gli haza-
ra, il suo gruppo etnico, di origine mongo-
lo-caucasica, secondo la leggenda discen-
dente dai soldati dell¡¯armata di Gengis
Khan, sono sciiti. Dopo la conquista i ta-
lebani imposero la conversione al sunni-
smo hanafita, pena dure rappresaglie. Gli
hazara avrebbero anche pagato per quan-
to era stato in precedenza commesso nella
zona ai danni dei talebani, soprattutto do-
po che questi nel 1995 avevano ucciso l¡¯ul-
timo importante leader hazara, Abdul Ali
Mazari, capo del partito Hezbe Wahdat,
favorevole a un Afghanistan federalista e
pluralista. Circa ottomila hazara sciiti non
convertitisi furono uccisi nell¡¯estate del
¡¯98. Secondo Amnesty International, ?le
vittime sono state ammazzate in modo de-
liberato e arbitrario nelle case e nelle stra-
de, dove i cadaveri sono rimasti per giorni.
Molti degli uccisi erano civili, tra cui don-
ne, vecchi e bambini?.
? in questa situazione che la famiglia
decide di far partire Zaher, in cerca di una
vita pi¨´ sicura. ?, del resto, quanto hanno
spesso fatto gli hazara, storicamente emi-
grati in Pakistan, Iran, Australia, Canada,
Regno Unito, nord Europa (Danimarca e
Svezia).
Zaher, dunque, parte, insieme a uno zio.
Contattano un passeur, vengono caricati
con tanti altri in un furgone e arrivano in
Iran, forse a Kashan. Il ragazzo incomin-
cia a lavorare come saldatore, guadagna
poco ma risparmia, in vista di altre mete.
L¡¯Iran, anche se ¨¨ una meta storica dell¡¯e-
migrazione hazara, non ¨¨ il posto che de-
sidera. Tra l¡¯altro, anche se sciiti, gli haza-
ra vi sono mal tollerati, soggetti ad abusi e
arbitrii, anche sul lavoro, a espulsioni che
spesso seguono a controlli pretestuosi nei
cantieri, nei campi, nelle botteghe. Zaher
prepara dunque il nuovo viaggio, questa
volta da solo. A quanto se ne sa, va in Kur-
distan, passa in Turchia, pagando con i ri-
sparmi i trafficanti di uomini che possono
fargli attraversare il confine. Arriva cos¨¬ a
Istanbul, poi a Smirne e quindi, via mare,
in Grecia, a Lesbo e da qui a Patrasso, il
porto che allora rappresenta la base di
partenza pi¨´ frequente verso l¡¯Italia e l¡¯Eu-
ropa centrale e del nord.
Oggi ¨¨ stata aperta un¡¯altra via, di terra,
attraverso Ungheria e Serbia, ma allora
Patrasso, soprattutto, e Igoumenitsa, rap-
ILQUARTINODIP99
Ilragazzinoafghano
hasmessodiessereunasemplice
notadicronacaeunnumero,
partefreddadiunastatistica,
perdiventareunvolto,
unavoce,unavita
Il quaderno, tradotto dagli
operatori e dai mediatori
culturali del Comune, conteneva
il racconto della vita di Zaher
nella sua ultima stagione.
C¡¯erano disegni e note
L¡¯AUTORE
GIANFRANCO BETTIN
n Gianfranco Bettin, veneziano di Porto
Marghera, ¨¨ scrittore, ricercatore, attivista
politico e ambientalista.
Collabora con il manifesto, con i quotidia-
ni del gruppo Agl-Repubblica e con il men-
sile Lo straniero.
Ha pubblicato i romanzi: Qualcosa che
brucia (Garzanti, 1989; Baldini e Castoldi,
2003), Sarajevo Maybe (Feltrinelli, 1994),
Nemmeno il destino (Feltrinelli, 1997 e
2004, da cui ¨¨ stato tratto il film omonimo di
Daniele Gaglianone), Nebulosa del Boome-
rang (Feltrinelli, 2004).
Ha scritto inoltre diverse ?indagini narra-
tive?: Dove volano i leoni. Fine secolo a Ve-
nezia (Garzanti, 1991), L¡¯erede. Pietro Maso,
una storia dal vero (Feltrinelli, 1992), Pe-
trolkimiko. Le voci e le storie di un crimine
di pace (Baldini e Castoldi, 1998), La strage.
Piazza Fontana, verit¨¤ e memoria (con
Maurizio Dianese, Feltrinelli, 1999), Petrol-
killer (con Maurizio Dianese, Feltrinelli,
2002), Eredi. Da Pietro Maso a Erika e
Omar (Feltrinelli, 2007), Gorgo. In fondo al-
la paura (Feltrinelli, 2009).
In Eredi, come gi¨¤ in L¡¯erede, ha indagato
le motivazioni profonde e le influenze del
contesto che hanno portato dei giovani di
provincia a escogitare con totale freddezza e
poi a portare a termine con efferatezza la
strage dei propri genitori, aiutati da loro coe-
tanei.
Con Gorgo ha continuato a interrogarsi
sulla genesi e sulle conseguenze della violen-
za pi¨´ brutale. Nel 2007 a Gorgo, nel profon-
do Nordest, due anziani coniugi, custodi di
una grande villa, vengono sorpresi nel sonno
da alcuni banditi che li uccidono dopo averli
torturati per costringerli ad aprire la cassa-
forte. ? un delitto orrendo. L¡¯intera regione ¨¨
sconvolta, e l¡¯arresto dei tre sospetti non at-
tenua la paura crescente. Anche in questo ca-
so, Gianfranco Bettin non si limita a raccon-
tare la violenza nel suo manifestarsi, ma pro-
va a narrare l¡¯effetto che provoca su un¡¯intera
comunit¨¤.
Alcuni suoi racconti sono apparsi in volu-
mi e in riviste.
sabato 13 febbraio 2016 | pagina99 | IIIILQUARTINODIP99
Zaher, Aylan e gli altri
Alessandro Leogrande*
Nel Fuoribordo di questa settimana Gianfranco
Bettin, gi¨¤ autore di inchieste narrative che han-
no svelato le fratture e i tormenti del Veneto pro-
fondo, racconta la storia di Zaher Rezai.
Zaher ¨¨ un ragazzino afghano che, nel porto di
Patrasso, si ¨¨ aggrappato con tutte le sue forze
sotto un camion salito su un traghetto diretto
verso l¡¯Italia. Quando il tir ¨¨ sbarcato a Venezia, ¨¨
rimasto attaccato alla sua pancia per otto chilo-
metri, per poi essere sbalzato a un incrocio di
Mestre, e rimanere schiacciato sotto le sue ruote.
La storia di Zaher non ¨¨ rimasta nell¡¯anonimato,
al contrario di quella di migliaia di profughi che
muoiono ogni anno ai bordi delle nostre frontie-
re. ? diventata il fulcro di un¡¯opera collettiva di
recupero della memoria. ? stato dato il suo nome
al bosco che sorge proprio davanti al luogo del-
l¡¯incidente. Alla sua storia ¨¨ stata dedicata una
installazione ivi costruita, un fumetto, una poe-
sia, un¡¯opera teatrale, oltre che ovviamente que-
sto long form, che prova a narrare il suo mondo e
i suoi sogni. Come nel caso di Aylan, il bambino
siriano morto nel tentativo di raggiungere un¡¯i-
sola dell¡¯Egeo l¡¯estate scorsa, la storia di Zaher ¨¨
una delle pochissime uscite dal cono d¡¯ombra del
rigetto e dell¡¯assuefazione.
Bettin si chiede se queste storie ?salvate?, e il
semplice fatto di raccontarle, possano essere uno
strumentoutilecontrol¡¯obliocheavvolgelamor-
te in massa davanti ai nostri confini o se, piutto-
sto, tale operazione di recupero delle ¡°singole¡± vi-
cende umane non rischi paradossalmente, dopo
alcuni giorni di emozione, di semplificare, e
quindi depotenziare, ci¨° che sta accadendo. ?
una questione cruciale, che riguarda gli stessi
modi del narrare: quali sono, in fondo, le forme
giornalistiche o letterarie pi¨´ adatte?
Raccontare la storia di Zaher, Aylan e gli altri,
provare a ricostruire non solo il modo in cui non
ce l¡¯hanno fatta, ma anche le rotte che hanno se-
guito, le infinite frontiere e le battute d¡¯arresto
che hanno dovuto oltrepassare, i motivi che li
hanno spinti a partire da soli o insieme ai loro fa-
miliari, la devastazione della guerra all¡¯origine di
tutto, ¨¨ l¡¯unico strumento di cui disponiamo per
rompere la campana di vetro. Ma poi, come dice
Bettin, una volta recuperati i singoli volti, o al-
meno alcuni di essi, andr¨¤ anche stabilita una re-
lazione tra quei singoli volti e la dimensione co-
rale, plurale, composita, sfilacciata degli esodi
che si accavallano davanti ai nuovi muri dell¡¯Eu-
ropa.
*curatore dell¡¯inserto
FUORIBORDOpresentavano quasi le sole porte per entra-
re in Europa provenendo dai Balcani e
dall¡¯Oriente. ? l¨¬, dunque, che il ragazzo
tenta di imbarcarsi di nascosto nelle navi e
nei traghetti per l¡¯Italia. Viene scoperto
pi¨´ volte, ma ritenta sempre. L¡¯ultima vol-
ta le guardie scoprono tre ragazzi che ten-
tano insieme a lui, ma non Zaher. Cos¨¬
parte e, finalmente, nella tarda sera del 10
dicembre del 2008, approda a Venezia.
Forse non sa che, per un tratto, ha percor-
so a ritroso, non da mercante ma da fug-
giasco, da cercatore di futuro e non di spe-
zie o tessuti, la strada di Marco Polo tra
Venezia e l¡¯Oriente. Proprio quel Marco
Polo ¨C eroe dei viaggiatori, dei mercanti e
dei narratori ¨C a cui ¨¨ intitolato l¡¯aeroporto
internazionale vicino al quale, a un incro-
cio di strada a cui giunge aggrappato con
le unghie sotto un camion, in una mezza-
notte fredda e piovosa, Zaher incontra il
proprio destino.
Un destino che suscita grande emozione
in citt¨¤ e che rimbalza sulle cronache na-
zionali e la cui eco, a distanza di qualche
anno, non si ¨¨ ancora spenta del tutto. Il
lavoro dei mediatori culturali del Comune,
che hanno tradotto i suoi testi e li hanno
inquadrati nella situazione culturale e
geopolitica in cui trovano origine, ha fatto
s¨¬ che i materiali continuino a circolare e
vengano a volte rielaborati e riproposti.
* ** **
Basir Ahang, poeta della diaspora af-
ghana, e giornalista, rifugiato politico in
Italia e attivista per i diritti umani, ha de-
dicato a Zaher una poesia nella sua raccol-
ta Sogni di tregua, edita da Gilgamesh:
Una voce a tutti nota invita la gente in
via Orlanda/
? la morte a parlare/
Le gocce di sangue recitano poesie/
Bimbo affamato, disertore di guerra/
Il mio cuore un aquilone vuol far vola-
re/
E su di esso scrivere:/
giardiniere, apri le porte del tuo giardi-
no/
io non sono un ladro di fiori.
Gianluca Costantini, grande disegnato-
re, ha dedicato a Zaher una breve, strug-
gente graphic novel intitolata 8 Km (la di-
stanza tra il porto di Venezia e l¡¯incrocio di
via Orlanda in cui ¨¨ avvenuto l¡¯incidente
mortale). 8.008 km. Storia di Zaher Rezai
¨¨ invece il titolo di un¡¯inchiesta teatrale di
Riccardo Venturi, pi¨´ volte messa in sce-
na, una ricostruzione narrativa di forte
impatto del viaggio di Zaher (rintracciabi-
le su YouTube). In molti articoli e saggi la
vicenda viene ogni tanto ricordata, ed ¨¨
anche entrata in un romanzo per ragazzi,
Il volo dell¡¯aquilone, di Arturo Buzzat e Ri-
ta Musumeci, editore Tredieci.
Insomma, Zaher non viene dimentica-
to. La sua storia non ha avuto l¡¯eco di quel-
la di Enaiatollah Akbari, fuggito bambino
Zaher, o per Aylan, fondata sulla commo-
zione magari genuina ma circoscritta al
caso per caso, non ¨¨ una risposta, neppure
parziale, non ¨¨ neppure, da s¨¦ sola, un
buon segno. Zaher e Aylan e qualche altro
sono usciti dalle statistiche e dai loro gran-
di e freddi numeri per diventare volti e sto-
rie, ma quel che serve ¨¨ invece proprio una
politica che sia all¡¯altezza di quelle statisti-
che, di quei grandi numeri.
dall¡¯Afghanistan e giunto in Italia, raccon-
tata da Fabio Geda nel best-seller Nel ma-
re ci sono i coccodrilli (Baldini e Castoldi),
o della storia di Samia Yusuf Omar atleta
di Mogadiscio, capace di qualificarsi a
prezzo di enormi fatiche e sacrifici per le
Olimpiadi di Pechino a soli diciassette an-
ni e divenuta un simbolo per le donne mu-
sulmane di tutto il mondo, ma poi contra-
stata dagli integralisti al potere in Etiopia
fino al punto di tentare il gran viaggio at-
traverso il Sahara e il mare Mediterraneo,
dove annegher¨¤ cercando di arrivare in
Italia, storia narrata nel libro di Giuseppe
Catozzella Non dirmi che hai paura (Fel-
trinelli), un best-seller a sua volta.
Anche se non ha avuto l¡¯impatto pubbli-
co di queste grandi odissee, la storia di
Zaher non ¨¨ stata dunque dimenticata.
Certo non nella citt¨¤ in cui ha trovato tra-
gico epilogo, che ne coltiva la memoria
perfino letteralmente, dedicando al ragaz-
zo afghano uno dei luoghi ai quali sta le-
gando il proprio stesso cambiamento, il
bosco che sta crescendo ai suoi limiti, dove
il Quaderno ne tiene vivo il ricordo e dove
molti vanno ad annodare, sul basamento
dell¡¯installazione, accanto alle garze colo-
rate poste in origine dall¡¯autore Gardenal
per evocare i colori e le vesti della terra del
ragazzo afghano, altre sciarpe, foulard, ca-
tenine, aggiungendovi un segno proprio,
una propria testimonianza affettuosa e so-
lidale.
Pubblicando i testi di Zaher, Francesca
Grisot, oltre a confermare come sia fre-
quente, nella sua esperienza di mediatrice
culturale, che i ragazzi afghani, anche po-
co istruiti o perfino analfabeti, sappiano a
memoria versi di poesie e canzoni e li usi-
no per darsi forza durante il viaggio, ne ha
trascritti alcuni che sentiva pi¨´ spesso ri-
petuti, sulla paura di morire lontani da ca-
sa:
Se un giorno in esilio la morte decider¨¤
di prendersi il mio corpo/
Chi si occuper¨¤ della mia sepoltura, chi
cucir¨¤ il mio sudario?/
In un luogo alto sia deposta la mia ba-
ra/
Cos¨¬ che il vento restituisca alla mia Pa-
tria il mio profumo.
Era, certamente, anche la paura di
Zaher. In questo caso, per¨°, Venezia ha
fatto di pi¨´ che aiutare il vento a restituire
il suo profumo alla patria. Ha riportato a
casa il suo corpo, a Mazar-i Sharif. La sua
famiglia ¨¨ stata rintracciata e nel racconto
di Hamed Mohamad Karim, regista af-
ghano e rifugiato politico da tempo in Ita-
lia, che ¨¨ riuscito a parlare con il padre di
Zaher, allo strazio per la notizia ricevuta si
accompagna il rimorso.
?Che Dio perdoni me e gli altri, perch¨¦
lo abbiamo ucciso con le nostre stesse ma-
ni?, ha detto il padre. ?Io e i miei coetanei
qui in Afghanistan, che abbiamo creato
solo un ambiente di guerra in cui nessuna
possibilit¨¤ ¨¨ lasciata ai giovani, ma anche
coloro che lo hanno accolto, perch¨¦ hanno
fatto in modo che per cercare salvezza si
dovesse infilare sotto un camion?.
Un rimorso che non dovrebbe essere so-
lo della famiglia o della generazione af-
ghana che non ha saputo garantire nulla ai
propri figli, se non l¡¯aiuto a fuggire. Sap-
piamo quanta responsabilit¨¤ abbiano al-
tre potenze, altre forze, in questa storia, e
come sia stata spinta a un epilogo cos¨¬ cu-
po dalla mancata assunzione di un vero
impegno nei confronti di chi fugge da si-
tuazioni estreme, soprattutto se si tratta di
minori.
Abbiamo visto come Zaher non sia
stato dimenticato. Ma ci dobbiamo chie-
dere a cosa sia servita questa conoscenza
della sua storia da parte di molti, auto-
rit¨¤ e governi compresi. ? cambiato
qualcosa per quelli in fuga come lui? ?
pi¨´ o meno facile, adesso, entrare rego-
larmente in Europa, in Italia? Commuo-
versi su Zaher ¨C o su Aylan ¨C ha signifi-
cato cambiare qualcosa?
Il fatto ¨¨ che commuoversi su Zaher, co-
me su Aylan e sui tanti, troppi come loro,
dedicargli luoghi e boschi e monumenti
(come quello che Ai Weiwei vuole intitola-
re ai migranti a Lesbo) e poesie e racconti,
e articoli come questo, non pu¨° bastare.
Una sola parola trascritta da Zaher nel suo
quaderno, una di quelle incise nel Quader-
no nel bosco, vale tutta la massa di chiac-
chiere riversata sul suo caso e in generale
sulla vicenda dei migranti dei nostri anni.
Parole spesso spese per celare il vuoto di
gestione dell¡¯epocale questione da cui tali
vicende dipendono. Una politica per
ZahervenivadaMazar-iSharif,
unadellemaggioricitt¨¤afghane,
sullaviadellasetapercorsa
daMarcoPoloedatantialtri
mercantieuropei.Lacitt¨¤
dellasplendida¡°moscheablu¡±

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Il quaderno afghano nel cuore del bosco

  • 1. sabato 13 febbraio 2016 | pagina99 | IILQUARTINODIP99 il quaderno afghano nel cuore del bosco Si chiamava Zaher Rezai. Il suo nome dir¨¤ qualcosa a qualcuno. Aveva tredici anni, o forse un po¡¯ di pi¨´. Era partito ancora bambino da Mazar-i Sharif. Aveva viaggiato avventurosamente fino a Venezia, l¡¯ultimo tratto nascosto in un traghetto GIANFRANCO BETTIN n ? da un piccolo ponte sopra un fosso che si intravede presto il Quaderno, in una radura dove i sentieri si incrociano e si diramano verso il folto del bosco. Il Quaderno ¨¨ un¡¯in- stallazione in acciaio corten e in ferro e otto- ne, poggiata su una base circolare attorno alla quale si aprono e si possono sfogliare al- cune grandi pagine metalliche ¨C di circa 50 cm per 30 ¨C sorrette da un basamento da cui si alza di un paio di metri un¡¯asta sottile sulla quale garrisce uno stendardo che pare scol- pito nell¡¯aria. L¡¯installazione, un¡¯agile e sug- gestiva scultura, ¨¨ opera di Luigi Gardenal, pittore, incisore, grafico e designer classe 1950, formatosi con Guidi, Vedova, De Lui- gi, Santomaso. Le pagine color ruggine reca- no incisi dei versi, la controcopertina simbo- li e motivi orientali. Qualche anno fa, a Ca¡¯ Pesaro, una mostra antologica di Gardenal si era ispirata a questi motivi in una sezione intitolata Afghan Visa. Gardenal conosce bene i luoghi tra Europa e Asia, raggiunti va- licando pi¨´ volte il Khyber Pass, quando an- coraeraunaviadidialogoediscambioenon l¡¯incrocio periglioso e devastato che poi ¨¨ di- ventato. Conosce e ha visto i Buddha della valle Bamiyan, distrutti dalla furia talebana poco prima dell¡¯attacco alle Torri gemelle. In quei posti favolosi e tragici e in tutta l¡¯area ora inquieta e sconvolta tra Medio Oriente, Iraq, Iran, Turchia, Afghanistan, Pakistan, Nepal, Tibet e India, ha viaggiato e lavorato come disegnatore archeologico e ?cacciato- re? di segni, di forme e colori, di nutrimenti culturali e di visioni. Non poteva non restare colpito dalla storia di chi teneva nelle tasche il quaderno che ha ispirato quel ?monu- mento? nel bosco. Il sentiero che porta al Quaderno si inol- tra nella selva spogliata dall¡¯inverno, tra gli alberi, gli arbusti di biancospino, le sie- pi boscate. Le siepi, soprattutto, racconta- no che cosa c¡¯era prima, qui: un mondo contadino che altrove, non lontano, ¨¨ scomparso sotto colate di cemento e asfal- to, templi del commercio e del consumo, capannoni. A suo tempo febbrili cellule del miracolo economico, i capannoni del nor- dest, pur provati dalla crisi, sfidano la con- giuntura, tenendo duro e preparando l¡¯a- gognata ripresa. Le siepi invece sono un reperto preserva- to, una traccia del passato, di quando dava- no fascine, legname e vimini. Come le col- tivazioni, i casolari, le campagne: un mon- do che si ¨¨ prima spopolato con l¡¯emigra- zione di massa, poi convertito in universo industriale e urbano e infine largamente fatto artigianale intensivo (proprio nei ca- pannoni) e commerciale alla maniera ame- ricana e ?globale? (dalla bottega di vicina- to e dal mercato di paese all¡¯outlet e al me- gacentro aperti sette giorni su sette). Qui invece, nella zona nord orientale del territorio di Venezia, dove la conurbazione che da Porto Marghera, inglobando Mestre, si sgrana verso l¡¯aeroporto Marco Polo, da una ventina d¡¯anni sta crescendo un bosco che riesuma, in un esperimento di re-wilder- ness guidata, l¡¯antico bosco planiziale, prece- dente lo stesso mondo contadino. Oggi le aree aperte alla fruizione pubblica, dopo an- ni di assoluta chiusura per consentirne la crescita pi¨´ libera e tutelata, coprono circa 230 ettari (in totale saranno oltre mille), ar- ticolati in corpose zone boscate ¨C di farnie, frassini, carpini, salici, ontani, aceri, robinie, tigli, platani, olmi: tutte piante autoctone ¨C collegate da percorsi pedonali e ciclabili e in- framezzate da prati, bassure, stagni, fossati. u segue alle pagine II e III ILLUSTRAZIONIDIKOENIVENS G+VarW+OZdhOtoscppkYmt0tA9LZ6HorVTHKeX5PFlo=
  • 2. II | pagina99 | sabato 13 febbraio 2016 u segue da pagina I n Il bosco in cui si trova il Quaderno copre una cinquantina di ettari ed ¨¨ cresciuto dal 2003, anno in cui le nuove semine e pian- tumazioni sono state integrate nel paesag- gio agricolo preesistente, allora in buona parte abbandonato. In pochi passi, dal li- mitare, si entra nel fitto degli alberi, in una specie di sovvertimento spazio-temporale in cui un territorio esempio storico di spe- culazione edilizia e urbanistica e di una snaturata e distorta incarnazione della modernit¨¤ prova a mutare drasticamente i propri connotati e a ritrovare un ancestra- le se stesso in certe radici. Basta aguzzare la vista, e abituare i sensi e si entra subito in un microcosmo paral- lelo all¡¯attiguo universo urbano, un altrove appena di l¨¤ da una linea sottile. Tra le fronde del platano e della farnia ci si pu¨° accorgere del cardellino, insidiato dalla gazza, che ci va apposta a predarne le uova anche se per s¨¦, come la ghiandaia e la tor- tora, predilige il pioppo, nel cui tronco ni- dificano il picchio rosso e il picchio verde. Nel fusto del salice si pu¨° spiare la cincial- legra o, pi¨´ raramente, l¡¯upupa. Nella cep- paia, il merlo. L¡¯olmo lo si pu¨° vedere ospi- tare fringuelli e colombacci. Cuculi, balie nere, scriccioli li si nota arrangiarsi tran- quillamente, come pure, di notte, gufi e ci- vette, confortati, come i pipistrelli, dalla (relativa) lontananza del gran bagliore della citt¨¤, delle autostrade, dell¡¯aeropor- to. Dal bosco sono solo un riflesso azzur- rognolo e giallo tenuto a bada dalle ombre della vegetazione che fa da immensa volie- ra all¡¯avifauna, e da libero e protetto habi- tat a tanti altri animali. * ** ** Si chiamava Zaher Rezai. Il suo nome dir¨¤ qualcosa a qualcuno. Aveva tredici anni, o forse un po¡¯ di pi¨´. Era partito an- cora bambino dall¡¯Afghanistan. Era giun- to in Iran e vi era rimasto a lavorare come saldatore. Aveva quindi viaggiato avven- turosamente fino a Venezia, l¡¯ultimo tratto nascosto in un traghetto per attraversare il mare. Poi, nel porto di Venezia, si era ag- grappato sotto un camion per eludere i controlli di frontiera. Aveva percorso cos¨¬ gli ultimi otto chilometri. A Mestre, a un incrocio non lontano da dove sorge il bo- sco che accoglie il Quaderno e che oggi, per volont¨¤ del Comune, porta il suo nome ¨C il ?Bosco di Zaher? ¨C ¨¨ caduto, o ha pro- vato a scendere, ed ¨¨ morto schiacciato sotto le ruote. Aveva con s¨¦ un quaderno e alcuni animaletti di plastica: un alce, una rondine, una giraffa e un leone. Sembrava- no giocattoli e, al tempo stesso, talismani e ricordi. Evocavano un¡¯infanzia o un¡¯adole- scenza, un tempo breve della vita persona- le, e un tempo lungo, millenario, della sto- ria naturale e della geografia. Il documen- to d¡¯identit¨¤ che aveva in tasca diceva che era nato a Mazhar-i Sharif tredici anni pri- ma. Secondo i medici che ne hanno ispe- zionato il corpo forse aveva tre o quattro anni di pi¨´ e forse quel documento era sta- to contraffatto per agevolarne l¡¯ingresso e l¡¯accoglienza in Europa. Inutilmente, dun- que. Peraltro, alla frontiera, Zaher non ha nemmeno tentato di farla valere, la mino- re et¨¤ dichiarata sulla carta, a riprova, for- se, di un¡¯assenza di premeditazione e con- traffazione. Il quaderno, tradotto dagli operatori e dai mediatori culturali del Comune, con- teneva un indiretto e toccante racconto della vita di Zaher nella sua ultima stagio- ne. C¡¯erano disegni e note sul suo lavoro di saldatore in Iran. C¡¯erano i poveri conti di spese e risparmi. E c¡¯erano versi di poesie e canzoni della tradizione hazara, l¡¯etnia a cui apparteneva, in parte riprodotti nel- l¡¯installazione di Gardenal. Una volta tra- dotti e pubblicati, sono stati soprattutto questi versi ¨C in lingua hazaragi, un idio- ma persiano con echi turchi e mongoli, parlato da circa il 20% della popolazione afghana ¨C ad attirare l¡¯attenzione di molti, oltre all¡¯atroce incidente che a Zaher era costato la vita. Non era il primo incidente simile, e non era il primo ragazzo a morire nel tentativo di entrare in Italia, da queste stesse parti. Ma quei dettagli cos¨¬ singola- ri, suggestivi ¨C i versi, gli animaletti, il dia- rio di lavoro ¨C avevano trattenuto pi¨´ a lungo del solito l¡¯attenzione sul caso. Non si era esaurita subito, come sempre, dopo un attimo di piet¨¤. La calligrafia era da ragazzino poco istruito, ma la tradizione poetica e cultu- rale che in quelle righe echeggiava era pro- fonda e ricca, spesso trasmessa a voce e mandata a memoria pi¨´ che attinta leg- gendo, studiando. * ** ** Nei versi che Zaher aveva trascritto, tra- dotti da Hamed Mohamad Karim e Fran- cesca Grisot, con la collaborazione di Do- menico Ingenito, si canta l¡¯amore, la natu- ra, la bellezza: Tu porti il profumo delle gemme che sbocciano/ sei come un fiore di primavera./ ? dolce il tuo affetto,/ amo parlare con te./ Tu sei un amico incantevole,/ sei una seta di passione e bellezza. Si racconta la fatica del viaggio, la pena dell¡¯incertezza, il timore di non farcela: Questo corpo cos¨¬ assetato e stanco/ Forse non arriver¨¤ all¡¯acqua del mare./ Non so ancora quale sogno mi riserver¨¤ il destino,/ ma promettimi, Dio,/ che non lascerai finisca la primavera./ Oh mio caro, che dolore riserva l¡¯attimo dell¡¯attesa/ ma promettimi, Dio, che non lascerai fi- nisca la primavera. Si esprime l¡¯estrema determinazione, in cui l¡¯amore per qualcuno (o il desiderio di amare qualcuno) si confonde con l¡¯amore per la vita e per la libert¨¤ e l¡¯uno e l¡¯altro motivano l¡¯andare, oltre ogni confine e asperit¨¤, e si invoca l¡¯esaudirsi, nel caso, dell¡¯ultimo desiderio, inerme e fiero: Tanto ho navigato, notte e giorno, sulla barca del tuo amore/ che, o riuscir¨° in fine ad amarti o mori- r¨° annegato./ Giardiniere, apri la porta del giardino, io non sono un ladro di fiori,/ io stesso mi sono fatto rosa, non vado in giro in cerca di un fiore qualsiasi. Attraverso i media questi versi hanno circolato e hanno colpito molti, l¡¯opinione pubblica. Il ragazzino afghano, per una volta, ha smesso di essere una semplice nota di cronaca e un numero, parte fredda di una statistica ¨C i caduti sulla strada del- le migrazioni, i respinti che cercano infau- stamente di aggirare la regole, di valicare la frontiera ¨C per diventare un volto, una voce, una vita. ? stato uno dei primi casi in cui ci¨° ¨¨ successo. Di recente ¨¨ accaduto al piccolo Aylan, il bambino siriano di tre an- ni annegato insieme al fratellino Galip di cinque e alla madre Rehan, nelle acque dell¡¯Egeo tra Grecia e Turchia. La foto del suo corpo riverso sulla spiaggia di Bodrum ha fatto il giro del mondo e ha prodotto un salto nella consapevolezza europea del dramma dei migranti. ? uscito dalle stati- stiche ed ¨¨ diventato (¨¨ tornato a essere) un volto, una maglietta rossa e un paio di scarpine fradice, una storia. La commozione, nel caso di Zaher, ¨¨ poi anche diventata richiesta di chiarezza. So- no state fatte delle domande. Non si ¨¨ solo preso atto, pi¨´ o meno distrattamente, dell¡¯epilogo. Perch¨¦ ¨¨ morto cos¨¬? ? stato chiesto. Perch¨¦ ha dovuto ricorrere a quel temerario, disperato, fatale espediente per entrare nel continente dei diritti? Cosa succede davvero al porto di Venezia quan- do arrivano i migranti? Succede ¨C ¨¨ poi emerso ¨C che vengano spesso respinti senza neanche verificare chi siano, da dove vengano, da cosa fugga- no, quali siano i loro diritti e quali i doveri di uno stato dell¡¯Unione europea e comun- que come vengano rispettati i diritti uma- ni su questa frontiera. Che se ne occupi so- lo la polizia, non i mediatori, non i rappre- sentanti dell¡¯ufficio per i rifugiati, non gli operatori del Comune, tagliati fuori. Ci so- no state manifestazioni, denunce. Il Co- mune di Venezia ha ritirato, in un primo tempo, la propria collaborazione con le autorit¨¤ di frontiera, per riprenderla solo quando ¨¨ stata assicurata una maggiore attenzione ai migranti, al rispetto delle re- gole anche da parte delle stesse autorit¨¤, e il rispetto dei diritti umani. Questa atten- zione ha anche spinto ad approfondire la storia di Zaher, le motivazioni del suo viaggio, dei viaggi di molti come lui. * ** ** Zaher veniva da Mazar-i Sharif, si ¨¨ sa- puto, una delle maggiori citt¨¤ afghane, sulla via della seta percorsa da Marco Polo e da tanti altri mercanti europei. La citt¨¤ della splendida moschea blu dedicata al cugino e genero del Profeta. Infatti, in af- ghano, il nome della citt¨¤ significa ¡°nobile santuario¡±. La partenza di Zaher, su spinta dei suoi stessi familiari, era legata alla par- ticolare situazione creatasi a Mazar-i Sha- rif negli anni Novanta, dopo la conquista della citt¨¤ da parte dei talebani. Gli haza- ra, il suo gruppo etnico, di origine mongo- lo-caucasica, secondo la leggenda discen- dente dai soldati dell¡¯armata di Gengis Khan, sono sciiti. Dopo la conquista i ta- lebani imposero la conversione al sunni- smo hanafita, pena dure rappresaglie. Gli hazara avrebbero anche pagato per quan- to era stato in precedenza commesso nella zona ai danni dei talebani, soprattutto do- po che questi nel 1995 avevano ucciso l¡¯ul- timo importante leader hazara, Abdul Ali Mazari, capo del partito Hezbe Wahdat, favorevole a un Afghanistan federalista e pluralista. Circa ottomila hazara sciiti non convertitisi furono uccisi nell¡¯estate del ¡¯98. Secondo Amnesty International, ?le vittime sono state ammazzate in modo de- liberato e arbitrario nelle case e nelle stra- de, dove i cadaveri sono rimasti per giorni. Molti degli uccisi erano civili, tra cui don- ne, vecchi e bambini?. ? in questa situazione che la famiglia decide di far partire Zaher, in cerca di una vita pi¨´ sicura. ?, del resto, quanto hanno spesso fatto gli hazara, storicamente emi- grati in Pakistan, Iran, Australia, Canada, Regno Unito, nord Europa (Danimarca e Svezia). Zaher, dunque, parte, insieme a uno zio. Contattano un passeur, vengono caricati con tanti altri in un furgone e arrivano in Iran, forse a Kashan. Il ragazzo incomin- cia a lavorare come saldatore, guadagna poco ma risparmia, in vista di altre mete. L¡¯Iran, anche se ¨¨ una meta storica dell¡¯e- migrazione hazara, non ¨¨ il posto che de- sidera. Tra l¡¯altro, anche se sciiti, gli haza- ra vi sono mal tollerati, soggetti ad abusi e arbitrii, anche sul lavoro, a espulsioni che spesso seguono a controlli pretestuosi nei cantieri, nei campi, nelle botteghe. Zaher prepara dunque il nuovo viaggio, questa volta da solo. A quanto se ne sa, va in Kur- distan, passa in Turchia, pagando con i ri- sparmi i trafficanti di uomini che possono fargli attraversare il confine. Arriva cos¨¬ a Istanbul, poi a Smirne e quindi, via mare, in Grecia, a Lesbo e da qui a Patrasso, il porto che allora rappresenta la base di partenza pi¨´ frequente verso l¡¯Italia e l¡¯Eu- ropa centrale e del nord. Oggi ¨¨ stata aperta un¡¯altra via, di terra, attraverso Ungheria e Serbia, ma allora Patrasso, soprattutto, e Igoumenitsa, rap- ILQUARTINODIP99 Ilragazzinoafghano hasmessodiessereunasemplice notadicronacaeunnumero, partefreddadiunastatistica, perdiventareunvolto, unavoce,unavita Il quaderno, tradotto dagli operatori e dai mediatori culturali del Comune, conteneva il racconto della vita di Zaher nella sua ultima stagione. C¡¯erano disegni e note L¡¯AUTORE GIANFRANCO BETTIN n Gianfranco Bettin, veneziano di Porto Marghera, ¨¨ scrittore, ricercatore, attivista politico e ambientalista. Collabora con il manifesto, con i quotidia- ni del gruppo Agl-Repubblica e con il men- sile Lo straniero. Ha pubblicato i romanzi: Qualcosa che brucia (Garzanti, 1989; Baldini e Castoldi, 2003), Sarajevo Maybe (Feltrinelli, 1994), Nemmeno il destino (Feltrinelli, 1997 e 2004, da cui ¨¨ stato tratto il film omonimo di Daniele Gaglianone), Nebulosa del Boome- rang (Feltrinelli, 2004). Ha scritto inoltre diverse ?indagini narra- tive?: Dove volano i leoni. Fine secolo a Ve- nezia (Garzanti, 1991), L¡¯erede. Pietro Maso, una storia dal vero (Feltrinelli, 1992), Pe- trolkimiko. Le voci e le storie di un crimine di pace (Baldini e Castoldi, 1998), La strage. Piazza Fontana, verit¨¤ e memoria (con Maurizio Dianese, Feltrinelli, 1999), Petrol- killer (con Maurizio Dianese, Feltrinelli, 2002), Eredi. Da Pietro Maso a Erika e Omar (Feltrinelli, 2007), Gorgo. In fondo al- la paura (Feltrinelli, 2009). In Eredi, come gi¨¤ in L¡¯erede, ha indagato le motivazioni profonde e le influenze del contesto che hanno portato dei giovani di provincia a escogitare con totale freddezza e poi a portare a termine con efferatezza la strage dei propri genitori, aiutati da loro coe- tanei. Con Gorgo ha continuato a interrogarsi sulla genesi e sulle conseguenze della violen- za pi¨´ brutale. Nel 2007 a Gorgo, nel profon- do Nordest, due anziani coniugi, custodi di una grande villa, vengono sorpresi nel sonno da alcuni banditi che li uccidono dopo averli torturati per costringerli ad aprire la cassa- forte. ? un delitto orrendo. L¡¯intera regione ¨¨ sconvolta, e l¡¯arresto dei tre sospetti non at- tenua la paura crescente. Anche in questo ca- so, Gianfranco Bettin non si limita a raccon- tare la violenza nel suo manifestarsi, ma pro- va a narrare l¡¯effetto che provoca su un¡¯intera comunit¨¤. Alcuni suoi racconti sono apparsi in volu- mi e in riviste.
  • 3. sabato 13 febbraio 2016 | pagina99 | IIIILQUARTINODIP99 Zaher, Aylan e gli altri Alessandro Leogrande* Nel Fuoribordo di questa settimana Gianfranco Bettin, gi¨¤ autore di inchieste narrative che han- no svelato le fratture e i tormenti del Veneto pro- fondo, racconta la storia di Zaher Rezai. Zaher ¨¨ un ragazzino afghano che, nel porto di Patrasso, si ¨¨ aggrappato con tutte le sue forze sotto un camion salito su un traghetto diretto verso l¡¯Italia. Quando il tir ¨¨ sbarcato a Venezia, ¨¨ rimasto attaccato alla sua pancia per otto chilo- metri, per poi essere sbalzato a un incrocio di Mestre, e rimanere schiacciato sotto le sue ruote. La storia di Zaher non ¨¨ rimasta nell¡¯anonimato, al contrario di quella di migliaia di profughi che muoiono ogni anno ai bordi delle nostre frontie- re. ? diventata il fulcro di un¡¯opera collettiva di recupero della memoria. ? stato dato il suo nome al bosco che sorge proprio davanti al luogo del- l¡¯incidente. Alla sua storia ¨¨ stata dedicata una installazione ivi costruita, un fumetto, una poe- sia, un¡¯opera teatrale, oltre che ovviamente que- sto long form, che prova a narrare il suo mondo e i suoi sogni. Come nel caso di Aylan, il bambino siriano morto nel tentativo di raggiungere un¡¯i- sola dell¡¯Egeo l¡¯estate scorsa, la storia di Zaher ¨¨ una delle pochissime uscite dal cono d¡¯ombra del rigetto e dell¡¯assuefazione. Bettin si chiede se queste storie ?salvate?, e il semplice fatto di raccontarle, possano essere uno strumentoutilecontrol¡¯obliocheavvolgelamor- te in massa davanti ai nostri confini o se, piutto- sto, tale operazione di recupero delle ¡°singole¡± vi- cende umane non rischi paradossalmente, dopo alcuni giorni di emozione, di semplificare, e quindi depotenziare, ci¨° che sta accadendo. ? una questione cruciale, che riguarda gli stessi modi del narrare: quali sono, in fondo, le forme giornalistiche o letterarie pi¨´ adatte? Raccontare la storia di Zaher, Aylan e gli altri, provare a ricostruire non solo il modo in cui non ce l¡¯hanno fatta, ma anche le rotte che hanno se- guito, le infinite frontiere e le battute d¡¯arresto che hanno dovuto oltrepassare, i motivi che li hanno spinti a partire da soli o insieme ai loro fa- miliari, la devastazione della guerra all¡¯origine di tutto, ¨¨ l¡¯unico strumento di cui disponiamo per rompere la campana di vetro. Ma poi, come dice Bettin, una volta recuperati i singoli volti, o al- meno alcuni di essi, andr¨¤ anche stabilita una re- lazione tra quei singoli volti e la dimensione co- rale, plurale, composita, sfilacciata degli esodi che si accavallano davanti ai nuovi muri dell¡¯Eu- ropa. *curatore dell¡¯inserto FUORIBORDOpresentavano quasi le sole porte per entra- re in Europa provenendo dai Balcani e dall¡¯Oriente. ? l¨¬, dunque, che il ragazzo tenta di imbarcarsi di nascosto nelle navi e nei traghetti per l¡¯Italia. Viene scoperto pi¨´ volte, ma ritenta sempre. L¡¯ultima vol- ta le guardie scoprono tre ragazzi che ten- tano insieme a lui, ma non Zaher. Cos¨¬ parte e, finalmente, nella tarda sera del 10 dicembre del 2008, approda a Venezia. Forse non sa che, per un tratto, ha percor- so a ritroso, non da mercante ma da fug- giasco, da cercatore di futuro e non di spe- zie o tessuti, la strada di Marco Polo tra Venezia e l¡¯Oriente. Proprio quel Marco Polo ¨C eroe dei viaggiatori, dei mercanti e dei narratori ¨C a cui ¨¨ intitolato l¡¯aeroporto internazionale vicino al quale, a un incro- cio di strada a cui giunge aggrappato con le unghie sotto un camion, in una mezza- notte fredda e piovosa, Zaher incontra il proprio destino. Un destino che suscita grande emozione in citt¨¤ e che rimbalza sulle cronache na- zionali e la cui eco, a distanza di qualche anno, non si ¨¨ ancora spenta del tutto. Il lavoro dei mediatori culturali del Comune, che hanno tradotto i suoi testi e li hanno inquadrati nella situazione culturale e geopolitica in cui trovano origine, ha fatto s¨¬ che i materiali continuino a circolare e vengano a volte rielaborati e riproposti. * ** ** Basir Ahang, poeta della diaspora af- ghana, e giornalista, rifugiato politico in Italia e attivista per i diritti umani, ha de- dicato a Zaher una poesia nella sua raccol- ta Sogni di tregua, edita da Gilgamesh: Una voce a tutti nota invita la gente in via Orlanda/ ? la morte a parlare/ Le gocce di sangue recitano poesie/ Bimbo affamato, disertore di guerra/ Il mio cuore un aquilone vuol far vola- re/ E su di esso scrivere:/ giardiniere, apri le porte del tuo giardi- no/ io non sono un ladro di fiori. Gianluca Costantini, grande disegnato- re, ha dedicato a Zaher una breve, strug- gente graphic novel intitolata 8 Km (la di- stanza tra il porto di Venezia e l¡¯incrocio di via Orlanda in cui ¨¨ avvenuto l¡¯incidente mortale). 8.008 km. Storia di Zaher Rezai ¨¨ invece il titolo di un¡¯inchiesta teatrale di Riccardo Venturi, pi¨´ volte messa in sce- na, una ricostruzione narrativa di forte impatto del viaggio di Zaher (rintracciabi- le su YouTube). In molti articoli e saggi la vicenda viene ogni tanto ricordata, ed ¨¨ anche entrata in un romanzo per ragazzi, Il volo dell¡¯aquilone, di Arturo Buzzat e Ri- ta Musumeci, editore Tredieci. Insomma, Zaher non viene dimentica- to. La sua storia non ha avuto l¡¯eco di quel- la di Enaiatollah Akbari, fuggito bambino Zaher, o per Aylan, fondata sulla commo- zione magari genuina ma circoscritta al caso per caso, non ¨¨ una risposta, neppure parziale, non ¨¨ neppure, da s¨¦ sola, un buon segno. Zaher e Aylan e qualche altro sono usciti dalle statistiche e dai loro gran- di e freddi numeri per diventare volti e sto- rie, ma quel che serve ¨¨ invece proprio una politica che sia all¡¯altezza di quelle statisti- che, di quei grandi numeri. dall¡¯Afghanistan e giunto in Italia, raccon- tata da Fabio Geda nel best-seller Nel ma- re ci sono i coccodrilli (Baldini e Castoldi), o della storia di Samia Yusuf Omar atleta di Mogadiscio, capace di qualificarsi a prezzo di enormi fatiche e sacrifici per le Olimpiadi di Pechino a soli diciassette an- ni e divenuta un simbolo per le donne mu- sulmane di tutto il mondo, ma poi contra- stata dagli integralisti al potere in Etiopia fino al punto di tentare il gran viaggio at- traverso il Sahara e il mare Mediterraneo, dove annegher¨¤ cercando di arrivare in Italia, storia narrata nel libro di Giuseppe Catozzella Non dirmi che hai paura (Fel- trinelli), un best-seller a sua volta. Anche se non ha avuto l¡¯impatto pubbli- co di queste grandi odissee, la storia di Zaher non ¨¨ stata dunque dimenticata. Certo non nella citt¨¤ in cui ha trovato tra- gico epilogo, che ne coltiva la memoria perfino letteralmente, dedicando al ragaz- zo afghano uno dei luoghi ai quali sta le- gando il proprio stesso cambiamento, il bosco che sta crescendo ai suoi limiti, dove il Quaderno ne tiene vivo il ricordo e dove molti vanno ad annodare, sul basamento dell¡¯installazione, accanto alle garze colo- rate poste in origine dall¡¯autore Gardenal per evocare i colori e le vesti della terra del ragazzo afghano, altre sciarpe, foulard, ca- tenine, aggiungendovi un segno proprio, una propria testimonianza affettuosa e so- lidale. Pubblicando i testi di Zaher, Francesca Grisot, oltre a confermare come sia fre- quente, nella sua esperienza di mediatrice culturale, che i ragazzi afghani, anche po- co istruiti o perfino analfabeti, sappiano a memoria versi di poesie e canzoni e li usi- no per darsi forza durante il viaggio, ne ha trascritti alcuni che sentiva pi¨´ spesso ri- petuti, sulla paura di morire lontani da ca- sa: Se un giorno in esilio la morte decider¨¤ di prendersi il mio corpo/ Chi si occuper¨¤ della mia sepoltura, chi cucir¨¤ il mio sudario?/ In un luogo alto sia deposta la mia ba- ra/ Cos¨¬ che il vento restituisca alla mia Pa- tria il mio profumo. Era, certamente, anche la paura di Zaher. In questo caso, per¨°, Venezia ha fatto di pi¨´ che aiutare il vento a restituire il suo profumo alla patria. Ha riportato a casa il suo corpo, a Mazar-i Sharif. La sua famiglia ¨¨ stata rintracciata e nel racconto di Hamed Mohamad Karim, regista af- ghano e rifugiato politico da tempo in Ita- lia, che ¨¨ riuscito a parlare con il padre di Zaher, allo strazio per la notizia ricevuta si accompagna il rimorso. ?Che Dio perdoni me e gli altri, perch¨¦ lo abbiamo ucciso con le nostre stesse ma- ni?, ha detto il padre. ?Io e i miei coetanei qui in Afghanistan, che abbiamo creato solo un ambiente di guerra in cui nessuna possibilit¨¤ ¨¨ lasciata ai giovani, ma anche coloro che lo hanno accolto, perch¨¦ hanno fatto in modo che per cercare salvezza si dovesse infilare sotto un camion?. Un rimorso che non dovrebbe essere so- lo della famiglia o della generazione af- ghana che non ha saputo garantire nulla ai propri figli, se non l¡¯aiuto a fuggire. Sap- piamo quanta responsabilit¨¤ abbiano al- tre potenze, altre forze, in questa storia, e come sia stata spinta a un epilogo cos¨¬ cu- po dalla mancata assunzione di un vero impegno nei confronti di chi fugge da si- tuazioni estreme, soprattutto se si tratta di minori. Abbiamo visto come Zaher non sia stato dimenticato. Ma ci dobbiamo chie- dere a cosa sia servita questa conoscenza della sua storia da parte di molti, auto- rit¨¤ e governi compresi. ? cambiato qualcosa per quelli in fuga come lui? ? pi¨´ o meno facile, adesso, entrare rego- larmente in Europa, in Italia? Commuo- versi su Zaher ¨C o su Aylan ¨C ha signifi- cato cambiare qualcosa? Il fatto ¨¨ che commuoversi su Zaher, co- me su Aylan e sui tanti, troppi come loro, dedicargli luoghi e boschi e monumenti (come quello che Ai Weiwei vuole intitola- re ai migranti a Lesbo) e poesie e racconti, e articoli come questo, non pu¨° bastare. Una sola parola trascritta da Zaher nel suo quaderno, una di quelle incise nel Quader- no nel bosco, vale tutta la massa di chiac- chiere riversata sul suo caso e in generale sulla vicenda dei migranti dei nostri anni. Parole spesso spese per celare il vuoto di gestione dell¡¯epocale questione da cui tali vicende dipendono. Una politica per ZahervenivadaMazar-iSharif, unadellemaggioricitt¨¤afghane, sullaviadellasetapercorsa daMarcoPoloedatantialtri mercantieuropei.Lacitt¨¤ dellasplendida¡°moscheablu¡±