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         Generazione social network
         la chance dei giovani in azienda

                                              Le innovazioni del web 2.0 costringeranno le imprese a cambiare l’organizzazione del lavoro, che “sarà sempre meno
                                              gerarchica e sempre più a rete”. Risorse umane, marketing e comunicazione i settori dove ci saranno più opportunità per
                                              la generazione Y, cresciuta a pane e social network. Lo spiega Alessandro Prunesti nel libro “Enterprise 2.0”

                                              di PIETRO SCARNERA

                                            Un modo per reagire alla crisi economica, ma anche un’opportunità lavorativa per i più giovani, stretti fra precarietà e
                                            disoccupazione. È il ruolo dei social media e del web 2.0 in generale nella visione di Alessandro Prunesti, docente alla
         Business school del Sole 24 Ore e autore del libro “Enterprise 2.0” (Franco Angeli, 26 euro). Una tesi che parte da una considerazione semplice: “Le
         imprese presto dovranno fare i conti con una generazione cresciuta insieme ai social network, una generazione di ‘nativi digitali’ abituata al concetto di
         condivisione: questo cambierà anche il modo di lavorare all’interno delle aziende”.

         Le innovazioni tecnologiche, è la tesi di Prunesti, non avranno però conseguenze solo sugli strumenti con cui si lavora, “ma anche nell’organizzazione del
         lavoro, che sarà sempre meno gerarchica e sempre più ‘a rete’”. Lo strumento che già oggi permette di applicare un nuovo approccio al lavoro si chiama
         “cloud computing”: servizi come Google Apps e Office Live trasformano internet in uno spazio digitale che consente di creare, trasferire, condividere e
         immagazzinare contenuti come se il web fosse un gigantesco hard disk. “Così sparisce la figura dell’impiegato ‘geloso’ del suo lavoro e che agisce in
         solitaria: anzi, il lavoro diventa sempre più di gruppo, perché tutti lavorano sullo stesso file”.

         Per la generazione Y, quella nata fra il 1977 e il 2000, si tratta di un’occasione da cogliere per sfruttare le proprie competenze informatiche. E il futuro
         delineato da Prunesti non è poi così lontano. “Oggi le imprese, soprattutto in Italia, sono ancora scettiche sul web 2.0, hanno una posizione di attesa, però
         sono attente a quello che succede, è come se fossero affacciate alla finestra”. Per chi cerca lavoro è il momento giusto per farsi vedere. “È il consiglio che do
         ai miei studenti: aprire un profilo su LinkedIn, aprire un blog, ma soprattutto cominciare a sviluppare dei progetti, magari in rete con altre persone: non
         mancano esempi in cui questi progetti sono poi stati ‘adottati’ dalle aziende”.

         Anche in Italia c’è già chi sta sperimentando modalità di lavoro condiviso tramite il web 2.0. “Si tratta soprattutto di grandi aziende e gruppi multinazionali
         – spiega Prunesti –, che hanno la possibilità di investire in questo campo. Fiat, per esempio, ha sviluppato un social network per formare il top management
         sui temi della leadership; Banca Intesa gestisce la formazione facendo un largo uso dei social network; Acea Electrabel (azienda che opera nel settore
         energetico) è la prima ad aver realizzato una piattaforma di Enterprise 2.0 per migliorare la comunicazione e il lavoro interno”. Ma la rivoluzione 2.0,
         secondo Prunesti, presto coinvolgerà anche le piccole e medie imprese. “In Emilia-Romagna e Lombardia, dove gli imprenditori sono più ‘smart’, questo sta
         già succedendo”.

         I settori più interessati dal cambiamento sono “le risorse umane, il marketing e la comunicazione, ma anche l’area commerciale – prosegue lo studioso –: in
         quest’ultimo campo, in particolare, gli strumenti del web 2.0 consentono di instaurare una comunicazione diretta con il cliente. Si tratta di piattaforme di
         Customer relationship management (Crm), che secondo me a lungo termine si riveleranno molto più efficaci, anche perché meno costose, delle grandi
         campagne pubblicitarie”.




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