Intervento dell'Ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata, Universit LUISS - Milano
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Le crisi del 2014
1. Le crisi del 2014
Intervento dellAmbasciatore Giulio
Terzi di SantAgata
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2. Molte rievocazioni della Prima Guerra Mondiale lo scorso agosto, a un secolo esatto
dall'inizio di quell'immane tragedia, si sono concentrate sulle "lezioni apprese e da
apprendere".
Diverse analisi hanno ricordato come la comunit internazionale disponesse, in
quell'inizio Agosto 1914, di tutti gli strumenti idonei a fermare pericolose derive verso
una guerra.
Sono state sottolineate gravi carenze delle leadership politiche; la loro mal riposta
fiducia nella irripetibilit di un conflitto in Europa dopo quarant'anni di pace; il
convincimento che, dagli albori del XX Secolo, l'evoluzione del diritto internazionale e
dei nuovi strumenti per la soluzione diplomatica delle controversie avessero ormai il
sopravvento sull'uso della forza.
Si 竪 stigmatizzata l'eccessiva fiducia dei Governi europei nelle valutazioni degli
apparati militari; si 竪 notato come alcune dinamiche avessero assunto una loro vita
propria, distorcendo gli effetti di strategie e alleanze che erano state concepite per
ostacolare e bloccare sul nascere, un nuovo conflitto armato, ma proprio quelle
stesse strategie ed alleanze avevano contribuito invece a renderlo ineluttabile.
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3. Pu嘆 cos狸 apparire legittimo chiederci se le "crisi del 2014" e le tensioni che esse
continuano ad alimentare rapidamente attorno a noi non siano destinate a sfociare in
una "crisi globale": quella che Papa Francesco, con quel suo straordinario dono per la
semplicit e la sintesi, ha chiamato "una guerra mondiale in capitoli".
Nei settant'anni trascorsi dal Secondo conflitto mondiale non siamo mai stati
risparmiati da tensioni regionali, scontri nazionali, pulizie etniche, guerre civili; siamo
stati testimoni dell'implosione di interi Stati, pensiamo alla fine dell'Urss e della
Jugoslavia; abbiamo dovuto combattere terrorismi vecchi e nuovi. Tutti questi scenari
si stanno per嘆 riproponendo con una rapidit e una capacit di trasformarsi mai
sperimentate in precedenza.
Ci嘆 avviene anzitutto lungo quel colossale arco di crisi che tocca una molteplicit
impressionante di interessi vitali per l'Italia e per l'Occidente.
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4. Da Donetsk, Sloviansk, e Marioupol, sino ad Aleppo, Idlib e Damasco, per continuare
a Mosul a Tikrit e Samarra, sino a Tripoli, Misurata e Bengazi, e giungere sino alla
Somalia, al Mali e alla Nigeria, sono entrate in crisi architetture di sicurezza
fondamentali per l'Europa, si sono destabilizzati equilibri regionali che hanno per嘆
riflessi globali, si 竪 riacutizzato lo scontro tra le due componenti principali del mondo
islamico, quella sunnita e quella scita.
In Europa, in particolare, sono riemersi i fantasmi di fine Anni Trenta, con:
lo smembramento di uno Stato sovrano europeo colpevole di essersi orientato
verso una maggior integrazione economica con l'Unione Europea, un'area
corrispondente a un quarto del Pil mondiale, anzich竪 verso un'integrazione -
subalterna alla Russia - con un'Unione Eurasiatica certamente pi湛 politica che
economica, con livelli di integrazione, sviluppo sociale, libert civili certo meno
attraenti di quelli europei;
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5. i fantasmi di fine Anni Trenta hanno suggerito di ricorrere, in plateale violazione
di Trattati e intese sulla pace e sicurezza in Europa, all'uso della forza per risolvere
una controversia tra due Stati Europei che aveva tutte le caratteristiche e le
possibilit di essere affrontata e risolta con gli strumenti legali gi ampiamente
utilizzati nel continente europeo - mi riferisco all'autorit per le minoranze
nazionali in ambito Osce - e alle Nazioni Unite.
allo stesso modo, 竪 riemersa dai tempi bui dei nazionalismi del Novecento la
rivendicazione di una sorta di "diritto sovrano" a governare minoranze nazionali
residenti al di fuori dei confini di uno Stato europeo, facendo di questa
rivendicazione un grimaldello per ridisegnare confini statuali, affermare nuovi o
vecchi spazi di influenza, e pi湛 in generale per dimostrare la capacit di Paesi che
si autodefiniscono "revisionisti" a riscrivere norme che essi stessi avevano
fortemente sostenuto persino nel pieno della Guerra Fredda (es. l'Atto Finale di
Helsinki).
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6. Con tutte le difficolt che esistono nella fase attuale di rapporti con la Russia, e con le
evidenti implicazioni che una mentalit da "zero sum game" comportano nella
gestione di molte altre situazioni di crisi, io penso che esista una capacit politica e
una percezione dell'interesse nazionale sia a Mosca che nelle capitali dell'Occidente
tali da evitare una "nuova Guerra Fredda":
penso vi sia da parte russa una capacit politica e una percezione dell'interesse
nazionale in grado di superare le derive "neoeurasiatiche" che pur si annidano nel
clima intellettuale e di opinione che circonda attualmente il Cremlino. Sono infatti
tornati in auge a Mosca pensatori nazionalisti come Alexander Dugin che, sulla
scia di loro precursori di un secolo fa, affermano l'assoluta superiorit etica e
culturale della grande tradizione imperiale russa, rispetto a un Occidente sempre
pi湛 privo di valori e in declino. Mentre altri, come il direttore dell'Istituto di Studi
Diplomatici, Lukin, ha spiegato recentemente con un lungo articolo su Foreign
Affairs quelli che secondo il Cremlino sono i motivi del crescente attaccamento
delle popolazioni dell'Eurasia a forme di "democrazia autoritaria", alla tradizione
ortodossa ad esempio sui valori della famiglia e sul rifiuto dell'omosessualit , a
modelli "solidaristici" dell'economia Eurasiatica, contrapposti ai modelli
occidentali di economia di mercato. Su questo sfondo, si cerca di fornire
legittimit storica e persino etica alla "tutela delle minoranze russofone" nei Paesi
che una volta appartenevano alla "Novorossija" zarista;
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7. si deve trovare al tempo stesso, in campo Occidentale, la necessaria coesione, e
un rinnovato impulso che vorrei chiamare "identitario" ai valori dell'uomo e dello
Stato di Diritto, cos狸 da sostenere una piena volont negoziale di ricreare con la
Russia un quadro di sicurezza cooperativa e di efficace partenariato;
un aspetto cruciale nel ricreare un "partenariato tra eguali", equilibrato, credibile,
senza dipendenze dell'Europa dalla Russia n竪 della Russia dall'Europa, riguarda
ovviamente l'energia. L'UE deve come prima cosa dotarsi di una politica
dell'energia che si basi sul conferimento alla Commissione del mandato a
negoziare per l'UE nel suo insieme. L'acquisto del gas deve avvenire attraverso
un'unica Agenzia, come gi accade per l'Euratom. Questo 竪 fondamentale
soprattutto per l'economia italiana. Le nostre aziende pagano il gas russo un
prezzo irragionevolmente pi湛 alto della media Ue, e questo - originato anche da
errori del passato - non credo sia pi湛 tollerabile;
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8. gli obiettivi immediati sono quelli di ridurre la tensione con iniziative politiche; di
mantenere chiarezza sulle regole di fondo nella soluzione di una crisi, quella
Ucraina, che non deve tradursi in un ennesimo, gigantesco "conflitto congelato";
di ottenere su questo aspetto un chiarimento di Mosca, perch辿 inquietano le
ultime dichiarazioni russe sulla Moldova, e sono troppo numerosi i precedenti
dell'estensione dell'influenza russa attraverso forme di "destabilizzazione
controllata" del suo vicinato: in Abhazia, in Ossezia, in Transnistria, in Nagorno
Karabakh.
Per ridare spazio a soluzioni politiche, 竪 utile forse ricordare alcune esperienze
maturate nella Guerra Fredda: in tema di corretta percezione degli obiettivi della
controparte; di continuit di contatti tra i leader; di misure di fiducia, sul piano sia
politico che militare.
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9. Per quanto complessa appaia una ri-stabilizzazione di quel rapporto che una volta si
chiamava, e forse dopo l'annessione della Crimea deve ancora chiamarsi, rapporto
Est/Ovest, la situazione che caratterizza "il Grande Mediterraneo", quella ampia,
differenziata, dinamica realt geopolica che si estende da Gibilterra alla
Mesopotamia, appare ancor pi湛 complessa, e per molti versi meno decifrabile.
Per fare un solo esempio: a fine novembre scorso, non ero io certo il solo a sostenere
che vi fosse un'altissima probabilit che Putin utilizzasse, in modo pi湛 o meno palese,
la forza militare in Ucraina.
Ma quanti si erano accorti verso met 2012 che il mancato sostegno alle componenti
moderate della rivolta anti Assad, che pure esistevano ed erano in quei mesi ancora
ampiamente maggioritaria, avrebbe dato spazio a un fenomeno nuovo, pericoloso,
radicato e diffuso come quello dello Stato Islamico, il Daesh?
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10. Per questo condivido il pensiero di quanti sostengono che i semi dell'instabilit e dei
conflitti nel 2014 stanno affondando radici sempre pi湛 profonde nel "Grande
Mediterraneo". qui che sono implosi Stati chiave per la stabilit mediorientale e
nordafricana, che vengono massacrate intere popolazioni, con esodi, migrazioni
epocali, tragedie in mare, e soprattutto il fortissimo rilancio - in proporzioni e forme
che nessuno, neppure il pi湛 pessimista degli analisti, aveva neppur lontanamente
intuito - delle forze peggiori, pi湛 radicali e militanti dell'islamismo fondamentalista.
a partire da quanto sta avvenendo nel "Grande Mediterraneo" che i nostri interessi
vitali rischiano di essere pi湛 gravemente compromessi: non solo quelli economici,
energetici, o di coesione sociale (migrazioni), ma anche quelli di fondamentale
importanza per la pace e la sicurezza globale: il rispetto dei diritti umani, dello Stato
di Diritto, del diritto internazionale.
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11. Iraq, Siria, Libia, tre Paesi chiave per l'economia e la sicurezza dell'Europa, e in
particolare per la nostra, sono praticamente da considerare "failed states".
Si tratta di tre paesi con 62 milioni di abitanti, con enormi risorse naturali e umane,
con popolazioni giovani, posti all'incrocio tra Asia, Africa e Europa.
Paesi nei quali guerre settarie hanno gi destabilizzato intere regioni, e coinvolto
ormai direttamente i confini dell'Alleanza Atlantica - vedasi la situazione turca -
l'Europa e l'America, con i Jihadisti reclutati in Occidente, la propaganda all'odio,
l'immigrazione incontrollata e perfino non documentata dai nostri stessi Governi.
Da questi tre Paesi sono arrivate sulle coste europee dall'inizio delle "Primavere
Arabe" centinaia di migliaia di persone che rischiano moltissimo pur di lasciare
l'inferno dal quale provengono. In due di questi paesi - Siria e Iraq - l'islamismo pi湛
radicale ha trasformato la Jihad da messianica rivincita contro un Occidente di
Crociati, a realt militare, politica ed economica radicata territorialmente.
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12. Il Daesh non prospera perch辿 protetto da un Governo, come al Qaeda dai Talebani in
Afghanistan o Tehrik-i-Taliban da settori dell'establishment Pakistano. Il Daesh 竪 lo
Stato stesso, si afferma militarmente persino sotto i massicci bombardamenti
americani e degli alleati occidentali e arabi, esercita una forza di attrazione
assolutamente inedita, governando per ora la diffusione del suo messaggio sul web, e
preparandosi probabilmente ad attacchi "cyber" e non convenzionali anche contro
l'Occidente.
Lo Stato Islamico costituisce una minaccia rivolta all'intero Medio Oriente ed a noi.
Non dimentichiamo tuttavia come questa minaccia sia stata incoraggiata, sostenuta,
rafforzata, oltre che direttamente da Damasco e da Teheran, dal conflitto tra Sunniti e
Sciti, indipendentemente, e ancor ben prima del delinearsi di una minaccia dello
Stato Islamico contro l'Occidente:
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13. Vero che all'interno del mondo sunnita si continuano a manifestare fratture
profonde, che la conflittualit nell'Islam traduce in persecuzioni di Cristiani, Yazidi,
Curdi, e che in conseguenza di ci嘆 nel giro di qualche decennio la presenza cristiana
in Medio Oriente 竪 crollata dal 20%al 5%.
Vero che Gaza si 竪 "infiammata"per ben tre volte negli ultimi sei anni, e che la
soluzione dei "Due Stati", Israeliano e Palestinese, 竪 prigioniera di un completo stallo
negoziale, nonostante la maggioranza del pubblico israeliano e palestinese ritenga
che lo status quo non sia pi湛 praticabile.
Ma 竪 su questo sfondo che, a mio parere, lo storico conflitto tra Sunniti e Sciti, in
Siria, Iraq, Libano, nel Golfo, si pone come assolutamente centrale. Esso interagisce
con altri elementi ad alta criticit:
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14. gli accordi sulla ripartizione di poteri in Libano, in Iraq, in Yemen;
il ruolo regionale dell'Iran e il suo programma nucleare;
il problematico rapporto tra Riyad e Teheran, tra Ankara e Damasco;
le relazioni tra i sei Paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo;
gli obiettivi non coincidenti, anzi spesso concorrenziali, dei paesi a Governo
prevalentemente sunnita o scita sulle questioni siriana, irachena, libica e pi湛 in
generale sul contrasto al fondamentalismo.
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15. Le "onde lunghe"del confronto sunnita scita raggiungono Egitto, Algeria, Somalia,
Kenya, Nigeria, Mali e qualsiasi altro luogo dove i contrapposti fondamentalismi
riescano a utilizzare a proprio vantaggio successi o insuccessi dell'avversario in altre
parti del mondo. L'uccisione di Herv竪 Gourdel in Algeria, la minaccia del gruppo Abu
Sayyaf nelle Filippine di decapitare due ostaggi tedeschi, il sostegno allo Stato
Islamico dichiarato da elementi afghani dei Talebani, nigeriani di Boko Haram, somali
degli Shebab, appartengono tutti a tale logica.
Non si pu嘆 interpretare quanto sta avvenendo oggi senza collegare l'analisi alla
caduta di Saddam Hussein e al rovesciamento della struttura istituzionale e politica
irachena.
Nel 2006, quando il Presidente Bush stava valutando l'opportunit del "surge" anti-
Qaedista nelle Provincie irachene di Anbar e Nineveh, Vali Nasr inseriva nel suo
importante saggio sul "Risveglio Scita" queste osservazioni:
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16. "In Iraq, l'obiettivo primario dell'Iran 竪 di assicurare che il Baathismo e il nazionalismo
arabo - cio竪 il potere Sunnita sotto mentite spoglie - non torni mai al controllo del
Paese. Pi湛 l'insorgenza sunnita 竪 violenta, pi湛 sciti vengono uccisi, pi湛 determinato
diventa l'Iran... Da Teheran si vede la pacificazione dell'Iraq sotto la leadership Scita
come un fondamentale obiettivo strategico. Ci嘆 che non sono stati capaci di vincere
con la guerra contro l'Iraq, lo stanno ora ottenendo grazie alle Forze della Coalizione e
al Governo controllato dagli Sciti a Baghdad... E questo in un tempo che vede
l'estremismo Sunnita in crescita nel mondo Musulmano, con influenza Wahabita e
Salafita".
Da questa analisi di otto anni fa sull'Iraq credo non meriti di essere cambiata
neppure una virgola per spiegare la strategia Iraniana e Scita in Siria e in Iraq, oggi.
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17. Si pu嘆 solo aggiungere quanto scrive Henry Kissinger nel suo ultimo lavoro, "World
Order":
"Il conflitto che si sta sviluppando 竪 allo stesso tempo religioso e geopolitico. C'竪 un
blocco guidato dall'Iran Scita che sostiene Assad in Siria e als Maliki in Iraq, le milizie
Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, e c'竪 un blocco Sunnita, che consiste dell'Arabia
Saudita, dei Paesi del Golfo, e in certa misura dell'Egitto e della Turchia. L'Iran mira al
dominio regionale utilizzando attori non statuali legati ideologicamente a Teheran".
Tra l'altro, l'Iran aveva percepito immediatamente il rischio mortale che le "Primavere
Arabe" ponevano al regime teocratico. Migliaia di prigionieri politici subiscono
violenze indicibili ad Evin e in altre prigioni ad alta sicurezza; moltissimi sono stati
torturati, impiccati, e arrestati in reazione alle dimostrazioni del 2009 contro la
rielezione, rubata secondo molti, di Amadinejhad.
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18. Nella primavera dello scorso anno l'Ayatollah Khamenei ha pronunciato un discorso
alla Conferenza delle autorit religiose Musulmane.
Due punti da lui sottolineati mi sembrano di particolare rilievo:
1. le "Primavere Arabe" vengono completamente reinterpretate dall'Ayatollah
Khamenei, negando la loro natura di rivolta popolare contro Leaders corrotti e
repressivi, dando invece il senso di rivoluzione religiosa unitaria al "Risveglio
Arabo".
2. "Il mondo dell'Islam - ha detto Khamenei - emerge ora dai margini dell'equazione
sociale e politica e apre la porta a una rivoluzione religiosa globale. Tutte le
componenti dell'Ummah Islamica devono conseguire l'obiettivo specificato nel
Sacro Corano". Forzando artificialmente il fondamentale principio dell'unit dei
Musulmani per applicarlo alle Primavere Arabe, la Guida Suprema non ha fatto
altro che valorizzare politicamente il richiamo fatto dalla Costituzione iraniana al
Corano: "La Vostra Comunit 竪 un'unica Comunit e io sono il Vostro Signore".
Prima di Khamenei, lo stesso Ayatollah Khomeini era stato gi estremamente
chiaro sulla questione dell'unit dei Credenti, ovviamente dei credenti che
appartengono alla "Casa dell'Islam", e non di quanti, fuori dall'Islam,
appartengono alla "Casa della Guerra".
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19. Quando, a inizio anni '90, Samuel Huntington scriveva "The clash of Civilizations" il
pensiero prevalente era che le fratture culturali, religiose, etniche fra "The West and
the Rest", tra Cristiani e Musulmani, tra Buddisti e Comunisti, fossero fratture assai
pi湛 profonde e insanabili di quanto fossero quelle all'interno del mondo musulmano;
assai pi湛 profonde di quelle tra Sunniti e Sciti, tra le forze secolari e quelle religiose
dell'Islam politico.
Bench竪 al Queda e la pletora di formazioni Jihadiste non abbiano mai smesso di
minacciare il mondo Islamico e le nostre societ , molti temono che un preoccupante,
millenario "scontro di civilt" tra Sunniti e Sciti si riapra proprio all'interno dell'Islam.
Le "guerre civili islamiche", che molti secoli prima delle Crociate insanguinarono l'era
dei Quattro Califfi, che produssero l'eccidio di Karbala, l'uccisione di Husayn ibn Ali,
risuonano ancora negli incitamenti dei Mullah e degli Imam, e tengono vive e attuali
divisioni settarie coltivate per pi湛 di un millennio. "Tantum potuit religio suadere
malorum", scriveva Lucrezio nel primo secolo A. C.
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20. Cosa c'entra tutto questo con le crisi in atto nel Grande Mediterraneo? Si tratta di
aspetti essenziali alla comprensione del conflitto interno all'Islam e delle sue
metamorfosi. L'unit dell'Islam invocata dalla Guida Suprema - che, ricordiamolo, si 竪
in passato impegnata nel dialogare con i sunniti - non pu嘆 infatti che attuarsi
nell'ambito della fede Scita, del suo impianto dogmatico, nella convinzione che il
Mahdi torner dall'Occulto per assumere tutti i poteri e "riempire il mondo di
Giustizia e Bellezza".
L'Iran rappresenta la sintesi di "legacies" complesse, guidate da vestigia di una cultura
ultramillenaria, estremamente ricca e diversificata, e da un intero secolo di
drammatici rivolgimenti, in una rivalit permanente tra anima persiana e senso di
appartenenza alle idealit della teocrazia religiosa. Ancor prima di sentirsi un Paese -
竪 stato detto - l'Iran di oggi sente soprattutto di "essere una causa rivoluzionaria": e
come tale sembra spesso ragionare e agire sulla scena internazionale.
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21. La "causa" pi湛 fortemente sentita dal regime teocratico 竪 quella della preminenza
Scita nel mondo islamico, attraverso una rapida espansione regionale delle forze
statuali e soprattutto di quelle non statuali, alimentate e controllate da Teheran, che
al "Risveglio scita" si collegano.
Le Primavere Arabe, prima, e l'inattesa affermazione da un anno a questa parte del
Jihadismo sunnita alle proprie frontiere potevano ben indurre Teheran a
ripensamenti, moderando le sue aspirazioni di influenza e controllo regionale.
Ma non sembra proprio esser stato cosi.
Il Segretario del Consiglio Nazionale Supremo iraniano, Ali Shamkhani, ha visitato due
settimane fa Damasco per ridefinire le linee dell'azione congiunta con Assad, dopo la
decisione Occidentale e Araba di bombardare l'Isis.
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22. Il rapporto su questa missione 竪 trapelato nei giorni scorsi. Esso sottolinea che:
Assad deve essere mantenuto al potere a tutti i costi;
l'asse Iraq, Siria, Libano e Yemen 竪 cruciale per l'Iran;
竪 necessario preservare questa fascia di Paesi a controllo scita perch辿 essa
assicura il "contenimento" dei Paesi sunniti, i particolare Arabia Saudita e
Giordania, ed esercita una pressione su Paesi come l'Egitto.
Con Assad gli inviati iraniani avrebbero "discusso in dettaglio" come sfruttare i
raid aerei della Coalizione a vantaggio del regime di Damasco, in modo da evitare
che essi rafforzino invece - come vorrebbe la Coalizione - l'Esercito Libero Siriano;
la partecipazione della Turchia alla Coalizione, il possibile coinvolgimento di forze
di terra turche, l'addestramento di uomini dell'Esercito Siriano Libero, sono tutte
prospettive pericolose per l'Iran, che dovr fare il possibile per limitare interventi
attivi di Ankara.
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23. C'竪 veramente da chiedersi se l'avvio, l'8 agosto scorso, delle operazioni aeree contro
l'Isis, indipendentemente da un impegnativo chiarimento politico circa il ruolo
regionale dell'Iran, circa un profondo e definitivo riequilibrio del sistema di Governo
in Siria, in Iraq e in Yemen, circa i collegamenti dell'Iran con Hezbollah e Hamas, circa
una rinuncia verificabile all'arma nucleare, non abbia in realt incoraggiato
fortemente la dirigenza iraniana a proseguire, e addirittura a consolidare la sua
strategia di breve e medio periodo.
Gli iraniani non possono che vedere, anche negli eventi di questi ultimi mesi, uno
scenario favorevole al "percorso rivoluzionario" a guida sciita. Teheran ritiene che la
crescente instabilit regionale e il propagarsi del Jihadismo non possa che
compromettere, a termine, la "tenuta" delle monarchie arabe sunnite rivali dell'Iran,
come l'Arabia Saudita, nei cui confini vivono tra l'altro importanti minoranze scite.
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24. In senso pi湛 ampio, i bombardamenti della Coalizione Occidentale/Araba, decisi -
ripeto - senza un retrostante solido accordo politico con tutti i paesi della regione -
pongono Tehran in una "win win situation" per ragioni ulteriori, rispetto a quelle della
affermazione dell'Iran nel "conflitto"tra Sunniti e Sciti, interno all'Islam.
Senza nulla concedere ai Paesi della Coalizione anti Isis che stanno cercando di
eliminare quello che anche per la teocrazia iraniana costituisce un rischio mortale,
Teheran ha ulteriormente indurito la sua linea sul negoziato nucleare, sulla nomina
dei ministri dell'Interno e della Difesa nel nuovo Governo a Baghdad, sull'appoggio
militare che il corpo di spedizione Hezbollah e Pasdaran sta dando ad Assad per
annientare, prima ancora dell'Isis, le formazioni tuttora esistenti dell'Opposizione
siriana che operano, ad esempio ad Aleppo.
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25. Non c'竪 mai stato il bench竪 minimo segnale da parte iraniana di una pragmatica
evoluzione: n竪 sul sostegno incondizionato fornito al regime siriano; n竪 di
condivisione con i Paesi occidentali dei drammatici errori e delle gravissime
responsabilit del governo a guida scita di al Maliki. Un Primo ministro che negli
ultimi sei anni ha sistematicamente escluso dal potere, contrariamente allo spirito
della costituzione irachena, ha vessato e fatto massacrare dalle forze di sicurezza e
dalle milizie da lui controllate le trib湛 sunnite.
Il discorso del Presidente Rouhani al Palazzo di Vetro, lo scorso settembre, ha
confermato la misura in cui l'Iran si senta sempre pi湛 parte di un "fronte revisionista"
nei rapporti con l'"ordine Westphaliano" al quale l'Occidente continuerebbe a tenere.
Senza trascurare l'accusa rivolta da Rouhani ai Paesi occidentali di aver essi stessi
"creato l'Isis". Una caduta di stile simile a quella di quanti affermavano, nel 2001, che
l'attacco alle Torri Gemelle era stato orchestrato dalla solita lobby giudaico
massonica.
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26. Da un anno a questa parte, a cominciare dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
del Settembre 2013 e dalla telefonata tra i Presidenti Obama e Rouhani, Washington
si 竪 molto ingegnata nel trovare un modo accettabile per fare uscire Teheran
dall'isolamento, e per trasformare in senso costruttivo e non antagonistico la sua
influenza regionale. In tale direzione, almeno sino allo scorso Agosto,
l'Amministrazione Obama 竪 stata sostenuta da un'opinione pubblica nettamente
contraria a operazioni militari all'estero.
Ma da Agosto le orribili immagini delle decapitazioni di due americani, James Foley e
Steven Sotloff hanno profondamente influito sul pubblico americano. Qualcuno ha
scritto che Washington si 竪 trasformata: da capitale di una superpotenza riluttante, a
"cheerleader" per un rinnovato impegno militare americano in un conflitto
potenzialmente "intrattabile" in Iraq e in Siria. In Settembre Pew Research segnalava
che i due terzi degli americani erano favore di operazioni aeree contro l'Isis, che
erano aumentati del 14% quanti ritenevano che gli Usa dovessero fare di pi湛
nell'impegno all'estero, e che erano diminuiti circa della stessa percentuale coloro
che giudicavano si dovesse fare di meno. Solo un anno fa il Congresso si era mostrato
gelido sull'ipotesi di sanzionare con attacchi aerei il superamento da parte di Assad
delle "linee rosse" tracciate da Obama per le armi chimiche. Ora ha praticamente
dato luce verde ai bombardamenti e al sostegno alle forze dell'"opposizione siriana
moderata".
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27. Rimane tuttavia irrisolta la fondamentale questione della strategia complessiva che
gli Stati Uniti, e l'Europa, intendono seguire nei confronti dell'Iran, e soprattutto del
suo ruolo in Siria, Iraq, Libano, Yemen.
Quanto 竪 realmente mutato il sistema di Governo in Iran con l'elezione di Rouhani?
Basta l'"interim agreement" sul nucleare a certificare un cambiamento di rotta? O
dovrebbe Washington essere pi湛 sensibile alla richiesta israeliana di rifocalizzare
alcune priorit, nel rapporto con l'Iran? E soprattutto, le "prove di dialogo" con l'Iran
stanno avendo effetti apprezzabili per una soluzione politica della questione di fondo
che ha fatto esplodere la rivolta i Siria e in Iraq e l'implosione di questi due Paesi? La
vera questione essendo la partecipazione effettiva, riconosciuta, garantita e
democratica delle componenti sunnite e curde al sistema di Governo in Siria e in Iraq,
unitamente al rispetto e alla tutela di tutte le minoranze, etniche, religiose e
politiche.
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28. L'impressione della perdurante assenza di una convincente strategia 竪 rafforzata dalla
ormai palese evidenza di un dibattito che da almeno due anni rimane irrisolto
all'interno della stessa Amministrazione Obama.
Basta scorrere le memorie di Hillary Clinton, Robert Gates, e ora di Leon Panetta per
constatare come tre importanti protagonisti dell'Amministrazione Obama avessero
sostenuto vigorosamente, ancora nell'autunno 2012, la necessit di aiutare
concretamente la Syrian National Coalition, per chiudere le porte ai Jihadisti di al
Nousra e dell'Isis. E ancora a fine febbraio 2013 ospitavamo a Roma su sollecitazione
americana il "core group" di undici paesi amici della Coalizione Nazionale Siriana, per
concordare le modalit del nostro sostegno. Ma anche dopo quell'incontro,
conclusosi in modo nettamente positivo, a Washington si continu嘆 a prendere tempo,
raffreddando le disponibilit espresse dai quattro maggiori paesi europei, dalla
Turchia, dalla Giordania, dall'Egitto e dai Paesi del Golfo.
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29. La decisione presa lo scorso agosto dai Ministri esteri Ue di autorizzare l'invio di armi
al Governo Regionale del Kurdistan 竪 importante perch辿 innova alla prassi Ue sino a
quel momento contraria a iniziative di questo tipo senza una Risoluzione del Consiglio
di Sicurezza. Ma non per questo essa corrisponde a quella visione strategica che Stati
Uniti, Ue e Paesi Arabi devono urgentemente maturare per l'intera regione, cos狸
come non sembra corrispondervi l'altra, pure importante decisione presa al Vertice
Nato di Cardiff per una "coalition of the willing" contro lo Stato Islamico.
L'obiettivo di ridimensionare l'Isis, per quindi distruggerlo militarmente,
finanziariamente, ideologicamente, con una Coalizione legittimata dalla
partecipazione attiva di Paesi Musulmani, nell'intento di ridare credibilit agli Usa e
all'Europa nella gestione delle crisi mediorientali appare ancora sfocato per questi
motivi:
Le crisi del 2014 29
30. anzitutto permane l'equivoco di un'alleanza di fatto con Damasco e Teheran,
dando al mondo sunnita la sensazione - stigmatizzata dal gen. Petraeus - che
l'aviazione americana operi in Siria e in Iraq come "braccio operativo delle milizie
scite";
in secondo luogo, 竪 tutt'altro che chiaro come la campagna anti Isis potr
concludersi con l'"empowerment" di componenti della societ irachena e siriana,
in particolare curdi e sunniti, la cui esclusione ha costituito il principale fattore di
destabilizzazione;
infine, l'opinione pubblica di molti Paesi arabi continua a non capire perch辿 le
poche forze moderate che ancora ad Aleppo combattono sia l'Isis che Assad non
vengano in alcun modo appoggiate dalla Coalizione guidata dagli Usa; n竪 il
perch辿 si ostacolino le richieste turche per la creazione di una "no fly zone"in Siria
o di una zona cuscinetto che limiti lo spazio d'azione oltre che dell'Isis, anche
delle forze di Assad.
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31. Una credibile strategia occidentale dovrebbe in particolare:
ridimensionare in Iraq il peso della componente sciita, decentralizzando la
struttura di governo, ripartendo diversamente risorse di bilancio, assicurando
sussidi e assistenza alle Provincie a maggioranza sunnita e curda, attualmente
molto penalizzate;
l'apparato di sicurezza deve essere completamente riformato, includendo ai
diversi livelli tutte le tre principali componenti dl Paese, insieme alle altre
minoranze, e non solo quella scita;
lo stesso dicasi per il rapporto tra Baghdad ed Erbil, con l'attuazione finalmente
dell'art. 140 della Costituzione, laddove esso prevede l'effettuazione del
censimento e di un referendum nelle zone contestate, in vista del riconoscimento
di un'autonomia accresciuta, sia per i Curdi che per la regioni a maggioranza
sunnita;
infine, una strategia occidentale credibile non pu嘆 che condizionare l'aiuto
militare a Baghdad a un "decoupling" dell'Iraq dall'asse con Bashir Assad. La
catastrofe siriana 竪 stata in gran parte eterodiretta, da Teheran e da Baghdad che
ha assicurato il costante passaggio delle forniture militari dei reparti iraniani verso
la Siria. Le milizie scite in Iraq sono state parte diretta del reclutamento e delle
operazioni in Siria.
Le crisi del 2014 31
32. La strategia occidentale non deve quindi guardare nella sola direzione dello Stato
Islamico, per quanto immediata e grave sia la minaccia che esso rappresenta.
Sconfitto l'Isis, potremmo trovarci di fronte a un quadro altrettanto pericoloso e
instabile.
In conclusione, le crisi che stiamo vivendo in questo 2014 sembrano rispondere a
dinamiche distinte, nella loro caratterizzazione regionale e geopolitica. Tuttavia, vi
sono aspetti che saldano, nell'intero arco di instabilit che descrivevo all'inizio, tra
Grande Mediterraneo ed Europa, gli impulsi revisionisti dell'ordine e del diritto
internazionale.
Un primo aspetto verte sull'impiego della forza al di fuori delle decisioni del Consiglio
di Sicurezza, o della esplicita e legittima richiesta di uno Stato. Non essendo certo
legittima la richiesta da parte di Assad all'Iran di un intervento militare finalizzato
all'effettuazione di stragi e genocidi, con la motivazione dell'antiterrorismo.
Il secondo aspetto riguarda le "limitazione" e i condizionamenti imposti alla validit
universale dei Diritti umani. Un tema che merita una riflessione molto ampia e
approfondita, ma che si pone sempre pi湛 come aspetto cruciale tra forze che di
definiscono revisioniste e societ che intendono invece progredire ulteriormente,
costruendo sui risultati sinora raggiunti in questo settore, architrave essenziale della
pace e della sicurezza internazionale.
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