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Il giornale della gente 
LE TESTIMONIANZE 
58 Giovedì 30 ottobre 2014 
IN MAROCCO VERSO LE SCUOLE DEL DESERTO 
Mille emozioni Anche il rischio 
delle piste, i paesaggi suggestivi e gli 
incontri con le persone 
Un bambino del 
deserto e alcuni 
momenti 
significativi del 
viaggio in 
Marocco 
portato a 
termine dai 
motociclisti del 
Raid for Aid 
team 
◗◗ I motociclisti di Raid For Aid 
Team hanno concluso la loro nuova 
“missione del bene” in Marocco. 
Ecco le loro ultime impressioni di 
viaggio. 
BAMBINI NEL DESERTO 
S 
iamo stati nel posto più bel-lo 
del Sahara, in una scuola, 
dove abbiamo incontrato le 
persone più belle e importanti: " i 
bambini nel deserto". Questo il 
nome del nostro viaggio preso in 
prestito per l’occa-sione 
da quello della 
onlus italiana presie-duta 
da Luca Iotti, 
che abbiamo soste-nuto 
con questo raid. 
Oltre alla visita nelle 
scuole di Khamlia e 
Ghirgis (villaggi 
sahariani non lonta-ni 
da Merzouga) sia-mo 
stati nello sper-duto 
villaggio di Be-gaa 
dove abbiamo 
incontrato Youssef il 
quale ci ha mostrato 
il pozzo per l’irriga-zione 
che ha bisogno 
di una nuova pompa 
alimentata da un 
pannello solare, e un 
gruppo di case isolate non servite 
dall’ acquedotto pubblico dove 
sarebbe possibile costruire un ul-teriore 
pozzo. Questi pozzi sono 
parte del "progetto folle " del no-stro 
amico Antonio Cinotti passa-to 
di qui con la sua moto due set-timane 
fa in una sorta di staffetta 
della solidarietà. Antonio è un 
viaggiatore, un motociclista e una 
persona sensibile. Ama il sud del 
Marocco in cui ha viaggiato in 
moto, qualche tempo fa, con sua 
moglie Francesca. Antonio, quale 
regalo per i suoi 40 anni, ha chie-sto 
ad amici e parenti un aiuto e-conomico 
per questi progetti ap-poggiandosi 
poi per la loro realiz-zazione 
a "bambini nel deserto". 
Ci siamo conosciuti. Lo spirito del 
viaggio era quello giusto e così il 
suo "progetto folle" è diventato 
anche il nostro. Anche lui come 
Raid for Aid cerca di "viaggiare per 
bene...". Ma quanto è difficile, a 
volte, viaggiare per bene. Le asso-ciazioni, 
piccole o grandi, famose 
o sconosciute, sono formate da 
singole persone. Spesso le perso-ne 
incontrate nei nostri viaggi si 
sono rivelate eccezionali, ne sia-mo 
diventati amici, e spesso ne 
siamo tutt’ora in contatto. 
E’ il caso, in questo raid, di Po-lona, 
la prima persona conosciu-ta 
al nostro arrivo ad Hassi Labied. 
La sua storia merita davvero di es-sere 
conosciuta: Polona Oblak è 
una bella ragazza di origine slove-na 
e la sua carnagione chiara spic-ca 
sotto il velo che porta con ele-ganza. 
Ci ha accolto con un bim-bo 
tra le braccia, il piccolo Mou-stafa. 
Una bella immagine, davve-ro. 
Polona vive da tempo nel vil-laggio 
di Hassi Labiad dove è 
conosciuta e apprezzata, ed è una 
collaboratrice di "bambini nel de-serto". 
Ha organizzato il nostro 
soggiorno, ci ha accompagnati 
nella visita alle scuole dove presta 
la propria opera volontaria come 
insegnante, ma soprattutto si è ri-velata 
una splendida persona. E 
che dire poi di Salem, ragazzo ma-rocchino 
discendente di una fa-miglia 
nomade berbera, che fa la 
guida promuovendo un turismo 
responsabile e solidale, ed è an-che 
il presidente dell’associazio-ne 
"ighram" (villaggio) che si oc-cupa 
di far conoscere la cultura 
locale. Gli acquisti fatti nella bot-tega 
della sua associazione, rifor-nita 
dagli artigiani locali, non 
hanno il sapore del "souvenir" 
ma di un aiuto concreto alla po-polazione 
locale. Ma come dice-vo, 
a volte, è difficile anche "viag-giare 
per bene... ". 
Abbiamo forse commesso un 
errore diplomatico a non contat-tare 
direttamente al nostro arrivo 
a Hassi Labiad Giacomo Ferri, un 
altro referente di "bambini nel de- 
serto", che gestisce un albergo 
nella zona ed è il punto di riferi-mento 
dei tanti motociclisti ita-liani 
che passano da queste par-ti. 
Giacomo ci aspettava e noi, 
per un malinteso, ci siamo pre-sentati 
due giorni dopo. Peccato 
non aver usufruito della sua ospi-talità 
e non esserci conosciuti 
meglio. Dopo quattro giorni ci 
congediamo dai nostri nuovi 
amici con la promessa di risen-tirci 
via mail una volta tornati a 
casa per poter poi così seguire co-stantemente 
l’evoluzione dei pro-getti 
in atto. Il viaggio riprende e 
lasciato il deserto ci spostiamo 
verso le montagne. 
Fra i paesaggi naturali più fa-mosi 
del Marocco ci sono le gole 
di Todra e del Dades, l’una aspra e 
inquietante con le sue pareti ripi-de 
e scure, l’altra meno selvaggia 
ma con paesaggi resi ancor più af-fascinanti 
dalle rocce di granito 
rosso che la compongono. Deci-diamo 
di fare il giro che collega le 
due gole, un anello di quasi 200 
km di cui circa 50 di pista. Come 
sempre nei nostri raid incontrare 
le persone lungo la strada è la sor-presa 
più bella. Oggi Raid for Aid 
ha voluto imitare Medici senza 
frontiere. Dopo una curva, a 2000 
mila metri di altitudine, in un pae-saggio 
desertico e spettacolare, 
compare un anziano venditore di 
pietre fossili. Ci fermiamo, lui si 
avvicina timidamente e ci mostra 
la sua scarna mercanzia, ma subi-to 
dopo ci chiede aiuto: ha una 
brutta ferita ad un alluce (del resto 
è in ciabatte ed il suo villaggio è a 
8 km di distanza, a piedi!). Subito 
proviamo a medicarlo, il dito è 
gonfio e dolorante, l’unghia spac-cata, 
ma la ferita non sembra in-fetta; 
la puliamo e applichiamo 
un cicatrizzante e una bendatura 
più pulita e adatta di quella che 
aveva. Gli lasciamo qualche me-dicamento 
e dei dolci per i suoi 7 
figli. Mohammed ci ringrazia, 
sembra quasi commosso e ci re-gala 
qualche piccolo fossile. Sarà 
per tutti noi un ricordo prezioso 
di questo deserto d’alta quota. 
Riprendiamo la strada, paesaggi 
fantastici, immacolati. La pista è 
divertimento puro, per tutti noi, 
fino a quando comincia a iner-picarsi 
e in 10 km ci porta a qua-si 
3000 metri di quota. Per chi, 
come me, soffre di vertigini, in 
certi frangenti, al divertimento 
subentra il panico. La pista, poco 
più di un sentiero, sale costante-mente 
come una ferita sul fianco 
della montagna. Sconnessa, con 
strapiombi, senza parapetti. 
"Mai più, giuro che se arrivo in 
fondo mai più", quante volte 
l’ho pensato arrancando sasso 
dopo sasso. Quando finalmente 
scolliniamo tiro un sospiro di 
sollievo e la discesa, più dolce e 
ampia, mi riconcilia con queste 
valli meravigliose. 
UN PERCORSO MAGICO 
Per un giorno il gruppo si divi-de: 
i "pistaioli di montagna", 
Gianmario e Roberto, affrontano 
una pista d’alta quota che da Ti-nerhir 
scende verso Zagora attra-versando 
il jebel Sahro tra grandi 
difficoltà di guida e paesaggi stu-pendi, 
mentre i "culturali di pia-nura 
", Claudio e Davide, visitano 
la kasba di Skoura, perfettamente 
conservata e protetta dall’ Une-sco. 
Dopo Skoura la discesa verso 
Zagora sulla pista sabbiosa che 
corre lungo il fiume Draa. Un per-corso 
magico con villaggi, domi-nati 
da kasbe e moschee, che si 
susseguono nel palmeto. Accanto 
scorre, e da la vita, il Draa, un ve-ro 
Nilo marocchino. Appunta-mento, 
inshallah, alle 18 all’ in-gresso 
di Zagora. Il giorno succes-sivo, 
dopo esserci riuniti, sosta di 
rito davanti allo storico cartello 
che recita: "timbouctu 52 giorni di 
cammello ", ricordando quanto ci 
impiegavano le carovane a rag-giungere 
la mitica oasi del Mali... 
e in moto? Quanti ne servirebbe-ro? 
Che viaggio sarebbe! Dopo di 
noi, davanti al cartello sostano le 
troupe di una televisione tedesca 
e poi di una irlandese. Dopo Za-gora 
solo il deserto, il Sahara. 
Quella che era l’ultima oasi prima 
dell’ ignoto oggi ha perso un po 
del suo fascino: molti alberghi, tu-risti, 
auto 4x4 e motociclisti, come 
noi. Arrivarci era un traguardo, 
oggi... Da qui ci spostiamo verso 
ovest, ancora verso le montagne, 
verso il Tizi-n-test, uno dei pochi 
passi che taglia la catena dell’ A-tlante 
collegando il nord con il 
sud. Arrivati al passo ci fermiamo 
per le foto di rito e dopo poco dal 
caffè di fronte esce un anziano si-gnore. 
Saluta gentilmente e si pre-senta: 
Mohamed (ma si chiama-no 
tutti Mohamed o Ibrahim da 
queste parti?). La solita chiacchie-rata 
di circostanza, poi ci chiede 
se abbiamo qualcosa per il dolore 
di stomaco: il giorno precedente 
ha partecipato a un matrimonio e 
dice di aver esagerato con il cous-cous. 
Gli diamo le pastiglie ade-guate 
e lui, per sdebitarsi, ci invi-ta 
a bere un tè. 
Dice di essere una specie di an-tiquario 
che gira il Paese cercan-do, 
di villaggio in villaggio, ogget-ti 
che valga la pena di acquistare. 
Ci incuriosisce, cerchiamo di an-dare 
più a fondo sulla sua profes-sione 
e poi, era ovvio, chiediamo 
di vedere la sua merce. Solo allora 
Mohamed apre le 
due sacche che si 
porta dietro e mette 
in mostra i suoi arti-coli. 
Acquistiamo 
tutti qualcosa, am-maliati 
e affascinati 
da questo abile ven-ditore. 
Quando ripar-tiamo, 
verso Mar-rakech, 
nel casco ri-penso 
all’ accaduto. 
Probabilmente gli 
oggetti che abbiamo 
acquistato non sono 
tanto più vecchi e 
forse nemmeno tanto più rari di 
quelli che abbiamo visto fin qui. 
Poi, piano piano mi convinco che 
forse é vero, forse Mohamed gira 
davvero il Paese a piedi, di villag-gio 
in villaggio, cercando oggetti 
antichi e di valore... almeno a me 
piace pensare così. 
IL FASCINO DI MARRAKECH 
Marrakech è un guazzabuglio. 
Il traffico è caotico, disordinato, 
pericoloso, i venditori insistenti, i 
mendicanti troppi. E’ una città ru-morosa. 
Non ci sono grandi vesti-gia 
storiche da visitare, o musei. E 
allora perché andare a Marrake-ch? 
Perché Marrakech, anzi la so-la 
piazza Djemaa-el-fna, la piazza 
dei miracoli, la piazza delle mille e 
una notte, rappresenta tutto il fa-scino 
esotico del Marocco: incan-tatori 
di serpenti, danzatrici del 
ventre, musicisti, maghi, sarti, 
dentisti, venditori di ogni tipo e 
ciarlatani di ogni genere animano 
la piazza Djemaa-el-fna dal tra-monto 
fino a notte fonda. Visitare 
il Marocco e non passare almeno 
una sera a Marrakech è come an-dare 
a Roma e non vedere il Co-losseo 
o piazza San Pietro. Così, 
anche noi, passiamo la serata ce-nando 
in una delle tante banca-relle 
della piazza, approfittando 
della cucina di strada, e assistia-mo 
al solito spettacolo che tutte 
le sere, da secoli, la piazza Dje-maa- 
el-fna mette in scena. Da 
Marrakech a Essauira la strada 
non è tanta. Essauira è un bel po-sto, 
è un antico porto sull’ oceano 
Atlantico, fortificato dai portoghe-si 
nel XVIII secolo, ma con una 
storia ben più antica che parte dai 
fenici. La cittadella fortificata 
(medina) fu progettata, per conto 
del sultano, dallo stesso architetto 
che progettò Saint Malò in Fran-cia. 
Bella dunque ed il suo nome, 
Essauira, significa appunto ben 
progettata. La medina è interes-sante, 
ben conservata, con un’ at-mosfera 
tranquilla e colta. Molti 
artigiani, all’ interno delle botte-ghe, 
lavorano ferro ed argento con 
una fantasia e una maestria incre-dibile. 
E ancora quadri, tessuti, li-bri: 
un piacere per gli occhi. Ma 
Essauira è soprattutto un porto di 
pescatori che ogni giorno si gua-dagnano 
il pane (ed il pesce) con 
un duro lavoro. Abbiamo visto i 
pescatori arrivare al pomeriggio, 
con le loro tozze barche di un blu 
intenso ma annerite dalla salsedi-ne 
e dal fumo dei motori diesel, e 
subito scaricare e pulire il pesce 
sui vecchi moli consunti. Sopra di 
loro, attorno a loro, in ogni ango-lo 
del porto centinaia di gabbiani, 
i veri padroni della città, mangia-no 
i resti del pesce convivendo 
con pescatori e turisti. C’è una ter-ribile 
puzza di pesce, che si impre-gna 
nella pelle, sulle scarpe, sui 
vestiti, nel vecchio porto di Es-sauira. 
Una strana catena alimen-tare 
lega tutti i personaggi: pesca-tori, 
pesci, gabbiani e turisti. I pe-scatori 
pescano, i gabbiani man-giano 
i resti del pesce e talvolta (a 
noi é successo) li restituiscono, di-geriti, 
sulle teste dei turisti che ad 
ogni modo il pesce lo mangiano, e 
buono, nei ristoranti della medi-na. 
Credeteci, c’é una gran puzza 
di pesce nel porto di Essauira. 
EPILOGO,QUEL CHE RESTA DI UN 
VIAGGIO. 
Dalle coste dell’Atlantico una 
veloce galoppata ci riporta verso 
nord, verso Tangeri, dove la nave 
ci sta aspettando. La via del ritor-no 
è sempre un po’ più triste, 
manca l’entusiasmo ed il dina-mismo 
dei primi giorni, consape-voli 
che un’altra bella avventura 
volge al termine. 
Ma cos’è l’avventura? 
Forse il rischio grosso sulle piste 
di montagna, mulattiere pietrose 
a strapiombo sul nulla; o le piste 
che attraversano oued e oasi av-volte 
dalla sabbia dove l’acqua, 
miracolo del deserto, dà la vita? 
Oppure i paesaggi, a volte aspri 
e desolati a volte sereni ed acco-glienti? 
O magari gli incontri con le per-sone: 
il venditore di fossili che ab-biamo 
medicato sulla pista del 
fiume "Todra", o il vecchio "anti-quario" 
che sul passo del Tiz-n-te-st, 
ci ha offerto un té alla menta, o 
ancora i nostri nuovi amici saha-riani 
Polona e Salem? 
Noi crediamo che quel che re-sta 
scolpito nei nostri cuori sia il 
sorriso dei bambini! Giocare con 
loro nelle scuole che abbiamo vi-sitato, 
vedere il loro entusiasmo 
sincero colpisce profondamente. 
Perché quando sorride un 
bambino sorridono tutti i bam-bini 
del mondo!!! 
Ora siamo sulla via del ritorno e 
c’è un po’ di amarezza nella fine 
di un viaggio. La nostalgia che 
prende il viaggiatore, a differenza 
del turista, è dovuta allo spirito 
con cui viaggia, al desiderio di ca-pire 
e condividere la vita delle per-sone 
che incontra. Non sappiamo 
se siamo turisti o viaggiatori, ma 
anche questa volta abbiamo cer-cato 
di lasciare un segno; un pic-colo 
seme del nostro passaggio. 
Grazie a tutti quelli che ci han-no 
sostenuto: la ONLUS "bambi-ni 
nel deserto" che ci ha aiutato 
ad aiutarla; Antonio e Francesca 
con il loro "progettofolle" da cui 
tutto è cominciato; i nostri ami-ci 
del team che, da casa, hanno 
viaggiato con noi; i lettori di "Li-bertà", 
giornale che ci ha dato fi-ducia 
e visibilità. 
Tutti ci hanno aiutato a "Viag-giare 
per bene... " 
Claudio, Davide, 
Gian Mario, Roberto 
RAID FOR AID TEAM 
Il ritorno col sorriso 
dei bambini nel cuore 
Missione compiuta per i motociclisti del bene 
LIBERTÀ

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#progettofolle01 sul quotidiano La Libertà di Piacenza grazie a Raid for Aid!

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Lo spirito del viaggio era quello giusto e così il suo "progetto folle" è diventato anche il nostro. Anche lui come Raid for Aid cerca di "viaggiare per bene...". Ma quanto è difficile, a volte, viaggiare per bene. Le asso-ciazioni, piccole o grandi, famose o sconosciute, sono formate da singole persone. Spesso le perso-ne incontrate nei nostri viaggi si sono rivelate eccezionali, ne sia-mo diventati amici, e spesso ne siamo tutt’ora in contatto. E’ il caso, in questo raid, di Po-lona, la prima persona conosciu-ta al nostro arrivo ad Hassi Labied. La sua storia merita davvero di es-sere conosciuta: Polona Oblak è una bella ragazza di origine slove-na e la sua carnagione chiara spic-ca sotto il velo che porta con ele-ganza. Ci ha accolto con un bim-bo tra le braccia, il piccolo Mou-stafa. Una bella immagine, davve-ro. Polona vive da tempo nel vil-laggio di Hassi Labiad dove è conosciuta e apprezzata, ed è una collaboratrice di "bambini nel de-serto". Ha organizzato il nostro soggiorno, ci ha accompagnati nella visita alle scuole dove presta la propria opera volontaria come insegnante, ma soprattutto si è ri-velata una splendida persona. E che dire poi di Salem, ragazzo ma-rocchino discendente di una fa-miglia nomade berbera, che fa la guida promuovendo un turismo responsabile e solidale, ed è an-che il presidente dell’associazio-ne "ighram" (villaggio) che si oc-cupa di far conoscere la cultura locale. Gli acquisti fatti nella bot-tega della sua associazione, rifor-nita dagli artigiani locali, non hanno il sapore del "souvenir" ma di un aiuto concreto alla po-polazione locale. Ma come dice-vo, a volte, è difficile anche "viag-giare per bene... ". Abbiamo forse commesso un errore diplomatico a non contat-tare direttamente al nostro arrivo a Hassi Labiad Giacomo Ferri, un altro referente di "bambini nel de- serto", che gestisce un albergo nella zona ed è il punto di riferi-mento dei tanti motociclisti ita-liani che passano da queste par-ti. Giacomo ci aspettava e noi, per un malinteso, ci siamo pre-sentati due giorni dopo. Peccato non aver usufruito della sua ospi-talità e non esserci conosciuti meglio. Dopo quattro giorni ci congediamo dai nostri nuovi amici con la promessa di risen-tirci via mail una volta tornati a casa per poter poi così seguire co-stantemente l’evoluzione dei pro-getti in atto. Il viaggio riprende e lasciato il deserto ci spostiamo verso le montagne. Fra i paesaggi naturali più fa-mosi del Marocco ci sono le gole di Todra e del Dades, l’una aspra e inquietante con le sue pareti ripi-de e scure, l’altra meno selvaggia ma con paesaggi resi ancor più af-fascinanti dalle rocce di granito rosso che la compongono. Deci-diamo di fare il giro che collega le due gole, un anello di quasi 200 km di cui circa 50 di pista. Come sempre nei nostri raid incontrare le persone lungo la strada è la sor-presa più bella. Oggi Raid for Aid ha voluto imitare Medici senza frontiere. Dopo una curva, a 2000 mila metri di altitudine, in un pae-saggio desertico e spettacolare, compare un anziano venditore di pietre fossili. Ci fermiamo, lui si avvicina timidamente e ci mostra la sua scarna mercanzia, ma subi-to dopo ci chiede aiuto: ha una brutta ferita ad un alluce (del resto è in ciabatte ed il suo villaggio è a 8 km di distanza, a piedi!). Subito proviamo a medicarlo, il dito è gonfio e dolorante, l’unghia spac-cata, ma la ferita non sembra in-fetta; la puliamo e applichiamo un cicatrizzante e una bendatura più pulita e adatta di quella che aveva. Gli lasciamo qualche me-dicamento e dei dolci per i suoi 7 figli. Mohammed ci ringrazia, sembra quasi commosso e ci re-gala qualche piccolo fossile. Sarà per tutti noi un ricordo prezioso di questo deserto d’alta quota. Riprendiamo la strada, paesaggi fantastici, immacolati. La pista è divertimento puro, per tutti noi, fino a quando comincia a iner-picarsi e in 10 km ci porta a qua-si 3000 metri di quota. Per chi, come me, soffre di vertigini, in certi frangenti, al divertimento subentra il panico. La pista, poco più di un sentiero, sale costante-mente come una ferita sul fianco della montagna. Sconnessa, con strapiombi, senza parapetti. "Mai più, giuro che se arrivo in fondo mai più", quante volte l’ho pensato arrancando sasso dopo sasso. 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Il giorno succes-sivo, dopo esserci riuniti, sosta di rito davanti allo storico cartello che recita: "timbouctu 52 giorni di cammello ", ricordando quanto ci impiegavano le carovane a rag-giungere la mitica oasi del Mali... e in moto? Quanti ne servirebbe-ro? Che viaggio sarebbe! Dopo di noi, davanti al cartello sostano le troupe di una televisione tedesca e poi di una irlandese. Dopo Za-gora solo il deserto, il Sahara. Quella che era l’ultima oasi prima dell’ ignoto oggi ha perso un po del suo fascino: molti alberghi, tu-risti, auto 4x4 e motociclisti, come noi. Arrivarci era un traguardo, oggi... Da qui ci spostiamo verso ovest, ancora verso le montagne, verso il Tizi-n-test, uno dei pochi passi che taglia la catena dell’ A-tlante collegando il nord con il sud. Arrivati al passo ci fermiamo per le foto di rito e dopo poco dal caffè di fronte esce un anziano si-gnore. Saluta gentilmente e si pre-senta: Mohamed (ma si chiama-no tutti Mohamed o Ibrahim da queste parti?). La solita chiacchie-rata di circostanza, poi ci chiede se abbiamo qualcosa per il dolore di stomaco: il giorno precedente ha partecipato a un matrimonio e dice di aver esagerato con il cous-cous. Gli diamo le pastiglie ade-guate e lui, per sdebitarsi, ci invi-ta a bere un tè. Dice di essere una specie di an-tiquario che gira il Paese cercan-do, di villaggio in villaggio, ogget-ti che valga la pena di acquistare. Ci incuriosisce, cerchiamo di an-dare più a fondo sulla sua profes-sione e poi, era ovvio, chiediamo di vedere la sua merce. Solo allora Mohamed apre le due sacche che si porta dietro e mette in mostra i suoi arti-coli. Acquistiamo tutti qualcosa, am-maliati e affascinati da questo abile ven-ditore. Quando ripar-tiamo, verso Mar-rakech, nel casco ri-penso all’ accaduto. Probabilmente gli oggetti che abbiamo acquistato non sono tanto più vecchi e forse nemmeno tanto più rari di quelli che abbiamo visto fin qui. Poi, piano piano mi convinco che forse é vero, forse Mohamed gira davvero il Paese a piedi, di villag-gio in villaggio, cercando oggetti antichi e di valore... almeno a me piace pensare così. IL FASCINO DI MARRAKECH Marrakech è un guazzabuglio. Il traffico è caotico, disordinato, pericoloso, i venditori insistenti, i mendicanti troppi. E’ una città ru-morosa. Non ci sono grandi vesti-gia storiche da visitare, o musei. E allora perché andare a Marrake-ch? Perché Marrakech, anzi la so-la piazza Djemaa-el-fna, la piazza dei miracoli, la piazza delle mille e una notte, rappresenta tutto il fa-scino esotico del Marocco: incan-tatori di serpenti, danzatrici del ventre, musicisti, maghi, sarti, dentisti, venditori di ogni tipo e ciarlatani di ogni genere animano la piazza Djemaa-el-fna dal tra-monto fino a notte fonda. Visitare il Marocco e non passare almeno una sera a Marrakech è come an-dare a Roma e non vedere il Co-losseo o piazza San Pietro. Così, anche noi, passiamo la serata ce-nando in una delle tante banca-relle della piazza, approfittando della cucina di strada, e assistia-mo al solito spettacolo che tutte le sere, da secoli, la piazza Dje-maa- el-fna mette in scena. Da Marrakech a Essauira la strada non è tanta. Essauira è un bel po-sto, è un antico porto sull’ oceano Atlantico, fortificato dai portoghe-si nel XVIII secolo, ma con una storia ben più antica che parte dai fenici. La cittadella fortificata (medina) fu progettata, per conto del sultano, dallo stesso architetto che progettò Saint Malò in Fran-cia. Bella dunque ed il suo nome, Essauira, significa appunto ben progettata. La medina è interes-sante, ben conservata, con un’ at-mosfera tranquilla e colta. Molti artigiani, all’ interno delle botte-ghe, lavorano ferro ed argento con una fantasia e una maestria incre-dibile. E ancora quadri, tessuti, li-bri: un piacere per gli occhi. Ma Essauira è soprattutto un porto di pescatori che ogni giorno si gua-dagnano il pane (ed il pesce) con un duro lavoro. Abbiamo visto i pescatori arrivare al pomeriggio, con le loro tozze barche di un blu intenso ma annerite dalla salsedi-ne e dal fumo dei motori diesel, e subito scaricare e pulire il pesce sui vecchi moli consunti. Sopra di loro, attorno a loro, in ogni ango-lo del porto centinaia di gabbiani, i veri padroni della città, mangia-no i resti del pesce convivendo con pescatori e turisti. C’è una ter-ribile puzza di pesce, che si impre-gna nella pelle, sulle scarpe, sui vestiti, nel vecchio porto di Es-sauira. Una strana catena alimen-tare lega tutti i personaggi: pesca-tori, pesci, gabbiani e turisti. I pe-scatori pescano, i gabbiani man-giano i resti del pesce e talvolta (a noi é successo) li restituiscono, di-geriti, sulle teste dei turisti che ad ogni modo il pesce lo mangiano, e buono, nei ristoranti della medi-na. Credeteci, c’é una gran puzza di pesce nel porto di Essauira. EPILOGO,QUEL CHE RESTA DI UN VIAGGIO. Dalle coste dell’Atlantico una veloce galoppata ci riporta verso nord, verso Tangeri, dove la nave ci sta aspettando. La via del ritor-no è sempre un po’ più triste, manca l’entusiasmo ed il dina-mismo dei primi giorni, consape-voli che un’altra bella avventura volge al termine. Ma cos’è l’avventura? Forse il rischio grosso sulle piste di montagna, mulattiere pietrose a strapiombo sul nulla; o le piste che attraversano oued e oasi av-volte dalla sabbia dove l’acqua, miracolo del deserto, dà la vita? Oppure i paesaggi, a volte aspri e desolati a volte sereni ed acco-glienti? O magari gli incontri con le per-sone: il venditore di fossili che ab-biamo medicato sulla pista del fiume "Todra", o il vecchio "anti-quario" che sul passo del Tiz-n-te-st, ci ha offerto un té alla menta, o ancora i nostri nuovi amici saha-riani Polona e Salem? Noi crediamo che quel che re-sta scolpito nei nostri cuori sia il sorriso dei bambini! Giocare con loro nelle scuole che abbiamo vi-sitato, vedere il loro entusiasmo sincero colpisce profondamente. Perché quando sorride un bambino sorridono tutti i bam-bini del mondo!!! Ora siamo sulla via del ritorno e c’è un po’ di amarezza nella fine di un viaggio. La nostalgia che prende il viaggiatore, a differenza del turista, è dovuta allo spirito con cui viaggia, al desiderio di ca-pire e condividere la vita delle per-sone che incontra. Non sappiamo se siamo turisti o viaggiatori, ma anche questa volta abbiamo cer-cato di lasciare un segno; un pic-colo seme del nostro passaggio. Grazie a tutti quelli che ci han-no sostenuto: la ONLUS "bambi-ni nel deserto" che ci ha aiutato ad aiutarla; Antonio e Francesca con il loro "progettofolle" da cui tutto è cominciato; i nostri ami-ci del team che, da casa, hanno viaggiato con noi; i lettori di "Li-bertà", giornale che ci ha dato fi-ducia e visibilità. Tutti ci hanno aiutato a "Viag-giare per bene... " Claudio, Davide, Gian Mario, Roberto RAID FOR AID TEAM Il ritorno col sorriso dei bambini nel cuore Missione compiuta per i motociclisti del bene LIBERTÀ