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San Michele 9 luglio 2010

                  CONAVI ATTO 3° (Convegno Nazionale Viticoltura)




Vigneto Sperimentale dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige
oggi Fondazione Edmund Mach

Dopo Ancona 2006 e Marsala 2008 è stata la volta di San Michele all’Adige nel 2010. Proprio oggi
sta terminando il 3° Convegno Nazionale dedicato esclusivamente alla Viticoltura. La Ricerca
Italiana si è ritrovata per aggiornarsi sui risultati acquisiti, sui programmi intrapresi e su quelli da
intraprendere. Grande assente? La produzione. Insieme a pochi altri che ho potuto riconoscere
posso senza dubbio di essere smentito che a rappresentare i produttori eravamo veramente in pochi
e non certo significativi. Cosa succede? Su questo tema tornerò più tardi. Prima di tutto alcune
impressioni a caldo.
Da martedì 6 a venerdì 9 luglio il programma è stato veramente intenso: più di 20 relazioni orali al
giorno, altrettanti poster presentati e discussi sono stati gli ingredienti di un CONAVI molto
partecipato e sentito dai ricercatori. Si tratta in fin dei conti dell’unica vetrina che la ricerca italiana
in viticoltura organizza per confrontarsi, mettere in mostra i progressi e far emergere i giovani che
dovrebbero essere i veri protagonisti dell’iniziativa. Non mi soffermo certamente su
particolareggiate valutazioni della qualità dei lavori, i quali, come sempre accade, si sono divisi fra
sperimentazioni che ripetono altre esperienze per convalidarle in altri ambienti, piani sperimentali
che utilizzano tecniche e/o strumenti nati in altri campi e provati su vite, contributi assolutamente
innovativi che mi hanno fatto venire nostalgia, ma anche, purtroppo, lavori che appaiono
raffazzonati e banali. Ci sta anche questo. I temi delle diverse sessioni sono stati utilizzati per creare
delle categorie d’interesse fra i ricercatori ma mi è parso che l’attenzione del mondo scientifico
negli ultimi anni si sia concentrato sui seguenti argomenti:
     • Contenimento della compattezza dei grappoli e riduzione della produzione per ceppo e ad
         ettaro con parallelo ritardo della maturazione tecnologica e fenolica
     • Omogeneità qualitativa e quantitativa con remote sensing, grazie a modellizzazioni
         climatiche e multi spettrali
     • Efficienza dell’uso dell’acqua e ottimizzazione delle risorse idriche
     • Espressione dei geni coinvolti in processi metabolici della maturazione delle uve.
Il ruolo del terroir è sembrato aver perso di appeal, tanti e diversificati, forse, sono già i momenti in
cui si discute di questo argomento.
Gli argomenti, visti nel loro complesso appaiono di interesse anche se molto spesso “scollegati”
dalla reale, apparente, esigenza di produttori. L’aspetto della sostenibilità, che sulla carta avrebbe
avuto largo spazio, in verità è sembrato lontano dagli interessi dei ricercatori. Una certa discussione
si è sviluppata sul bilancio del carbonio e quindi il sequestro e l’emissione dell’Ossido di Carbonio
da parte del vigneto e della filiera di produzione fino alla bottiglia ma poco di più. Non voglio citare
il lavoro presentato da me, riguardante l’esperienza delle micorrize in vigneto, come esempio di
attenzione che sarebbe piaciuta perché il lavoro, seppur eseguito con la collaborazione di università,
CNR e centri di ricerca è stato frutto della volontà di un’azienda e non di chi dovrebbe mostrare
sensibilità anticipatoria verso questi temi. A dire il vero il seminario di ieri circa gli ibridi produttori
diretti e resistenti ad oidio e a peronospora è stato assolutamente bello e da non mancare. Mi auguro
che il interventi siano tradotti e pubblicati da una qualche rivista italiana perché a noi produttori
piacerebbe sapere come si possono svelare i misteri attraverso i quali è possibile ridurre da 25 a 10
anni l’ottenimento di una nuova varietà di vite in grado di produrre qualità e senza necessità di
alcun trattamento.

Ma mi spingo anche oltre, facendo riferimento alla domanda iniziale “grande assente?”: un
convegno così importante è organizzato in maniera aderente e coerente con la necessità di far
dialogare i protagonisti e mettere a confronto idee per il futuro? E’ condannabile l’assenza del
settore produttivo in un evento come questo? La ricerca italiana amerebbe doversi confrontare con i
produttori durante un convegno che vorrebbe mettere in vetrina le attività che sta portando avanti?
Tutti discorsi che ci porterebbero lontano, forse, ma che ritengo dovrebbero essere presi in
considerazione unitamente alla valutazione sul modello convegnistico proposto: relazioni brevi,
tante, veloci, poco tempo per riflettere e discutere.
Onore a chi ha organizzato il convegno perché l’impresa deve essere stata faticosa: l’Istituto
Agrario di San Michele all’Adige oggi Fondazione Edmund Mach con Duilio Porro e Marco
Stefanini in prima linea, sono stati bravi ed accorti. Ma, ripeto, la formula è quella giusta?
Se il CONAVI si prefiggesse di porre le basi per la nuova ricerca allora la discussione dovrebbe
avere più spazio ed i lavori presentati potrebbero rivestire il ruolo di aggiornamento sullo stato
dell’arte delle conoscenze acquisite, rendendo partecipi di ciò anche, e soprattutto, i produttori per
non disperdere energie e risorse. Se il CONAVI si prefiggesse di essere vetrina per i giovani
ricercatori per dare loro un momento, necessario, di visibilità, allora a essi dovrebbe essere lasciato
spazio con la presenza più coordinatrice che operativa di chi ha già fatto o dato.

Personalmente ho potuto fare queste considerazioni da produttore dopo molti anni in cui ho vissuto
queste esperienze da ricercatore ma il silenzio dei viticoltori mi è parso veramente “assordante” e
dovrebbe far riflettere. La ricerca applicata non può fare a meno dei suoi utilizzatori primari ed in
qualche modo il mondo scientifico dovrebbe domandarsi cosa e come dovrebbe fare per unificare il
linguaggio della comunicazione, aprirsi a loro in un momento collegiale come potrebbe essere il
CONAVI. Ai convegni specialistici lascerei il compito di approfondimenti tematici e linguaggi
“privilegiati” ma il marketing ci insegna che al supermercato ci si va perché ci si trova tutto e per di
più facilmente. Il CONAVI potrebbe essere un’opportunità, una chiave per aprire la porta del
dialogo senza il quale i produttori continueranno a pensare che la ricerca è lontana dalle loro
necessità e la ricerca continuerà a ritenere inutile dover discutere con i produttori. Come Mauro
Varner, responsabile tecnico della Cantina di Mezzocorona, ha affermato presentando questa la
realtà in cui lavora, essere coscienti in agricoltura, e aggiungo io non solo, vuol dire essere prima di
tutto “conoscenti”. Oggi più che mai di conoscenza c’è bisogno e il CONAVI è un’opportunità da
non perdere: potrebbe diventare uno spazio comune di dialogo per avviare una fase di
coinvolgimento che spezzi la barriera fra ricerca e produzione.
Francesco Iacono

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  • 1. San Michele 9 luglio 2010 CONAVI ATTO 3° (Convegno Nazionale Viticoltura) Vigneto Sperimentale dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige oggi Fondazione Edmund Mach Dopo Ancona 2006 e Marsala 2008 è stata la volta di San Michele all’Adige nel 2010. Proprio oggi sta terminando il 3° Convegno Nazionale dedicato esclusivamente alla Viticoltura. La Ricerca Italiana si è ritrovata per aggiornarsi sui risultati acquisiti, sui programmi intrapresi e su quelli da intraprendere. Grande assente? La produzione. Insieme a pochi altri che ho potuto riconoscere posso senza dubbio di essere smentito che a rappresentare i produttori eravamo veramente in pochi e non certo significativi. Cosa succede? Su questo tema tornerò più tardi. Prima di tutto alcune impressioni a caldo. Da martedì 6 a venerdì 9 luglio il programma è stato veramente intenso: più di 20 relazioni orali al giorno, altrettanti poster presentati e discussi sono stati gli ingredienti di un CONAVI molto partecipato e sentito dai ricercatori. Si tratta in fin dei conti dell’unica vetrina che la ricerca italiana in viticoltura organizza per confrontarsi, mettere in mostra i progressi e far emergere i giovani che dovrebbero essere i veri protagonisti dell’iniziativa. Non mi soffermo certamente su particolareggiate valutazioni della qualità dei lavori, i quali, come sempre accade, si sono divisi fra sperimentazioni che ripetono altre esperienze per convalidarle in altri ambienti, piani sperimentali che utilizzano tecniche e/o strumenti nati in altri campi e provati su vite, contributi assolutamente
  • 2. innovativi che mi hanno fatto venire nostalgia, ma anche, purtroppo, lavori che appaiono raffazzonati e banali. Ci sta anche questo. I temi delle diverse sessioni sono stati utilizzati per creare delle categorie d’interesse fra i ricercatori ma mi è parso che l’attenzione del mondo scientifico negli ultimi anni si sia concentrato sui seguenti argomenti: • Contenimento della compattezza dei grappoli e riduzione della produzione per ceppo e ad ettaro con parallelo ritardo della maturazione tecnologica e fenolica • Omogeneità qualitativa e quantitativa con remote sensing, grazie a modellizzazioni climatiche e multi spettrali • Efficienza dell’uso dell’acqua e ottimizzazione delle risorse idriche • Espressione dei geni coinvolti in processi metabolici della maturazione delle uve. Il ruolo del terroir è sembrato aver perso di appeal, tanti e diversificati, forse, sono già i momenti in cui si discute di questo argomento. Gli argomenti, visti nel loro complesso appaiono di interesse anche se molto spesso “scollegati” dalla reale, apparente, esigenza di produttori. L’aspetto della sostenibilità, che sulla carta avrebbe avuto largo spazio, in verità è sembrato lontano dagli interessi dei ricercatori. Una certa discussione si è sviluppata sul bilancio del carbonio e quindi il sequestro e l’emissione dell’Ossido di Carbonio da parte del vigneto e della filiera di produzione fino alla bottiglia ma poco di più. Non voglio citare il lavoro presentato da me, riguardante l’esperienza delle micorrize in vigneto, come esempio di attenzione che sarebbe piaciuta perché il lavoro, seppur eseguito con la collaborazione di università, CNR e centri di ricerca è stato frutto della volontà di un’azienda e non di chi dovrebbe mostrare sensibilità anticipatoria verso questi temi. A dire il vero il seminario di ieri circa gli ibridi produttori diretti e resistenti ad oidio e a peronospora è stato assolutamente bello e da non mancare. Mi auguro che il interventi siano tradotti e pubblicati da una qualche rivista italiana perché a noi produttori piacerebbe sapere come si possono svelare i misteri attraverso i quali è possibile ridurre da 25 a 10 anni l’ottenimento di una nuova varietà di vite in grado di produrre qualità e senza necessità di alcun trattamento. Ma mi spingo anche oltre, facendo riferimento alla domanda iniziale “grande assente?”: un convegno così importante è organizzato in maniera aderente e coerente con la necessità di far dialogare i protagonisti e mettere a confronto idee per il futuro? E’ condannabile l’assenza del settore produttivo in un evento come questo? La ricerca italiana amerebbe doversi confrontare con i produttori durante un convegno che vorrebbe mettere in vetrina le attività che sta portando avanti? Tutti discorsi che ci porterebbero lontano, forse, ma che ritengo dovrebbero essere presi in considerazione unitamente alla valutazione sul modello convegnistico proposto: relazioni brevi, tante, veloci, poco tempo per riflettere e discutere. Onore a chi ha organizzato il convegno perché l’impresa deve essere stata faticosa: l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige oggi Fondazione Edmund Mach con Duilio Porro e Marco Stefanini in prima linea, sono stati bravi ed accorti. Ma, ripeto, la formula è quella giusta?
  • 3. Se il CONAVI si prefiggesse di porre le basi per la nuova ricerca allora la discussione dovrebbe avere più spazio ed i lavori presentati potrebbero rivestire il ruolo di aggiornamento sullo stato dell’arte delle conoscenze acquisite, rendendo partecipi di ciò anche, e soprattutto, i produttori per non disperdere energie e risorse. Se il CONAVI si prefiggesse di essere vetrina per i giovani ricercatori per dare loro un momento, necessario, di visibilità, allora a essi dovrebbe essere lasciato spazio con la presenza più coordinatrice che operativa di chi ha già fatto o dato. Personalmente ho potuto fare queste considerazioni da produttore dopo molti anni in cui ho vissuto queste esperienze da ricercatore ma il silenzio dei viticoltori mi è parso veramente “assordante” e dovrebbe far riflettere. La ricerca applicata non può fare a meno dei suoi utilizzatori primari ed in qualche modo il mondo scientifico dovrebbe domandarsi cosa e come dovrebbe fare per unificare il linguaggio della comunicazione, aprirsi a loro in un momento collegiale come potrebbe essere il CONAVI. Ai convegni specialistici lascerei il compito di approfondimenti tematici e linguaggi “privilegiati” ma il marketing ci insegna che al supermercato ci si va perché ci si trova tutto e per di più facilmente. Il CONAVI potrebbe essere un’opportunità, una chiave per aprire la porta del dialogo senza il quale i produttori continueranno a pensare che la ricerca è lontana dalle loro necessità e la ricerca continuerà a ritenere inutile dover discutere con i produttori. Come Mauro Varner, responsabile tecnico della Cantina di Mezzocorona, ha affermato presentando questa la realtà in cui lavora, essere coscienti in agricoltura, e aggiungo io non solo, vuol dire essere prima di tutto “conoscenti”. Oggi più che mai di conoscenza c’è bisogno e il CONAVI è un’opportunità da non perdere: potrebbe diventare uno spazio comune di dialogo per avviare una fase di coinvolgimento che spezzi la barriera fra ricerca e produzione. Francesco Iacono