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Effetto fotoelettrico
Gianmarco Bramanti
March 13, 2013
1 Scoperta, prime misure, la teoria di Einstein, la verifica sperimentale
della teoria
Con la locuzione effetto fotoelettrico si fa in realt`a riferimento ad una vasta gamma di
fenomeni a diverse scale di energia che riguardano l’interazione della radiazione con la
materia. Come dicono le parole si tratta di un effetto elettrico della luce, nella fattispecie
della capacit`a della luce di causare, o modificare una corrente elettrica. Dal punto di
vista storico la prima classe di fenomeni fotoelettrici a cui si fa riferimento `e l’emissione
di elettroni da parte di superfici metalliche ”illuminate” da radiazione elettromagnet-
ica, le virgolette sottolineano il fatto che il campo elettromagnetico in questione non `e
necessariamente luce visibile, in questo caso di dovrebbe parlare, pi`u propriamente di
fotoemissione elettronica, tuttavia anche la ionizzazione di un atomo per effetto di campi
elettromagnetici `e un esempio di effetto fotoelettrico. Un’altra grande classe di fenomeni
fotoelettrici, legati particolarmente allo sviluppo dell’elettronica ed al conseguente studio
dei semiconduttori, riguarda la variazione della conducibilit`a di un materiale per effetto
della sua ”illuminazione”, in questo caso si parla di effetto fotoelettrico interno, ovvero
di effetto fotoconduttivo. Infine uno degli sviluppi tecnologi pi`u avanzati dell’antico
argomento `e l’effetto di generazione di una differenza di potenziale e di una corrente at-
traverso una giunzione a diodo, si parla in questo caso di effetto fotovoltaico. Accanto ai
fenomeni fotoelettrici diretti va fatta menzione dei fenomeni inversi, quindi la radiazione
elettromagnetica emessa per ricombinazione di elettroni con la matrice di un cristallo o
un atomo (vedremo la legge di Duane-Hunt nota anche come soglia alle onde corte nei
raggi canale) come la luce prodotta dal passaggio di corrente per un diodo. Questa breve
carrellata rende bene l’idea dell’importanza del fenomeno dal punto di vista tecnologico.
Sia che azioniamo un telecomando, sia che risparmiamo energia con i pannelli solari,
sia che guardiamo una vecchia televisione a tubo catodico o una nuova a led, sia che ci
sottoponiamo ad una radiografia abbiamo a che fare con l’effetto fotoelettrico diretto ed
inverso.
La prima scoperta di un effetto fotoelettrico di fotoemissione `e pressoch´e casuale.
Hertz generando onde elettromagnetiche con il dispositivo risonatore dipolare, di cui
abbiamo accennato nelle lezioni precedenti (le lezioni dedicate alla generazione di onde
elettromagnetiche), aveva notato che in corrispondenza di scariche accidentali che si
producevano nell’apparecchio emissivo una scarica si produceva fra i poli dell’apparato
1
ricevente. Lo stesso Hertz, da sperimentatore attento e caparbio, notata la cosa volle
approfondirla e non gli fu difficile dimostrare che le scariche nel rivelatore erano prodotte
dalla luce ultravioletta proveniente dalle scariche nel generatore. A partire da quel
momento uno studio sistematico fu intrapreso, fra altri, da Hallwachs il quale not`o che
diverse sostanze mostravano questo effetto. In particolare nel caso dei metalli alcalini
era sufficiente la luce visibile per provocare la scarica. Hallwachs non si limit`o ad uno
studio qualitativo ma and`o a misurare anche l’energia delle cariche emesse. Hallwachs
utilizzo il dispositivo in figura.
Gli elettroni emessi dal catodo si muovono verso l’anodo rallentando nel percorso e
solo quelli che hanno energia cinetica sufficiente raggiungono l’anodo e fluiscono quindi
verso il misuratore di corrente (il galvanometro indicato da G) regolando la posizione del
potenziometro `e possibile variare la differenza di potenziale fino ad annullare il campo.
Ecco le sconcertanti scoperte di Hallwachs:
1. l’intensit`a della corrente `e direttamente proporzionale all’intensit`a della luce.
2. l’energia degli elettroni emessi varia linearmente al variare della frequenza (speri-
2
mentalmente questo `e un punto delicato su cui per esempio Hallwachs non si era
pronunciato)
3. il flusso di corrente inizia immediatamente dopo che l’illuminazione prende l’avvio
indipendentemente dall’intensit`a della radiazione
4. la lunghezza d’onda di soglia per i metalli alcalini `e circa doppia della lunghezza
d’onda di soglia per i metalli nobili.
Sconcertanti perch´e secondo l’intepretazione classica della interazione fra cariche e
campi l’ampiezza di oscillazione del campo `e proporzionale alla radice quadrata dell’intensit`a
del campo, sconcertanti perch´e anche quando l’energia del campo che nell’unit`a di tempo
si raccoglie su una porzione del catodo `e minore dell’energia dei singoli elettroni si pu`o
tuttavia osservare un flusso di elettroni. Queste difficolt`a furono messe in chiara evi-
denza da Lenard che con grande onest`a intellettuale ammise che il fenomeno non aveva
una spiegazione nella teoria classica. Questo era lo stato dei fatti ancora 17 anni dopo
le esperienze di Hallwachs, quando nel 1905 Einstein avanz`o una spiegazione.
[Prima di procedere dobbiamo per`o ricordare che nello stesso intervallo di tempo
l’effetto fotoelettrico non era l’unico effetto orfano di una intepretazione classica. Come
abbiamo visto nelle lezioni precedenti gi`a la spiegazione della radiazione di corpo nero
era incompatibile con una trattazione continua dello scambio di energia fra il campo
elettromagnetico e gli atomi, Planck aveva trovato come via d’uscita dall’incresciosa situ-
azione la necessit`a di postulare uno scambio quantizzato di energia, in particolare aveva
trovato che tutta la fenomenologia del corpo nero era perfettamente spiegata dall’ipotesi
che l’energia scambiata fra la luce di frequenza ν e gli atomi procedesse per unit`a dis-
crete di energia = hν. Altri fenomeni misteriosi per la fisica classica ma osservati nei
laboratori di tutto il mondo erano l’energia di eccitazione discreta per gli atomi di un
gas, gli spettri a bande, la soglia di intensit`a minima nell’effetto doppler. Era inoltre
noto da tempo che le cariche elettriche accelerate in un tubo a vuoto incidendo su un
catodo acceleratore producevano una radiazione che da vari indizi si desumeva essere
di natura elettromagnetica, nota come radiazione di frenamento (bremsstrahlung), gran
parte degli aspetti della radiazione di frenamento si spiegano bene in termini della teoria
classica dell’irraggiamento sviluppata in gran dettaglio da Lenard, eccetto due aspetti,
da un lato il fatto che lo spettro ad alta frequenza sembrava soggetto ad una brusca
soglia, infatti nelle figure prodotte da cristalli mancavano alcune figure di interferenza
dovute agli strati atomici che ci si sarebbe aspettato di dovere osservare. Von Laue aveva
spiegato queste lacune nelle figure in termini di una capacit`a degli atomi di assorbire le
frequenze pi`u alte, in realt`a si scopr`ı presto studiando strati di spessore diversi che queste
componenti di spettro erano proprio assenti. Un secondo aspetto non perfettamente sp-
iegabile in termini classici era legata all’anisotropia della radiazione di frenamento. Un
altro aspetto misterioso della fisica dei tubi a vuoto era il minimo di intensit`a nell’effetto
Doppler degli spettri prodotti da raggi canale (i raggi canale sono protoni e molecole
ionizzate di idrogeno prodotti dal passaggio di elettroni attraverso un volume in cui
c’`e un’atmosfera rarefatta di idrogeno) quello che si vedeva dall’effetto Doppler era la
mancanza di atomi con velocit`a inferiore ad una certa soglia].
3
E’ in questo quadro di indizi convergenti che Einstein formula la sua spiegazione: in
continuit`a con l’ipotesi di Planck egli ipotizza che l’energia cinetica degli elettroni emessi
sia pari a K = hν −eV0 Dove ν `e la frequenza, h la costante di Planck e V0 un potenziale
caratteristico di ogni materiale. In particolare se la frequenza `e inferiore ad una certa
soglia non si ha affatto emissione di elettroni. Per il caso del sodio questa frequenza si
aggirava intorno a ν0 = 4.14·1014Hz a cui corrisponde un potenziale V0 = hν0/e = 1.17V
cio`e l’energia spesa dal fotone per estrarre l’elettrone, energia che prende il nome di
funzione lavoro del sodio, era, nella stima di Hallwachs di circa W = 1.17eV per una
lunghezza d’onda intorno a 680nm si tratta di luce visibile, tipicamente per un metallo
nobile, come l’argento o l’oro la frequenza di soglia `e nell’ultravioletto. Veniamo ad un
aspetto difficile degli esperimenti sull’effetto fotoelettrico. Se guardiamo i dati odierni
scopriamo che la stima per la funzione lavoro `e in realt`a circa doppia. Questo dipende
dal fatto che la sensibilit`a degli odierni galvanometri `e considerevolmente maggiore di
quanto non fosse al tempo. Di fatto anche l’intervallo di frequenze esplorabili con la
tecnologia disponibile all’epoca era relativamente ristretto, difficile quindi stabilire se
l’energia variasse linearmente nella frequenza oppure antilinearmente nella lunghezza
d’onda. Conferme dirette, convincenti sul piano sperimentale, all’ipotesi di Einstein
sono state possibili in realt`a solamente negli anni settanta dello scorso secolo.
2 Dispositivi
Fra le prime applicazioni moderne dell’effetto fotoelettrico fotoemissivo citiamo le foto-
cellule basate in passato sull’uso di materiali speciali come superfici di argento-ossigeno-
cesio (ossidi) in cui la soglia fotoelettrica `e molto bassa (infrarosso). Nonostante la
soglia bassa la sensibilit`a delle fotocellule pure rimaneva relativamente bassa (efficienza
emissiva bassa) un considerevole incremento si ottenne con l’uso dei fotomoltiplicatori,
dispositivi basati su un ingegnoso arrangiamento di componenti semiparaboliche a poten-
ziali crescenti capaci di convogliare gli elettroni estratti dalla fotocellela verso una su-
perficie che per effetto del flusso di elettroni produce nuovi elettroni. Altri dispositivi
basati sull’effetto fotoelettrico fotoconduttivo sono i fotometri, basati sul fatto che la
luce cambia la conducibilit`a di un sottile strato di semiconduttore interposto fra due
parti metalliche a potenziali diversi. L’utilizzo di diodi e transistor, e poi pi`u di recente
di eterostrutture ha permesso considerevoli perfezionamenti di questi primitivi disposi-
tivi grazie al simultaneo miglioramento delle tecniche di amplificazione dei segnali e di
controllo del rumore ed alla possibilit`a di controllare con estrema precisione il range di
sensibilit`a alla luce. Una delle applicazioni pi`u affascinanti degli effetti fotoconduttivi
della luce `e di certo l’effetto fotovoltaico nelle giunzioni fra semiconduttori di tipo pn.
Il meccanismo di funzionamento `e semplice da intuire: la luce che colpisce un semi-
conduttore eccita gli elettroni ed aumenta in questo modo la mobilit`a ed il coefficiente
di diffusione di una parte del semiconduttore, si stabilisce per questo una differenza
di potenziale che altera la condzione di equilibrio fra i due semiconduttori, a circuito
chiuso si stabilisce quindi un flusso di corrente (per gli appassionati di elettronica si
tratta di una corrente inversa) che trasferisce ai dispositivi di carico l’energia in pi`u che
4
gli elettroni han preso dalla luce. Una delle sfide pi`u importanti della fisica dello stato
solido consiste nel trovare un modo per aumentare l’efficienza di conversione di questi
dispositivi.
3 La conservazione dell’energia
Il legame sancito dai successi di Planck, Einstein e poi dall’applicazione dell’idea della
quantizzazione ad un numero crescente di esempi fra la frequenza di un fotone e la sua
energia `e ormai un fatto assodato. Sulla base dell’osservazione che quindi un fotone
trasporta una energia E = hν possiamo tornare su un argomento di indubbio fascino:
il redshift dei fotoni gravitazionale. Nel corso del quarto anno abbiamo accennato ad
alcuni esperimenti del ’59 e del ’75 che confermano una delle previsioni di Einstein
ovvero che la luce muovendosi contro un campo gravitazionale diminuisce lievemente
la sua frequenza. In quella sede avevamo fatto cenno alla conferma particolarmente
spettacolare del 1975 dovuta a Briatore e Leschiutta che furono in grado di accertare
come due orologi posti a quote diverse misurano intervalli temporali differenti fra eventi
corrispondenti. In altre parole se il primo Gennaio del 1975 l’orologio ubicato a Torino
segnava 0 ns e si inviava un segnale di luce al secondo, quando un secondo orologio sul
Cervino riceve il segnale segna a sua volta 0ns. A distanza di circa un anno si ripete la
misura e se l’orologio a Torino misurava N ns, l’orologio sul Cervino nel momento in cui
riceve il segnale segna pi`u di N ns. La variazione misurata `e di circa 10( − 13) anche se
avviene con orologi atomici questo esperimento pu`o essere pensato come un esperimento
di redshift infatti se immaginiamo che il segnale si trasmesso da un laser il laboratorio di
terra pu`o contare quante onde vengono prodotte negli N ns che compongono un anno, e
lo stesso numero di onde sar`a contato dal laboratorio ubicato sul cervino, ma poich´e le
prime sono state generate nel tempo N ns e le seconde sono state contate in un tempo
pi`u lungo ne consegue che la luce ha subito un redshift. Che si verificasse questo effetto
era stato verificato gi`a nel 1958 da Pound e dal suo allievo Rebka in una torre alta 30
metri, dove alla base era stato posto un dispositivo emettitore ad effetto Mossbauer, ed
alla sommit`a un analogo ricevitore, capace di risolvere con estrema precisione relativa
eventuali differenze di frequenza. Lo spostamento di frequenza misurato era in pieno
accordo con la teoria della relativit`a generale. Vedremo adesso di ottenere una stima
di questo effetto dalla conservazione dell’energia seguendo i ragionamenti di Einstein
sull’inerzia dell’energia.
Consideriamo due oggetti di massa m ubicati in H0, portiamo il primo ad una quota
H1, dal secondo rimasto a terra viene prodotto un quanto di frequenza ν0 che sar`a
assorbito dall’oggetto in H1 alla frequenza ν1. Nel sollevare la massa abbiamo speso
l’energia mg∆H, nell’abbassarla ne guadagneremo m g∆H dove m = m+hν1/c2 Per la
conservazione dell’energia deve risultare: ghν1/c2 + hν1 = hν0 cio`e il redshift ammonta
a gh/c2. In concreto nell’arco di un anno, con h = 3000m e c = 3 · 108m/s ed infine
g = 9.81m/s2 risulter`a: ∆ν/ν = gh/c2 = 3.27·10−13 ovvero 10µs perfettamente rilevabili
da un orologio atomico.
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  • 1. Effetto fotoelettrico Gianmarco Bramanti March 13, 2013 1 Scoperta, prime misure, la teoria di Einstein, la verifica sperimentale della teoria Con la locuzione effetto fotoelettrico si fa in realt`a riferimento ad una vasta gamma di fenomeni a diverse scale di energia che riguardano l’interazione della radiazione con la materia. Come dicono le parole si tratta di un effetto elettrico della luce, nella fattispecie della capacit`a della luce di causare, o modificare una corrente elettrica. Dal punto di vista storico la prima classe di fenomeni fotoelettrici a cui si fa riferimento `e l’emissione di elettroni da parte di superfici metalliche ”illuminate” da radiazione elettromagnet- ica, le virgolette sottolineano il fatto che il campo elettromagnetico in questione non `e necessariamente luce visibile, in questo caso di dovrebbe parlare, pi`u propriamente di fotoemissione elettronica, tuttavia anche la ionizzazione di un atomo per effetto di campi elettromagnetici `e un esempio di effetto fotoelettrico. Un’altra grande classe di fenomeni fotoelettrici, legati particolarmente allo sviluppo dell’elettronica ed al conseguente studio dei semiconduttori, riguarda la variazione della conducibilit`a di un materiale per effetto della sua ”illuminazione”, in questo caso si parla di effetto fotoelettrico interno, ovvero di effetto fotoconduttivo. Infine uno degli sviluppi tecnologi pi`u avanzati dell’antico argomento `e l’effetto di generazione di una differenza di potenziale e di una corrente at- traverso una giunzione a diodo, si parla in questo caso di effetto fotovoltaico. Accanto ai fenomeni fotoelettrici diretti va fatta menzione dei fenomeni inversi, quindi la radiazione elettromagnetica emessa per ricombinazione di elettroni con la matrice di un cristallo o un atomo (vedremo la legge di Duane-Hunt nota anche come soglia alle onde corte nei raggi canale) come la luce prodotta dal passaggio di corrente per un diodo. Questa breve carrellata rende bene l’idea dell’importanza del fenomeno dal punto di vista tecnologico. Sia che azioniamo un telecomando, sia che risparmiamo energia con i pannelli solari, sia che guardiamo una vecchia televisione a tubo catodico o una nuova a led, sia che ci sottoponiamo ad una radiografia abbiamo a che fare con l’effetto fotoelettrico diretto ed inverso. La prima scoperta di un effetto fotoelettrico di fotoemissione `e pressoch´e casuale. Hertz generando onde elettromagnetiche con il dispositivo risonatore dipolare, di cui abbiamo accennato nelle lezioni precedenti (le lezioni dedicate alla generazione di onde elettromagnetiche), aveva notato che in corrispondenza di scariche accidentali che si producevano nell’apparecchio emissivo una scarica si produceva fra i poli dell’apparato 1
  • 2. ricevente. Lo stesso Hertz, da sperimentatore attento e caparbio, notata la cosa volle approfondirla e non gli fu difficile dimostrare che le scariche nel rivelatore erano prodotte dalla luce ultravioletta proveniente dalle scariche nel generatore. A partire da quel momento uno studio sistematico fu intrapreso, fra altri, da Hallwachs il quale not`o che diverse sostanze mostravano questo effetto. In particolare nel caso dei metalli alcalini era sufficiente la luce visibile per provocare la scarica. Hallwachs non si limit`o ad uno studio qualitativo ma and`o a misurare anche l’energia delle cariche emesse. Hallwachs utilizzo il dispositivo in figura. Gli elettroni emessi dal catodo si muovono verso l’anodo rallentando nel percorso e solo quelli che hanno energia cinetica sufficiente raggiungono l’anodo e fluiscono quindi verso il misuratore di corrente (il galvanometro indicato da G) regolando la posizione del potenziometro `e possibile variare la differenza di potenziale fino ad annullare il campo. Ecco le sconcertanti scoperte di Hallwachs: 1. l’intensit`a della corrente `e direttamente proporzionale all’intensit`a della luce. 2. l’energia degli elettroni emessi varia linearmente al variare della frequenza (speri- 2
  • 3. mentalmente questo `e un punto delicato su cui per esempio Hallwachs non si era pronunciato) 3. il flusso di corrente inizia immediatamente dopo che l’illuminazione prende l’avvio indipendentemente dall’intensit`a della radiazione 4. la lunghezza d’onda di soglia per i metalli alcalini `e circa doppia della lunghezza d’onda di soglia per i metalli nobili. Sconcertanti perch´e secondo l’intepretazione classica della interazione fra cariche e campi l’ampiezza di oscillazione del campo `e proporzionale alla radice quadrata dell’intensit`a del campo, sconcertanti perch´e anche quando l’energia del campo che nell’unit`a di tempo si raccoglie su una porzione del catodo `e minore dell’energia dei singoli elettroni si pu`o tuttavia osservare un flusso di elettroni. Queste difficolt`a furono messe in chiara evi- denza da Lenard che con grande onest`a intellettuale ammise che il fenomeno non aveva una spiegazione nella teoria classica. Questo era lo stato dei fatti ancora 17 anni dopo le esperienze di Hallwachs, quando nel 1905 Einstein avanz`o una spiegazione. [Prima di procedere dobbiamo per`o ricordare che nello stesso intervallo di tempo l’effetto fotoelettrico non era l’unico effetto orfano di una intepretazione classica. Come abbiamo visto nelle lezioni precedenti gi`a la spiegazione della radiazione di corpo nero era incompatibile con una trattazione continua dello scambio di energia fra il campo elettromagnetico e gli atomi, Planck aveva trovato come via d’uscita dall’incresciosa situ- azione la necessit`a di postulare uno scambio quantizzato di energia, in particolare aveva trovato che tutta la fenomenologia del corpo nero era perfettamente spiegata dall’ipotesi che l’energia scambiata fra la luce di frequenza ν e gli atomi procedesse per unit`a dis- crete di energia = hν. Altri fenomeni misteriosi per la fisica classica ma osservati nei laboratori di tutto il mondo erano l’energia di eccitazione discreta per gli atomi di un gas, gli spettri a bande, la soglia di intensit`a minima nell’effetto doppler. Era inoltre noto da tempo che le cariche elettriche accelerate in un tubo a vuoto incidendo su un catodo acceleratore producevano una radiazione che da vari indizi si desumeva essere di natura elettromagnetica, nota come radiazione di frenamento (bremsstrahlung), gran parte degli aspetti della radiazione di frenamento si spiegano bene in termini della teoria classica dell’irraggiamento sviluppata in gran dettaglio da Lenard, eccetto due aspetti, da un lato il fatto che lo spettro ad alta frequenza sembrava soggetto ad una brusca soglia, infatti nelle figure prodotte da cristalli mancavano alcune figure di interferenza dovute agli strati atomici che ci si sarebbe aspettato di dovere osservare. Von Laue aveva spiegato queste lacune nelle figure in termini di una capacit`a degli atomi di assorbire le frequenze pi`u alte, in realt`a si scopr`ı presto studiando strati di spessore diversi che queste componenti di spettro erano proprio assenti. Un secondo aspetto non perfettamente sp- iegabile in termini classici era legata all’anisotropia della radiazione di frenamento. Un altro aspetto misterioso della fisica dei tubi a vuoto era il minimo di intensit`a nell’effetto Doppler degli spettri prodotti da raggi canale (i raggi canale sono protoni e molecole ionizzate di idrogeno prodotti dal passaggio di elettroni attraverso un volume in cui c’`e un’atmosfera rarefatta di idrogeno) quello che si vedeva dall’effetto Doppler era la mancanza di atomi con velocit`a inferiore ad una certa soglia]. 3
  • 4. E’ in questo quadro di indizi convergenti che Einstein formula la sua spiegazione: in continuit`a con l’ipotesi di Planck egli ipotizza che l’energia cinetica degli elettroni emessi sia pari a K = hν −eV0 Dove ν `e la frequenza, h la costante di Planck e V0 un potenziale caratteristico di ogni materiale. In particolare se la frequenza `e inferiore ad una certa soglia non si ha affatto emissione di elettroni. Per il caso del sodio questa frequenza si aggirava intorno a ν0 = 4.14·1014Hz a cui corrisponde un potenziale V0 = hν0/e = 1.17V cio`e l’energia spesa dal fotone per estrarre l’elettrone, energia che prende il nome di funzione lavoro del sodio, era, nella stima di Hallwachs di circa W = 1.17eV per una lunghezza d’onda intorno a 680nm si tratta di luce visibile, tipicamente per un metallo nobile, come l’argento o l’oro la frequenza di soglia `e nell’ultravioletto. Veniamo ad un aspetto difficile degli esperimenti sull’effetto fotoelettrico. Se guardiamo i dati odierni scopriamo che la stima per la funzione lavoro `e in realt`a circa doppia. Questo dipende dal fatto che la sensibilit`a degli odierni galvanometri `e considerevolmente maggiore di quanto non fosse al tempo. Di fatto anche l’intervallo di frequenze esplorabili con la tecnologia disponibile all’epoca era relativamente ristretto, difficile quindi stabilire se l’energia variasse linearmente nella frequenza oppure antilinearmente nella lunghezza d’onda. Conferme dirette, convincenti sul piano sperimentale, all’ipotesi di Einstein sono state possibili in realt`a solamente negli anni settanta dello scorso secolo. 2 Dispositivi Fra le prime applicazioni moderne dell’effetto fotoelettrico fotoemissivo citiamo le foto- cellule basate in passato sull’uso di materiali speciali come superfici di argento-ossigeno- cesio (ossidi) in cui la soglia fotoelettrica `e molto bassa (infrarosso). Nonostante la soglia bassa la sensibilit`a delle fotocellule pure rimaneva relativamente bassa (efficienza emissiva bassa) un considerevole incremento si ottenne con l’uso dei fotomoltiplicatori, dispositivi basati su un ingegnoso arrangiamento di componenti semiparaboliche a poten- ziali crescenti capaci di convogliare gli elettroni estratti dalla fotocellela verso una su- perficie che per effetto del flusso di elettroni produce nuovi elettroni. Altri dispositivi basati sull’effetto fotoelettrico fotoconduttivo sono i fotometri, basati sul fatto che la luce cambia la conducibilit`a di un sottile strato di semiconduttore interposto fra due parti metalliche a potenziali diversi. L’utilizzo di diodi e transistor, e poi pi`u di recente di eterostrutture ha permesso considerevoli perfezionamenti di questi primitivi disposi- tivi grazie al simultaneo miglioramento delle tecniche di amplificazione dei segnali e di controllo del rumore ed alla possibilit`a di controllare con estrema precisione il range di sensibilit`a alla luce. Una delle applicazioni pi`u affascinanti degli effetti fotoconduttivi della luce `e di certo l’effetto fotovoltaico nelle giunzioni fra semiconduttori di tipo pn. Il meccanismo di funzionamento `e semplice da intuire: la luce che colpisce un semi- conduttore eccita gli elettroni ed aumenta in questo modo la mobilit`a ed il coefficiente di diffusione di una parte del semiconduttore, si stabilisce per questo una differenza di potenziale che altera la condzione di equilibrio fra i due semiconduttori, a circuito chiuso si stabilisce quindi un flusso di corrente (per gli appassionati di elettronica si tratta di una corrente inversa) che trasferisce ai dispositivi di carico l’energia in pi`u che 4
  • 5. gli elettroni han preso dalla luce. Una delle sfide pi`u importanti della fisica dello stato solido consiste nel trovare un modo per aumentare l’efficienza di conversione di questi dispositivi. 3 La conservazione dell’energia Il legame sancito dai successi di Planck, Einstein e poi dall’applicazione dell’idea della quantizzazione ad un numero crescente di esempi fra la frequenza di un fotone e la sua energia `e ormai un fatto assodato. Sulla base dell’osservazione che quindi un fotone trasporta una energia E = hν possiamo tornare su un argomento di indubbio fascino: il redshift dei fotoni gravitazionale. Nel corso del quarto anno abbiamo accennato ad alcuni esperimenti del ’59 e del ’75 che confermano una delle previsioni di Einstein ovvero che la luce muovendosi contro un campo gravitazionale diminuisce lievemente la sua frequenza. In quella sede avevamo fatto cenno alla conferma particolarmente spettacolare del 1975 dovuta a Briatore e Leschiutta che furono in grado di accertare come due orologi posti a quote diverse misurano intervalli temporali differenti fra eventi corrispondenti. In altre parole se il primo Gennaio del 1975 l’orologio ubicato a Torino segnava 0 ns e si inviava un segnale di luce al secondo, quando un secondo orologio sul Cervino riceve il segnale segna a sua volta 0ns. A distanza di circa un anno si ripete la misura e se l’orologio a Torino misurava N ns, l’orologio sul Cervino nel momento in cui riceve il segnale segna pi`u di N ns. La variazione misurata `e di circa 10( − 13) anche se avviene con orologi atomici questo esperimento pu`o essere pensato come un esperimento di redshift infatti se immaginiamo che il segnale si trasmesso da un laser il laboratorio di terra pu`o contare quante onde vengono prodotte negli N ns che compongono un anno, e lo stesso numero di onde sar`a contato dal laboratorio ubicato sul cervino, ma poich´e le prime sono state generate nel tempo N ns e le seconde sono state contate in un tempo pi`u lungo ne consegue che la luce ha subito un redshift. Che si verificasse questo effetto era stato verificato gi`a nel 1958 da Pound e dal suo allievo Rebka in una torre alta 30 metri, dove alla base era stato posto un dispositivo emettitore ad effetto Mossbauer, ed alla sommit`a un analogo ricevitore, capace di risolvere con estrema precisione relativa eventuali differenze di frequenza. Lo spostamento di frequenza misurato era in pieno accordo con la teoria della relativit`a generale. Vedremo adesso di ottenere una stima di questo effetto dalla conservazione dell’energia seguendo i ragionamenti di Einstein sull’inerzia dell’energia. Consideriamo due oggetti di massa m ubicati in H0, portiamo il primo ad una quota H1, dal secondo rimasto a terra viene prodotto un quanto di frequenza ν0 che sar`a assorbito dall’oggetto in H1 alla frequenza ν1. Nel sollevare la massa abbiamo speso l’energia mg∆H, nell’abbassarla ne guadagneremo m g∆H dove m = m+hν1/c2 Per la conservazione dell’energia deve risultare: ghν1/c2 + hν1 = hν0 cio`e il redshift ammonta a gh/c2. In concreto nell’arco di un anno, con h = 3000m e c = 3 · 108m/s ed infine g = 9.81m/s2 risulter`a: ∆ν/ν = gh/c2 = 3.27·10−13 ovvero 10µs perfettamente rilevabili da un orologio atomico. 5