In una comunità terapeutica per tossicodipendenti la questione clinica del borderline si pone innanzitutto come una questione pratica che deve essere gestita soprattutto dagli operatori. Gli operatori sperimentano quotidianamente, nel corso delle varie attività psicoeducative, la possibilità di fare una cosiddetta “diagnosi doubleface” (Rossi Monti, Foresti). Se prendiamo infatti come vertice di osservazione la relazione tra operatori e pazienti di una comunità possiamo facilmente catalogare i vissuti degli uni e degli altri seguendo passo per passo i criteri della diagnosi del disturbo borderline di personalità. Quindi possiamo notare, prendendo come riferimento la quarta versione del DSM, come a ogni caratteristica clinica del paziente borderline risponda un particolare vissuto dell’operatore. E non è detto tale vissuto sia riconducibile essenzialmente a dinamiche o contenuti controtransferali. Nella mia esperienza tali vissuti emergono piuttosto come effetto della psicopatologia dei pazienti tossicomani sugli operatori. Per tal motivo mi sembra opportuno recuperare la riflessione di Foresti e Rossi Monti su una diagnosi doubleface al fine di contestualizzare alcuni snodi relazionali tipici e ricorrenti nella clinica del borderline così come la sperimentiamo in una comunità terapeutica per tossicodipendenti.
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Esistenze borderline e mondo tossicomane: modelli relazionali nella comunità terapeutica
1. Scuola di Psicoterapia PsicoanaliticaScuola di Psicoterapia Psicoanalitica
Serate PsicoanaliticheSerate Psicoanalitiche
Anno 2013
“Esistenze borderline e mondo tossicomane:
modelli relazionali nella comunità terapeutica”
Nicolò Terminio
Psicoterapeuta – Ph.D.
Via Massena, 90 – Torino
11 dicembre 2013
2. 2
Modelli relazionali nella comunità terapeutica:
un’esperienza clinica e di ricerca
• Psicopatologia del
mondo tossicomane
• Campo terapeutico e
lavoro d’équipe
• Cosa ci si può aspettare
dalla cura svolta nella
comunità terapeutica?
3. 3
Partire dalle domande di chi lavora
• Psicopatologia del mondo tossicomane
• La conduzione della cura
• L’operatore nella relazione
• Il lavoro d’équipe e il campo istituzionale
• Dalla teoria alla pratica e ritorno
• Responsabilità clinica e visione della
comunità
5. 5
Psicoanalisi e psicopatologia fenomenologica
Il rapporto tra fenomenologia e
psicoanalisi è stato costruito da un
lato sulla necessità della
fenomenologia di trovare una
declinazione tecnica dei concetti di
base e dall’altro sulla necessità
della psicoanalisi di superare la
tecnica delle interpretazioni
classiche attraverso l’adozione di
un atteggiamento terapeutico che
si possa avvalere di manovre non
interpretative.
6. 6
Dispositivi di vulnerabilità
“Con il concetto di «dispositivo di
vulnerabilità» si indicano quelle
caratteristiche che fanno di un
essere umano al tempo stesso un
essere fragile ed esposto alla
malattia e una persona in rapporto
dialettico con se stessa, aperta al
mondo e alla vita”
[G.Stanghellini, M. Rossi Monti,
Psicologia del patologico. Una
prospettiva fenomenologica-
dinamica, Cortina, Milano 2009, p.
XVI].
7. 7
I dispositivi di vulnerabilità:
struttura ed esistenza
• La concettualizzazione dei “dispositivi di vulnerabilità” si fonda
sull’assunto che vede la malattia mentale come un evento che
da un lato coinvolge e condiziona fortemente la vita del paziente
e dall’altro rimane comunque un evento rispetto a cui lo stesso
paziente può prendere posizione.
• I dispositivi di vulnerabilità descrivono le strutture invarianti
dell’esperienza che sovradeterminano il dipanarsi dei vissuti di
ciascun soggetto.
8. 8
4 dispositivi di vulnerabilità … più 1
1. Conflitto
a. Definizione teorica
b. Traduzione clinica
c. Conduzione della cura
2. Trauma
a. Definizione teorica
b. Traduzione clinica
c. Conduzione della cura
3. Umore
a. Definizione teorica
b. Traduzione clinica
c. Conduzione della cura
4. Coscienza
a. Definizione teorica
b. Traduzione clinica
c. Conduzione della cura
+1: Tempo
10. 10
Il mondo tossicomane
“Il mondo tossicomane o, per meglio
dire, l’assenza di mondo, che, in
negativo, struttura la presenza
tossicomane come assenza (come
de-senza) come continua
sottrazione e sparizione dal
mondo, sono gli aspetti attorno a
cui si struttura l’esperienza
stessa”.
G. Di Petta, Gruppoanalisi dell’esserci.
Tossicomania e terapia delle emozioni
condivise, pref. di B. Callieri e A.
Correale, pres. di L. Calvi, Angeli,
Milano 2006, pp. 99-100.
11. 11
Istanti senza storia
“Nel microcosmo del rapporto terapeutico
tutto questo è particolarmente visibile. A
partire dalla difficoltà di articolare tra loro
le sedute come eventi che godono di un
duplice statuto temporale: da un lato
eventi chiusi in se stessi (le singole
sedute), ma dall’altro eventi inseriti in una
successione nella quale le sedute si
integrano tra loro a costituire una
continuità. Nel lavoro con i pazienti
borderline ogni volta tutto ricomincia da
capo: all’inizio di ogni seduta manca
spesso la percezione di un luogo interno
ove sia possibile conservare il ricordo
delle sedute precedenti e della storia della
relazione così come si va sviluppando”.
[M. Rossi Monti, “Psicopatologia e figure del
presente”, in Forme del delirio e psicopatologia,
Cortina, Milano 2008, p. 87].
12. 12
Evento e distruzione del tempo
“Il clinico ha spesso, per lungo tempo, la
sensazione di stare provando a costruire
sulle sabbie mobili. Ogni volta si
ricomincia da capo: l’organizzazione della
temporalità borderline consente di saltare
da presente a presente, facendo di ogni
attimo un’eternità. Da questi attimi non
scaturisce una storia. Ognuno di essi
occlude una storia che non può essere
raccontata. Qualunque cosa accada, dopo
ne accade un’altra e se si continua a
inseguire gli eventi, concentrandosi sul
presente, si potrà continuare ad avere a
che fare solo con un evento invece che
con una storia o con una narrazione nella
quale riconoscersi”.
[M. Rossi Monti, “Psicopatologia e figure del
presente”, in Forme del delirio e psicopatologia,
Cortina, Milano 2008, p. 87].
La dimensione del presente non si
aggancia al passato e non proietta
verso il futuro.
Kernberg ha approfondito questo
tema evidenziando la “distruzione
del tempo nel narcisismo
patologico”.
13. 13
La paralisi della funzione
simbolopoietica
Seguendo le riflessioni di Corrado Pontalti possiamo
concettualizzare il nucleo psicopatologico del
disturbo borderline come “la paralisi della
funzione simbolopoietica”.
Nelle forme psicopatologiche che possiamo indicare
con il termine “borderline” viene meno la “funzione
esplorativa”.
La funzione esplorativa trova un suo fondamento nella
capacità della persona di storicizzare le proprie
esperienze di vita.
Nella psicopatologia borderline non ci sono operatori
psichici che consentono i transiti, i traslochi. Non ci
sono codici che connettono i diversi territori abitati.
La presenza di territorialità diverse implica infatti la
sovrapposizione di codici diversi ed è allora
necessario cercare di costruire un racconto che crei
connessioni.
14. 14
Alcune questioni psicopatologiche
Sintomi senza inconscio
• In che modo possiamo introdurre dei
criteri che ci consentano di cogliere il
nucleo psicopatologico delle nuove
forme del sintomo? Sulla base di
quali criteri differenziali possiamo
oggi parlare di nuovi sintomi invece
che di classici sintomi nevrotici?
• Quali difficoltà pone la psicoterapia
delle forme psicopatologiche
contemporanee?
• E in cosa consistono le strategie
preliminari della cura per far fronte a
tali difficoltà?
15. 15
Tre differenze tra sintomi nevrotici e nuovi sintomi
a) Il disturbo ha sempre una
significazione psichica particolare,
quindi è un sintomo che parla: anche
se in modo enigmatico si configura
come una metafora di ciò che è stato
rimosso.
b) Il sintomo è sempre la
manifestazione di un conflitto. È una
divisione nevrotica tra il volere e il
fare. Più una persona è coerente con
ciò che desidera più è sana; più una
persona è lontana da ciò che desidera
più soffre.
c) Sul piano della conduzione della cura
osserviamo che il sintomo classico è
sensibile all’interpretazione:
l’interpretazione semantica ha effetti
terapeutici sul sintomo.
a) I nuovi sintomi tendono a
prendere la forma della
scarica. L’agito prende il
posto del pensato.
b) I nuovi sintomi non
esprimono un conflitto del
soggetto ed escludono il
legame con l’Altro.
c) I nuovi sintomi si
presentano come dei
sintomi che resistono
all’effetto
dell’interpretazione
semantica.
16. 16
Una diagnosi double-face
1. Sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.
Colpa e ricatto.
2. Un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense,
caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione
e svalutazione. Imprevedibilità e ipercoinvogimento.
3. Alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé
marcatamente e persistentemente instabili. Non sapere e
astoricità
4. Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose
per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida
spericolata, abbuffate. Una spinta a reagire
5. Ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o
comportamento automutilante. Paralisi del senso
6. Instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (per
es. episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito
durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni).
Inquietudine, impotenza e fallimento.
7. Sentimenti cronici di vuoto. Desolazione senza orizzonte.
8. Rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia
(per se., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti
scontri fisici). Rabbia o paura.
9. Ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati
allo stress. Diffidenza.
17. 17
La comunità come luogo per la cura psichica
• La comunità può diventare
terapeutica (cioè
trasformativa) se rinuncia
ad essere un mero luogo di
contenimento, evitando
quindi di perseguire come
obiettivo principale quello
dell’adattamento psico-
sociale del paziente.
• Quali percorsi di
soggettivazione sono
possibili in una comunità
terapeutica? E per quali
pazienti?
18. 18
La cura nella comunità terapeutica:
soggettivare il Dasein?
“Ma come lo si può, in definitiva,
s-oggettivare, questo Dasein,
cioè render proprio, proprio
sempre nel senso di nostro,
cioè insostituibile,
inimitabile?”
[G. Di Petta, Il mondo tossicomane.
Fenomenologia e psicopatologia,
introd. di B. Callieri, Angeli,
Milano 2004, p. 104].
19. 19
La funzione terapeutica della comunità
La funzione terapeutica della comunità:
– Riposo
– Mentalizzazione
– Slancio vitale
La matrice gruppale del trattamento:
– Universale e singolare
– Rispecchiamento e
soggettivazione
– Campo istituzionale e lavoro
d’équipe
20. 20
il Progetto Terapeutico Individualizzato
• Analisi dei bisogni e del contesto
– Storia
– Sintomo
– Domanda
• Obiettivi del progetto
• Contenuti
• Metodi e strumenti
• Tempi
• Spazi
• Vincoli e limiti
• Verifiche e aggiornamento clinico
21. 21
Il lavoro psicoterapeutico in istituzione
Un elemento che caratterizza l’approccio clinico in
istituzione consiste nel ruolo fondamentale che
viene posto nel funzionamento dell’équipe.
L’équipe degli operatori (psicoterapeuti, educatori,
operatori, cuochi, manutentori e ogni altra
persona che entra abitualmente in contatto con i
pazienti) rappresenta infatti il fulcro operativo
che permette di attualizzare il progetto clinico
della Comunità.
Il Progetto Terapeutico Individualizzato non trova il
suo momento di realizzazione solo nei diversi tipi
di colloqui (diagnostici, terapeutici, educativi) o
nelle attività che vengono svolte, piuttosto trova
il suo fattore di maggiore efficacia clinica nel
“campo istituzionale” che permea la vita
quotidiana e il clima relazionale della Comunità.
22. 22
pratique à plusieurs
La pratique à plusieurs è un’applicazione
della psicoanalisi nel campo
istituzionale, è stata inventata e messa
a punto negli anni Settanta in Belgio da
Antonio Di Ciaccia per la cura dei
bambini psicotici. Oggi la pratique à
plusieurs ispira l’orientamento clinico di
diverse istituzioni per la cura di forme
di psicopatologia grave.
Per approfondimenti si rimanda a:
• A. Di Ciaccia, “Una pratica al rovescio”,
in Aa.Vv., Autismo e Psicosi Infantile.
Clinica in Istituzione, Borla, Roma
2006, pp. 23-43;
• A. Zenoni, L’autre pratique clinique.
Psychanalyse et institution
thérapeutique, Érès, Toulouse 2009.
23. 23
L’operatore e il lavoro terapeutico:
parlare una lingua
La psicoterapia come la lingua:
la psicoterapia come una pratica
che non si lascia mai del tutto
addomesticare dall’esigenza di
sistematizzare l’esperienza del
“prendere la parola”. Come per la
lingua, così anche per la
psicoanalisi non è possibile
procedere verso la compiutezza
esplicativa di un’esperienza che è
sempre in sovrappiù rispetto a
quanto fino ad allora previsto o
descritto.
24. 24
Esercitare la flessibilità
Possiamo sostenere che il metodo
fenomenologico-dinamico organizza un
campo di possibilità mai saturate né
dai diktat delle varie tecniche né dalle
definizioni teoriche. Apprendere il
mestiere clinico è come apprendere
una lingua. L’esperienza terapeutica è
infatti un insieme organizzato di
virtualità dove la conoscenza della
grammatica relazionale (conoscenza
della lingua) entra in rapporto con la
capacità di costruire un campo
terapeutico (capacità di esecuzione).
25. 25
La cura: conoscenza, significato e
applicazione terapeutica
La pratica psicoterapeutica impone lo sforzo di uscire
da ogni versione nomenclatoria e classificatoria
dell’esperienza relazionale che si realizza in una
cura. Non ci sono applicazioni prêt à porter, né
sistemi onnicomprensivi del campo di possibilità
aperto dall’incontro con un paziente. La cura è un
campo di possibilità dove si tratta di verificare di
volta in volta la pertinenza (o l’efficacia) del
rapporto che stabiliamo tra il nostro sistema di
riferimento (più o meno confermato dalla ricerca
più aggiornata) e le sue applicazioni. E qui entra
in gioco anche il modo in cui mettiamo alla prova
il nostro sapere di fronte alla pratica clinica
quotidiana, ossia come ci lasciamo interrogare
dalle increspature del reale che ci obbligano a
rivedere e ricalibrare le certezze acquisite dalla
routine e del già saputo.
26. 26
La relazione non può essere considerata soltanto come la cornice dell’approccio
terapeutico, essa è il vettore principale dell’intervento clinico.
La presa in carico istituzionale non consiste quindi nell’applicazione di una serie di
tecniche terapeutiche, ma innanzitutto nel fare posto e nel modulare un legame
sociale specifico.
Ne consegue che il clinico, il terapeuta, l’operatore, l’educatore che lavora nei contesti
istituzionali non è semplicemente il depositario di un saper fare o di una tecnica,
egli è il partner di un legame.
27. 27
Gruppi, laboratori e comunità terapeutica
IL GRUPPO PAROLA
L’analisi dei contenuti viene
focalizzata sui dati riferiti ai
seguenti assi relazionali:
• il rapporto di ciascun paziente
con gli altri membri del gruppo;
• il rapporto di ciascun paziente
con il conduttore del gruppo e gli
operatori presenti;
• il rapporto di ciascun paziente
nei confronti del dispositivo
gruppale;
• il rapporto di ciascun paziente
con la comunità;
• il rapporto di ciascun paziente
con le proprie problematiche
soggettive e il proprio progetto
terapeutico.
La funzione del “gruppo”, in quanto
dispositivo in grado di modulare:
• il legame intersoggettivo tra i
pazienti;
• il loro singolo percorso terapeutico;
• il legame tra il gruppo dei pazienti
e la comunità.
28. 28
Psicoterapia, comunità e cultura istituzionale
Dove risiede la cultura?
“La cultura è la proprietà di un gruppo.
Ogni volta che un gruppo ha
abbastanza esperienza in comune
comincia a formarsi una cultura. […]
La cultura esiste a livello dell’intera
organizzazione, se c’è una storia
sufficientemente condivisa. […]
Pertanto la chiave per capire se
esiste o meno una cultura è cercare
la presenza di esperienze comuni e di
un comune bagaglio culturale”.
[E. Schein (1999), Culture d’impresa. Come
affrontare con successo le transizioni e i
cambiamenti organizzativi, trad. it. di G. Picco,
Cortina, Milano 2000, p. 22]
30. 30
Artefatti
• Cosa sono? “Quello che si vede, si ascolta e si prova
quando si va in giro” (Schein 1999, p. 25).
• Metodo di analisi: “bisogna essere in grado di parlare
con chi vi lavora e porre domande su quanto si osserva
e si percepisce” (Schein 1999, p. 26).
• Questione: non si sa quello che gli artefatti
significhino.
31. 31
Valori dichiarati
• Cosa sono? “Sono le cose che hanno valore per
l’organizzazione” (Schein 1999, pp. 26-27)
• Metodo di analisi: “Perché si agisce in questo modo?”
(Schein 1999, p. 27).
• Questione: “Come è possibile che due organizzazioni che
dichiarano di abbracciare gli stessi valori abbiano differenti
organizzazioni dello spazio fisico e differenti stili di lavoro?”
(Schein 1999, p. 27).
32. 32
Assunti taciti condivisi
• Cosa sono? Sono “gli assunti che operano senza che i membri
ne siano consapevoli, perché hanno cominciato ad essere dati
per scontati” (Schein 1999, p. 29).
• Metodo di analisi: “se davvero si vuole comprendere la cultura,
si deve cominciare un processo che comporta l’osservazione
sistematica e il parlare con i dipendenti per poter rendere
espliciti gli assunti taciti” (Schein 1999, p. 33).
• Questione:
– non esiste una cultura giusta o sbagliata;
– gli elementi che orientano una cultura sono invisibili;
– “se si vogliono cambiare alcuni elementi della propria cultura, si deve
riconoscere che si stanno affrontando alcune delle parti più stabili
dell’organizzazione” (Schein 1999, p. 34) .
33. 33
Cura psichica e cultura istituzionale
In sintesi
• Ciò che realmente guida la cultura – la sua essenza – sono
gli assunti acquisiti, condivisi e taciti su cui la gente basa il
proprio comportamento quotidiano.
• La bontà di una cultura dipende dal livello al quale gli
assunti taciti comuni creano il tipo di strategia e di
organizzazione che è funzionale nell’ambiente
dell’organizzazione.
• Non si possono dedurre gli assunti solo dall’osservazione del
comportamento.
(Schein 1999, p. 32-33)
34. 34
La psicoterapia e la visione della comunità
• Cura e lavoro d’équipe
• Cura e responsabilità clinica
• Cura e cultura organizzativa