grazie a Claudio e a tutti i ragazzi di Raid for Aid (www.raidforaid.com) il #progettofolle01 non è una avventura isolata ma.. continua!!
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#progettofolle01 sul quotidiano La Libertà di Piacenza grazie a Raid for Aid!
1. Il giornale della gente
LE TESTIMONIANZE
58 Giovedì 30 ottobre 2014
IN MAROCCO VERSO LE SCUOLE DEL DESERTO
Mille emozioni Anche il rischio
delle piste, i paesaggi suggestivi e gli
incontri con le persone
Un bambino del
deserto e alcuni
momenti
significativi del
viaggio in
Marocco
portato a
termine dai
motociclisti del
Raid for Aid
team
◗◗ I motociclisti di Raid For Aid
Team hanno concluso la loro nuova
“missione del bene” in Marocco.
Ecco le loro ultime impressioni di
viaggio.
BAMBINI NEL DESERTO
S
iamo stati nel posto più bel-lo
del Sahara, in una scuola,
dove abbiamo incontrato le
persone più belle e importanti: " i
bambini nel deserto". Questo il
nome del nostro viaggio preso in
prestito per l’occa-sione
da quello della
onlus italiana presie-duta
da Luca Iotti,
che abbiamo soste-nuto
con questo raid.
Oltre alla visita nelle
scuole di Khamlia e
Ghirgis (villaggi
sahariani non lonta-ni
da Merzouga) sia-mo
stati nello sper-duto
villaggio di Be-gaa
dove abbiamo
incontrato Youssef il
quale ci ha mostrato
il pozzo per l’irriga-zione
che ha bisogno
di una nuova pompa
alimentata da un
pannello solare, e un
gruppo di case isolate non servite
dall’ acquedotto pubblico dove
sarebbe possibile costruire un ul-teriore
pozzo. Questi pozzi sono
parte del "progetto folle " del no-stro
amico Antonio Cinotti passa-to
di qui con la sua moto due set-timane
fa in una sorta di staffetta
della solidarietà. Antonio è un
viaggiatore, un motociclista e una
persona sensibile. Ama il sud del
Marocco in cui ha viaggiato in
moto, qualche tempo fa, con sua
moglie Francesca. Antonio, quale
regalo per i suoi 40 anni, ha chie-sto
ad amici e parenti un aiuto e-conomico
per questi progetti ap-poggiandosi
poi per la loro realiz-zazione
a "bambini nel deserto".
Ci siamo conosciuti. Lo spirito del
viaggio era quello giusto e così il
suo "progetto folle" è diventato
anche il nostro. Anche lui come
Raid for Aid cerca di "viaggiare per
bene...". Ma quanto è difficile, a
volte, viaggiare per bene. Le asso-ciazioni,
piccole o grandi, famose
o sconosciute, sono formate da
singole persone. Spesso le perso-ne
incontrate nei nostri viaggi si
sono rivelate eccezionali, ne sia-mo
diventati amici, e spesso ne
siamo tutt’ora in contatto.
E’ il caso, in questo raid, di Po-lona,
la prima persona conosciu-ta
al nostro arrivo ad Hassi Labied.
La sua storia merita davvero di es-sere
conosciuta: Polona Oblak è
una bella ragazza di origine slove-na
e la sua carnagione chiara spic-ca
sotto il velo che porta con ele-ganza.
Ci ha accolto con un bim-bo
tra le braccia, il piccolo Mou-stafa.
Una bella immagine, davve-ro.
Polona vive da tempo nel vil-laggio
di Hassi Labiad dove è
conosciuta e apprezzata, ed è una
collaboratrice di "bambini nel de-serto".
Ha organizzato il nostro
soggiorno, ci ha accompagnati
nella visita alle scuole dove presta
la propria opera volontaria come
insegnante, ma soprattutto si è ri-velata
una splendida persona. E
che dire poi di Salem, ragazzo ma-rocchino
discendente di una fa-miglia
nomade berbera, che fa la
guida promuovendo un turismo
responsabile e solidale, ed è an-che
il presidente dell’associazio-ne
"ighram" (villaggio) che si oc-cupa
di far conoscere la cultura
locale. Gli acquisti fatti nella bot-tega
della sua associazione, rifor-nita
dagli artigiani locali, non
hanno il sapore del "souvenir"
ma di un aiuto concreto alla po-polazione
locale. Ma come dice-vo,
a volte, è difficile anche "viag-giare
per bene... ".
Abbiamo forse commesso un
errore diplomatico a non contat-tare
direttamente al nostro arrivo
a Hassi Labiad Giacomo Ferri, un
altro referente di "bambini nel de-
serto", che gestisce un albergo
nella zona ed è il punto di riferi-mento
dei tanti motociclisti ita-liani
che passano da queste par-ti.
Giacomo ci aspettava e noi,
per un malinteso, ci siamo pre-sentati
due giorni dopo. Peccato
non aver usufruito della sua ospi-talità
e non esserci conosciuti
meglio. Dopo quattro giorni ci
congediamo dai nostri nuovi
amici con la promessa di risen-tirci
via mail una volta tornati a
casa per poter poi così seguire co-stantemente
l’evoluzione dei pro-getti
in atto. Il viaggio riprende e
lasciato il deserto ci spostiamo
verso le montagne.
Fra i paesaggi naturali più fa-mosi
del Marocco ci sono le gole
di Todra e del Dades, l’una aspra e
inquietante con le sue pareti ripi-de
e scure, l’altra meno selvaggia
ma con paesaggi resi ancor più af-fascinanti
dalle rocce di granito
rosso che la compongono. Deci-diamo
di fare il giro che collega le
due gole, un anello di quasi 200
km di cui circa 50 di pista. Come
sempre nei nostri raid incontrare
le persone lungo la strada è la sor-presa
più bella. Oggi Raid for Aid
ha voluto imitare Medici senza
frontiere. Dopo una curva, a 2000
mila metri di altitudine, in un pae-saggio
desertico e spettacolare,
compare un anziano venditore di
pietre fossili. Ci fermiamo, lui si
avvicina timidamente e ci mostra
la sua scarna mercanzia, ma subi-to
dopo ci chiede aiuto: ha una
brutta ferita ad un alluce (del resto
è in ciabatte ed il suo villaggio è a
8 km di distanza, a piedi!). Subito
proviamo a medicarlo, il dito è
gonfio e dolorante, l’unghia spac-cata,
ma la ferita non sembra in-fetta;
la puliamo e applichiamo
un cicatrizzante e una bendatura
più pulita e adatta di quella che
aveva. Gli lasciamo qualche me-dicamento
e dei dolci per i suoi 7
figli. Mohammed ci ringrazia,
sembra quasi commosso e ci re-gala
qualche piccolo fossile. Sarà
per tutti noi un ricordo prezioso
di questo deserto d’alta quota.
Riprendiamo la strada, paesaggi
fantastici, immacolati. La pista è
divertimento puro, per tutti noi,
fino a quando comincia a iner-picarsi
e in 10 km ci porta a qua-si
3000 metri di quota. Per chi,
come me, soffre di vertigini, in
certi frangenti, al divertimento
subentra il panico. La pista, poco
più di un sentiero, sale costante-mente
come una ferita sul fianco
della montagna. Sconnessa, con
strapiombi, senza parapetti.
"Mai più, giuro che se arrivo in
fondo mai più", quante volte
l’ho pensato arrancando sasso
dopo sasso. Quando finalmente
scolliniamo tiro un sospiro di
sollievo e la discesa, più dolce e
ampia, mi riconcilia con queste
valli meravigliose.
UN PERCORSO MAGICO
Per un giorno il gruppo si divi-de:
i "pistaioli di montagna",
Gianmario e Roberto, affrontano
una pista d’alta quota che da Ti-nerhir
scende verso Zagora attra-versando
il jebel Sahro tra grandi
difficoltà di guida e paesaggi stu-pendi,
mentre i "culturali di pia-nura
", Claudio e Davide, visitano
la kasba di Skoura, perfettamente
conservata e protetta dall’ Une-sco.
Dopo Skoura la discesa verso
Zagora sulla pista sabbiosa che
corre lungo il fiume Draa. Un per-corso
magico con villaggi, domi-nati
da kasbe e moschee, che si
susseguono nel palmeto. Accanto
scorre, e da la vita, il Draa, un ve-ro
Nilo marocchino. Appunta-mento,
inshallah, alle 18 all’ in-gresso
di Zagora. Il giorno succes-sivo,
dopo esserci riuniti, sosta di
rito davanti allo storico cartello
che recita: "timbouctu 52 giorni di
cammello ", ricordando quanto ci
impiegavano le carovane a rag-giungere
la mitica oasi del Mali...
e in moto? Quanti ne servirebbe-ro?
Che viaggio sarebbe! Dopo di
noi, davanti al cartello sostano le
troupe di una televisione tedesca
e poi di una irlandese. Dopo Za-gora
solo il deserto, il Sahara.
Quella che era l’ultima oasi prima
dell’ ignoto oggi ha perso un po
del suo fascino: molti alberghi, tu-risti,
auto 4x4 e motociclisti, come
noi. Arrivarci era un traguardo,
oggi... Da qui ci spostiamo verso
ovest, ancora verso le montagne,
verso il Tizi-n-test, uno dei pochi
passi che taglia la catena dell’ A-tlante
collegando il nord con il
sud. Arrivati al passo ci fermiamo
per le foto di rito e dopo poco dal
caffè di fronte esce un anziano si-gnore.
Saluta gentilmente e si pre-senta:
Mohamed (ma si chiama-no
tutti Mohamed o Ibrahim da
queste parti?). La solita chiacchie-rata
di circostanza, poi ci chiede
se abbiamo qualcosa per il dolore
di stomaco: il giorno precedente
ha partecipato a un matrimonio e
dice di aver esagerato con il cous-cous.
Gli diamo le pastiglie ade-guate
e lui, per sdebitarsi, ci invi-ta
a bere un tè.
Dice di essere una specie di an-tiquario
che gira il Paese cercan-do,
di villaggio in villaggio, ogget-ti
che valga la pena di acquistare.
Ci incuriosisce, cerchiamo di an-dare
più a fondo sulla sua profes-sione
e poi, era ovvio, chiediamo
di vedere la sua merce. Solo allora
Mohamed apre le
due sacche che si
porta dietro e mette
in mostra i suoi arti-coli.
Acquistiamo
tutti qualcosa, am-maliati
e affascinati
da questo abile ven-ditore.
Quando ripar-tiamo,
verso Mar-rakech,
nel casco ri-penso
all’ accaduto.
Probabilmente gli
oggetti che abbiamo
acquistato non sono
tanto più vecchi e
forse nemmeno tanto più rari di
quelli che abbiamo visto fin qui.
Poi, piano piano mi convinco che
forse é vero, forse Mohamed gira
davvero il Paese a piedi, di villag-gio
in villaggio, cercando oggetti
antichi e di valore... almeno a me
piace pensare così.
IL FASCINO DI MARRAKECH
Marrakech è un guazzabuglio.
Il traffico è caotico, disordinato,
pericoloso, i venditori insistenti, i
mendicanti troppi. E’ una città ru-morosa.
Non ci sono grandi vesti-gia
storiche da visitare, o musei. E
allora perché andare a Marrake-ch?
Perché Marrakech, anzi la so-la
piazza Djemaa-el-fna, la piazza
dei miracoli, la piazza delle mille e
una notte, rappresenta tutto il fa-scino
esotico del Marocco: incan-tatori
di serpenti, danzatrici del
ventre, musicisti, maghi, sarti,
dentisti, venditori di ogni tipo e
ciarlatani di ogni genere animano
la piazza Djemaa-el-fna dal tra-monto
fino a notte fonda. Visitare
il Marocco e non passare almeno
una sera a Marrakech è come an-dare
a Roma e non vedere il Co-losseo
o piazza San Pietro. Così,
anche noi, passiamo la serata ce-nando
in una delle tante banca-relle
della piazza, approfittando
della cucina di strada, e assistia-mo
al solito spettacolo che tutte
le sere, da secoli, la piazza Dje-maa-
el-fna mette in scena. Da
Marrakech a Essauira la strada
non è tanta. Essauira è un bel po-sto,
è un antico porto sull’ oceano
Atlantico, fortificato dai portoghe-si
nel XVIII secolo, ma con una
storia ben più antica che parte dai
fenici. La cittadella fortificata
(medina) fu progettata, per conto
del sultano, dallo stesso architetto
che progettò Saint Malò in Fran-cia.
Bella dunque ed il suo nome,
Essauira, significa appunto ben
progettata. La medina è interes-sante,
ben conservata, con un’ at-mosfera
tranquilla e colta. Molti
artigiani, all’ interno delle botte-ghe,
lavorano ferro ed argento con
una fantasia e una maestria incre-dibile.
E ancora quadri, tessuti, li-bri:
un piacere per gli occhi. Ma
Essauira è soprattutto un porto di
pescatori che ogni giorno si gua-dagnano
il pane (ed il pesce) con
un duro lavoro. Abbiamo visto i
pescatori arrivare al pomeriggio,
con le loro tozze barche di un blu
intenso ma annerite dalla salsedi-ne
e dal fumo dei motori diesel, e
subito scaricare e pulire il pesce
sui vecchi moli consunti. Sopra di
loro, attorno a loro, in ogni ango-lo
del porto centinaia di gabbiani,
i veri padroni della città, mangia-no
i resti del pesce convivendo
con pescatori e turisti. C’è una ter-ribile
puzza di pesce, che si impre-gna
nella pelle, sulle scarpe, sui
vestiti, nel vecchio porto di Es-sauira.
Una strana catena alimen-tare
lega tutti i personaggi: pesca-tori,
pesci, gabbiani e turisti. I pe-scatori
pescano, i gabbiani man-giano
i resti del pesce e talvolta (a
noi é successo) li restituiscono, di-geriti,
sulle teste dei turisti che ad
ogni modo il pesce lo mangiano, e
buono, nei ristoranti della medi-na.
Credeteci, c’é una gran puzza
di pesce nel porto di Essauira.
EPILOGO,QUEL CHE RESTA DI UN
VIAGGIO.
Dalle coste dell’Atlantico una
veloce galoppata ci riporta verso
nord, verso Tangeri, dove la nave
ci sta aspettando. La via del ritor-no
è sempre un po’ più triste,
manca l’entusiasmo ed il dina-mismo
dei primi giorni, consape-voli
che un’altra bella avventura
volge al termine.
Ma cos’è l’avventura?
Forse il rischio grosso sulle piste
di montagna, mulattiere pietrose
a strapiombo sul nulla; o le piste
che attraversano oued e oasi av-volte
dalla sabbia dove l’acqua,
miracolo del deserto, dà la vita?
Oppure i paesaggi, a volte aspri
e desolati a volte sereni ed acco-glienti?
O magari gli incontri con le per-sone:
il venditore di fossili che ab-biamo
medicato sulla pista del
fiume "Todra", o il vecchio "anti-quario"
che sul passo del Tiz-n-te-st,
ci ha offerto un té alla menta, o
ancora i nostri nuovi amici saha-riani
Polona e Salem?
Noi crediamo che quel che re-sta
scolpito nei nostri cuori sia il
sorriso dei bambini! Giocare con
loro nelle scuole che abbiamo vi-sitato,
vedere il loro entusiasmo
sincero colpisce profondamente.
Perché quando sorride un
bambino sorridono tutti i bam-bini
del mondo!!!
Ora siamo sulla via del ritorno e
c’è un po’ di amarezza nella fine
di un viaggio. La nostalgia che
prende il viaggiatore, a differenza
del turista, è dovuta allo spirito
con cui viaggia, al desiderio di ca-pire
e condividere la vita delle per-sone
che incontra. Non sappiamo
se siamo turisti o viaggiatori, ma
anche questa volta abbiamo cer-cato
di lasciare un segno; un pic-colo
seme del nostro passaggio.
Grazie a tutti quelli che ci han-no
sostenuto: la ONLUS "bambi-ni
nel deserto" che ci ha aiutato
ad aiutarla; Antonio e Francesca
con il loro "progettofolle" da cui
tutto è cominciato; i nostri ami-ci
del team che, da casa, hanno
viaggiato con noi; i lettori di "Li-bertà",
giornale che ci ha dato fi-ducia
e visibilità.
Tutti ci hanno aiutato a "Viag-giare
per bene... "
Claudio, Davide,
Gian Mario, Roberto
RAID FOR AID TEAM
Il ritorno col sorriso
dei bambini nel cuore
Missione compiuta per i motociclisti del bene
LIBERTÀ