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Silvia Cimino
“Sapienza” Università di Roma
Le interazioni precoci madre-bambino:
alcune considerazioni cliniche
e di ricerca
Progetto HOME VISITING
Consultori in rete
e percorsi di sostegno alla genitorialità
Firenze, 14 dicembre 2012
“INFANT RESEARCH” CONTEMPORANEA
Nell’Infant Research degli ultimi decenni si è sviluppato un tema di
crescente attenzione: le origini e i primi sviluppi dell’intersoggettività.
Questo tema ha rivoluzionato la visione del bambino nella prima
infanzia, ponendo in luce le complesse competenze sociali emergenti
nelle prime fasi del suo sviluppo (Trevarthen, 1979; Stern, 1985).
Il tema dell’intersoggettività è di grande rilevanza perché è
strettamente connesso allo studio sull’evoluzione delle competenze
comunicative e di regolazione emotiva del bambino e, in senso più
ampio, allo studio sul primo sviluppo del Sé, considerato come risultante
delle progressive esperienze intersoggettive tra il bambino e i suoi
caregiver.
LO STUDIO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ
NELL’AMBITO DELL’“INFANT RESEARCH”
L’Infant Research si è sviluppata come area di confine tra la psicologia dello sviluppo e la
psicoanalisi; nel framework di ricerca della teoria dell’attaccamento (Ainsworth et al.,
1978, Bowlby, 1969, 1973, 1980) ha messo in luce come la tendenza innata a ricercare
e mantenere relazioni organizza l’esperienza psicologica del bambino piccolo e costituisce
una forza motivazionale al pari della ricerca del cibo, della gratificazione libidica o della
riduzione della tensione, e questo amplia la prospettiva di Freud e della psicoanalisi
classica.
Le ricerche dell’Infant Research hanno esplorato i primi sviluppi dell’intersoggettività,
intesa come vissuto di esperienza condivisa con un altro essere umano, o esperienza di
“contatto mentale” con l’altro che ha luogo durante la comunicazione interpersonale nel
corso del primo anno di vita (Trevarthen, 1998). Trevarthen ha avanzato l’ipotesi di
poter rintracciare nel bambino, fin dalle prime settimane di vita, un’intelligenza di tipo
sociale di matrice innata che lo rende “pronto” ad interagire con i suoi partner (innate
protoconversational readiness) (Trevarthen, 1979)
LE FASI DI SVILUPPO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ
Trevarthen (1979, 1998) concettualizza uno sviluppo dell’ԳٱDzٳپà infantile
attraverso fasi o livelli di complessità diversa; determinanti nelle transizioni da una
fase all’altra sono: le riorganizzazioni del sistema nervoso del bambino e i
cambiamenti del suo rapporto con il mondo, come anche il sostegno degli adulti e il
modo in cui si sviluppano le relazioni adulto-bambino.
INTERSOGGETTIVITÀ PRIMARIA:
tutte quelle forme di interazione che emergono nei primi mesi di vita e che sono
delineabili come “dialoghi sociali”, caratterizzati da scambi di sguardi, sorrisi e
vocalizzazioni e precocemente conformi alle regole dell’alternanza dei turni (turn
taking), che influenzeranno successivamente i ritmi del dialogo verbale e
dell’interazione sociale (Kaye, 1982). Secondo Trevarthen (1998, 2001), la
tendenza innata a comunicare implica la presenza nel neonato, fin dalla nascita, di
una motivazione al dialogo e nel contempo di un interlocutore come “altro virtuale”.
Meccanismi di coordinazione intersoggettiva
La mente del neonato sarebbe dunque organizzata in forma dialogica fin dalla nascita: la
percezione del sé corporeo sarebbe operativamente accoppiata a quella di un “altro
virtuale”; questa costante complementarietà, nei momenti di interazione con una persona
reale, renderebbe capace il bambino di una percezione partecipante dei movimenti
dell’altro (motori, mimici, espressivi) (Braten, 1988, 1998; Trevarthen, 1998).
Scoperta dei “neuroni specchio”: neuroni visuo-motori, individuati anche nel cervello
umano (Rizzolati et al., 2001, 2004), forniscono un meccanismo di “riconoscimento
dell’azione”: le azioni dell’agente sono riprodotte nella corteccia premotoria
dell’osservatore. Questo meccanismo, coinvolto anche nei processi di imitazione,
pemetterebbe di “sentire”di essere come l’altro, o che l’altro è “come me”(Gallese,
2005).
La scoperta dei “neuroni specchio” viene recentemente portata a sostegno della teoria
del “rispecchiamento empatico” (Trevarthen, 2005), ipotizzando meccanismi di
rispecchiamento sensibili agli intenti del movimento o dell’azione espressiva umana e della
coordinazione intersoggettiva.
Le emozioni regolatrici del “contatto mentale”
Il caregiver ha un ruolo fondamentale nel favorire il coinvolgimento del neonato
nello scambio comunicativo, identificandosi empaticamente con i suoi stati
d’animo e le sue motivazioni, e offrendogli modalità comunicative adattate con
variazioni ritmiche e prosodiche (Stern, 1985, 1998) (ritmo fondamentale del
movimento che si ripete, brevi esplosioni espressive, ripetizioni di gruppi di
movimenti ritmici, modulazione dell’intensità dell’espressione), che hanno anche
il ruolo di “amplificazione” delle emozioni e dell’esperienza vissuta dal lattante.
Le variazioni ritmiche e prosodiche costituiscono canali privilegiati di
trasmissione delle emozioni, ed è proprio il passaggio di espressioni emotive
dalla madre al neonato e dal neonato alla madre che definisce uno “stretto
contatto mentale” tra i partner (Trevarthen, 1993). Al contrario, i disturbi
emotivi di uno dei due partner, ad esempio la depressione materna, possono
bloccare la possibilità di successo dell’esperienza intersoggettiva, con possibili
conseguenze negative sulla crescita psicologica del bambino (Tronick, 1989).
IL SISTEMA DI COMUNICAZIONE AFFETTIVA
MADRE-BAMBINO
Nel corso del primo anno di vita si sviluppa fra madre e bambino un sistema di
comunicazione affettiva, in cui si intrecciano segnali posturali, gestuali, tattili,
mimici e vocali.
Il modo in cui il neonato è tenuto in braccio (holding) e manipolato (handling), lo
sguardo reciproco tra i due partner, l’intensità e la durata del pianto del bambino, i
suoi segnali vocali e mimici, la struttura temporale e ritmica degli scambi
comunicativi consentono al caregiver sensibile di creare modelli interattivi reciproci e
contingenti con il proprio figlio.
La “sensibilità” materna (Ainsworth et al., 1978) si esprime nella capacità di
riconoscere i segnali comunicativi e nella “disponibilità emotiva” (Emde, 1980) ad
avere un ruolo complementare a quello del bambino, adattandosi alla progressiva
organizzazione dei suoi ritmi, biologici ed emozionali e considerando il suo
comportamento come intenzionalmente comunicativo (Fonagy et al., 2002).
INTERSOGGETTIVITÀ SECONDARIA:
Gradualmente il bambino piccolo, in modo evidente a partire dai 5 mesi,
inizia ad esplorare in misura maggiore l’ambiente; intorno ai 9 mesi si
osserva il co-orientamento visivo, con cui il bambino inizia a cercare di
condividere con la madre la sua attività esplorativa con la finalità di
condividerne l’attenzione.
Questa attività di condivisione dell’attenzione è finalizzata a costruire
un universo di significati condivisi (shared meanings). Tale attività si
articola nelle modalità di comunicazione richiestiva e dichiarativa
(Bruner, 1983, Camaioni, 1993). Il bambino diventa in questo modo
consapevole dell’attenzione dell’altro, aspetto saliente
dell’intersoggettività secondaria (Tomasello, 1999).
“INTERSOGGETTIVITÀ SECONDARIA”: CONDIVISIONE
DI AFFETTI E DI SIGNIFICATI
Nei primi mesi di vita del bambino, la comparsa di un primo
senso di Sé come sé relazionale (Fogel, 1995)
è sostenuta essenzialmente dal rispecchiamento delle
emozioni dell’infante da parte della madre che contribuisce
a creare un senso di connessione affettiva tra i partner.
Dai 9 mesi, l’esperienza di intersoggettività si caratterizza
come senso di differenziazione dall’altro, indispensabile allo
sviluppo del Sé, e al tempo stesso, come scoperta di
somiglianza con l’altro (ma anche di diversità dall’altro) e
come possibilità di condividere esperienze soggettive
(Lavelli, 2007).
L’interazione bambino-caregiver è un’esperienza umana e possono indubbiamente crearsi
momenti di “mismatch” della diade, ovvero dissincronie durante le quali un ritmo condiviso può
essere perso da entrambi, a cui fanno seguito tentativi di riparare e di recuperare il ritmo
interattivo perduto. Le riparazioni efficaci creano nella coppia la fiducia di poter riuscire a
fronteggiare i momenti di crisi e ritrovare la condivisione affettiva (Beebe, Stern, 1977).
Beebe e Lachman (1994) descrivono l’interazione madre-bambino come una continua
oscillazione fra stati di mantenimento, perdita e ripristino della coordinazione interattiva.
Una coordinazione maggiore non significa necessariamente migliore; molte ricerche convergono
piuttosto a definire le interazioni ottimali come quelle caratterizzate dalla “flessibilità fra
autoregolazione” e coordinazione interattiva e da livelli intermedi di coordinazione interattiva;
risposte estreme (troppo basse o troppo alte) sia della madre sia del bambino sono risultate
associate a interazioni disfunzionali e a uno sviluppo disturbato della relazione (Jaffe et al.,
2001; Beebe, Lachman, 2002).
“MISMATCH” NELLE INTERAZIONI PRECOCI
SCACCHI E FALLIMENTI NELLE INTERAZIONI
Il concetto di “rottura interattiva” si riferisce a fenomeni diversi per gravità: si passa
così dal “mismatch” al “disjunction” (scacco interattivo), fino alla rottura vera e propria a
cui non sempre segue una riparazione, cioè un’efficace trasformazione degli affetti
negativi in positivi (Tronick, 1989).
Nelle situazioni cliniche, in cui si presentano disturbi psicopatologici infantili, si
instaurano dissincronie e un distacco crescente tra i due protagonisti. La madre non
riesce ad attendere il proprio turno ed assecondare l’iniziativa spontanea del figlio, per
cui interviene ansiosamente con lui, ostacolando l’instaurarsi di un ritmo condiviso. In
altre situazioni i bambini possono presentare un temperamento difficile, si stancano
presto o sono ipereccitati, irritabili. Tali caratteristiche possono interagire con la
“vulnerabilità” della madre, ad esempio con una madre depressa che ha difficoltà a
relazionarsi con la poca responsività del figlio.
Queste interazioni problematiche rendono difficile per il bambino, ad esempio nel
contesto dell’interazione alimentare, il riconoscimento personale dei segnali di fame-
sazietà, in quanto questi si possono sviluppare in un contesto adeguato di rispecchiamento
con il caregiver e di sensibilità materna.
Diadi Madre-Bambino con Disturbo Psicopatologico
- le rotture interattive si presentano con una frequenza più elevata, mentre
lo stato affettivo dei due protagonisti è maggiormente caratterizzato da
emozioni negative
- si instaurano progressive difficoltà nella mutua regolazione degli scambi
comunicativi, nell’alternanza dei turni e nel riconoscimento da parte del
caregiver dei segnali di autonomia quando madre e bambino affrontano la
delicata fase del passaggio verso l’autonomia
- l’incremento degli scambi conflittuali di queste diadi madre-bambino,
unitamente al persistere dei comportamenti oppositivi del bambino e di
affetti negativi di rabbia e di ostilità evidenziano una relazione
intensamente problematica tra le madri e i bambini
Stato affettivo
della madre
Ansia
Depress.
Dieta
Bulimia
Contr.Orale
Dif Maneggevolezza
Irregolarità ritmi
Reattività emotiva
Ansia/Depressione
Ritiro
Conflitto
interattivo
PSICOPATOLOGIA
INFANTILE
Madre Bambino
.51 .54
.50
.24
.36
.44
.63 .30
.43
.66
.35
.59
Tutte le correlazioni riportate sono significative (p<.05)
Punteggi più bassi negli affetti positivi di responsività materna
e più alti nel conflitto interattivo si associano allo status
psicopatologico materno e alle difficoltà autoregolative dei
bambini
Caso E, coppia madre-bambina; età della madre: 35 anni,
età della bambina: 14 mesi
E ha 14 mesi; viene ricoverata in un Reparto Pediatrico per
un rifiuto alimentare accompagnato da scarso accrescimento
per i valori normativi dell’età. Le indagini mediche,
strumentali e la valutazione dello stato nutrizionale non
riscontrano alcuna causa organica all’origine dello scarso
accrescimento.
Dall’ AAI della madre “…che sono stata abbandonata da mia madre, però lei
poi all’età di 5 anni mi ha ripreso, mi ha riconosciuto e dopo si è sposata e io
infatti ho tre nomi, uno me l’ha dato il giudice, poi mia madre mi ha dato il
suo nome e poi l’uomo che ha sposato…”
“…la mia vita l’inizio a ricordare dai 5 anni in
su, dai 5 anni in su mi ricordo tutto, io… l’unica
cosa che mi ricordo sono delle suore…mia madre
è molto falsa io non riesco a parlare con lei, se
le dico tu quando ero piccola mi facevi questo…
non è vero io sono matta, le dico ma c’era nonna,
era matta pure lei, siamo tutti matti, tutti
bugiardi solo lei dice la verità…Si manesca
perché mena, è stata manesca sempre …molto
critica perché lei è perfetta, lei vede i difetti
negli altri ma i suoi non li vede quindi è molto
critica nel parlare… cioè mi fa ridere, a
crepapelle…”

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  • 1. Silvia Cimino “Sapienza” Università di Roma Le interazioni precoci madre-bambino: alcune considerazioni cliniche e di ricerca Progetto HOME VISITING Consultori in rete e percorsi di sostegno alla genitorialità Firenze, 14 dicembre 2012
  • 2. “INFANT RESEARCH” CONTEMPORANEA Nell’Infant Research degli ultimi decenni si è sviluppato un tema di crescente attenzione: le origini e i primi sviluppi dell’intersoggettività. Questo tema ha rivoluzionato la visione del bambino nella prima infanzia, ponendo in luce le complesse competenze sociali emergenti nelle prime fasi del suo sviluppo (Trevarthen, 1979; Stern, 1985). Il tema dell’intersoggettività è di grande rilevanza perché è strettamente connesso allo studio sull’evoluzione delle competenze comunicative e di regolazione emotiva del bambino e, in senso più ampio, allo studio sul primo sviluppo del Sé, considerato come risultante delle progressive esperienze intersoggettive tra il bambino e i suoi caregiver.
  • 3. LO STUDIO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ NELL’AMBITO DELL’“INFANT RESEARCH” L’Infant Research si è sviluppata come area di confine tra la psicologia dello sviluppo e la psicoanalisi; nel framework di ricerca della teoria dell’attaccamento (Ainsworth et al., 1978, Bowlby, 1969, 1973, 1980) ha messo in luce come la tendenza innata a ricercare e mantenere relazioni organizza l’esperienza psicologica del bambino piccolo e costituisce una forza motivazionale al pari della ricerca del cibo, della gratificazione libidica o della riduzione della tensione, e questo amplia la prospettiva di Freud e della psicoanalisi classica. Le ricerche dell’Infant Research hanno esplorato i primi sviluppi dell’intersoggettività, intesa come vissuto di esperienza condivisa con un altro essere umano, o esperienza di “contatto mentale” con l’altro che ha luogo durante la comunicazione interpersonale nel corso del primo anno di vita (Trevarthen, 1998). Trevarthen ha avanzato l’ipotesi di poter rintracciare nel bambino, fin dalle prime settimane di vita, un’intelligenza di tipo sociale di matrice innata che lo rende “pronto” ad interagire con i suoi partner (innate protoconversational readiness) (Trevarthen, 1979)
  • 4. LE FASI DI SVILUPPO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ Trevarthen (1979, 1998) concettualizza uno sviluppo dell’ԳٱDzٳپà infantile attraverso fasi o livelli di complessità diversa; determinanti nelle transizioni da una fase all’altra sono: le riorganizzazioni del sistema nervoso del bambino e i cambiamenti del suo rapporto con il mondo, come anche il sostegno degli adulti e il modo in cui si sviluppano le relazioni adulto-bambino. INTERSOGGETTIVITÀ PRIMARIA: tutte quelle forme di interazione che emergono nei primi mesi di vita e che sono delineabili come “dialoghi sociali”, caratterizzati da scambi di sguardi, sorrisi e vocalizzazioni e precocemente conformi alle regole dell’alternanza dei turni (turn taking), che influenzeranno successivamente i ritmi del dialogo verbale e dell’interazione sociale (Kaye, 1982). Secondo Trevarthen (1998, 2001), la tendenza innata a comunicare implica la presenza nel neonato, fin dalla nascita, di una motivazione al dialogo e nel contempo di un interlocutore come “altro virtuale”.
  • 5. Meccanismi di coordinazione intersoggettiva La mente del neonato sarebbe dunque organizzata in forma dialogica fin dalla nascita: la percezione del sé corporeo sarebbe operativamente accoppiata a quella di un “altro virtuale”; questa costante complementarietà, nei momenti di interazione con una persona reale, renderebbe capace il bambino di una percezione partecipante dei movimenti dell’altro (motori, mimici, espressivi) (Braten, 1988, 1998; Trevarthen, 1998). Scoperta dei “neuroni specchio”: neuroni visuo-motori, individuati anche nel cervello umano (Rizzolati et al., 2001, 2004), forniscono un meccanismo di “riconoscimento dell’azione”: le azioni dell’agente sono riprodotte nella corteccia premotoria dell’osservatore. Questo meccanismo, coinvolto anche nei processi di imitazione, pemetterebbe di “sentire”di essere come l’altro, o che l’altro è “come me”(Gallese, 2005). La scoperta dei “neuroni specchio” viene recentemente portata a sostegno della teoria del “rispecchiamento empatico” (Trevarthen, 2005), ipotizzando meccanismi di rispecchiamento sensibili agli intenti del movimento o dell’azione espressiva umana e della coordinazione intersoggettiva.
  • 6. Le emozioni regolatrici del “contatto mentale” Il caregiver ha un ruolo fondamentale nel favorire il coinvolgimento del neonato nello scambio comunicativo, identificandosi empaticamente con i suoi stati d’animo e le sue motivazioni, e offrendogli modalità comunicative adattate con variazioni ritmiche e prosodiche (Stern, 1985, 1998) (ritmo fondamentale del movimento che si ripete, brevi esplosioni espressive, ripetizioni di gruppi di movimenti ritmici, modulazione dell’intensità dell’espressione), che hanno anche il ruolo di “amplificazione” delle emozioni e dell’esperienza vissuta dal lattante. Le variazioni ritmiche e prosodiche costituiscono canali privilegiati di trasmissione delle emozioni, ed è proprio il passaggio di espressioni emotive dalla madre al neonato e dal neonato alla madre che definisce uno “stretto contatto mentale” tra i partner (Trevarthen, 1993). Al contrario, i disturbi emotivi di uno dei due partner, ad esempio la depressione materna, possono bloccare la possibilità di successo dell’esperienza intersoggettiva, con possibili conseguenze negative sulla crescita psicologica del bambino (Tronick, 1989).
  • 7. IL SISTEMA DI COMUNICAZIONE AFFETTIVA MADRE-BAMBINO Nel corso del primo anno di vita si sviluppa fra madre e bambino un sistema di comunicazione affettiva, in cui si intrecciano segnali posturali, gestuali, tattili, mimici e vocali. Il modo in cui il neonato è tenuto in braccio (holding) e manipolato (handling), lo sguardo reciproco tra i due partner, l’intensità e la durata del pianto del bambino, i suoi segnali vocali e mimici, la struttura temporale e ritmica degli scambi comunicativi consentono al caregiver sensibile di creare modelli interattivi reciproci e contingenti con il proprio figlio. La “sensibilità” materna (Ainsworth et al., 1978) si esprime nella capacità di riconoscere i segnali comunicativi e nella “disponibilità emotiva” (Emde, 1980) ad avere un ruolo complementare a quello del bambino, adattandosi alla progressiva organizzazione dei suoi ritmi, biologici ed emozionali e considerando il suo comportamento come intenzionalmente comunicativo (Fonagy et al., 2002).
  • 8. INTERSOGGETTIVITÀ SECONDARIA: Gradualmente il bambino piccolo, in modo evidente a partire dai 5 mesi, inizia ad esplorare in misura maggiore l’ambiente; intorno ai 9 mesi si osserva il co-orientamento visivo, con cui il bambino inizia a cercare di condividere con la madre la sua attività esplorativa con la finalità di condividerne l’attenzione. Questa attività di condivisione dell’attenzione è finalizzata a costruire un universo di significati condivisi (shared meanings). Tale attività si articola nelle modalità di comunicazione richiestiva e dichiarativa (Bruner, 1983, Camaioni, 1993). Il bambino diventa in questo modo consapevole dell’attenzione dell’altro, aspetto saliente dell’intersoggettività secondaria (Tomasello, 1999). “INTERSOGGETTIVITÀ SECONDARIA”: CONDIVISIONE DI AFFETTI E DI SIGNIFICATI
  • 9. Nei primi mesi di vita del bambino, la comparsa di un primo senso di Sé come sé relazionale (Fogel, 1995) è sostenuta essenzialmente dal rispecchiamento delle emozioni dell’infante da parte della madre che contribuisce a creare un senso di connessione affettiva tra i partner. Dai 9 mesi, l’esperienza di intersoggettività si caratterizza come senso di differenziazione dall’altro, indispensabile allo sviluppo del Sé, e al tempo stesso, come scoperta di somiglianza con l’altro (ma anche di diversità dall’altro) e come possibilità di condividere esperienze soggettive (Lavelli, 2007).
  • 10. L’interazione bambino-caregiver è un’esperienza umana e possono indubbiamente crearsi momenti di “mismatch” della diade, ovvero dissincronie durante le quali un ritmo condiviso può essere perso da entrambi, a cui fanno seguito tentativi di riparare e di recuperare il ritmo interattivo perduto. Le riparazioni efficaci creano nella coppia la fiducia di poter riuscire a fronteggiare i momenti di crisi e ritrovare la condivisione affettiva (Beebe, Stern, 1977). Beebe e Lachman (1994) descrivono l’interazione madre-bambino come una continua oscillazione fra stati di mantenimento, perdita e ripristino della coordinazione interattiva. Una coordinazione maggiore non significa necessariamente migliore; molte ricerche convergono piuttosto a definire le interazioni ottimali come quelle caratterizzate dalla “flessibilità fra autoregolazione” e coordinazione interattiva e da livelli intermedi di coordinazione interattiva; risposte estreme (troppo basse o troppo alte) sia della madre sia del bambino sono risultate associate a interazioni disfunzionali e a uno sviluppo disturbato della relazione (Jaffe et al., 2001; Beebe, Lachman, 2002). “MISMATCH” NELLE INTERAZIONI PRECOCI
  • 11. SCACCHI E FALLIMENTI NELLE INTERAZIONI Il concetto di “rottura interattiva” si riferisce a fenomeni diversi per gravità: si passa così dal “mismatch” al “disjunction” (scacco interattivo), fino alla rottura vera e propria a cui non sempre segue una riparazione, cioè un’efficace trasformazione degli affetti negativi in positivi (Tronick, 1989). Nelle situazioni cliniche, in cui si presentano disturbi psicopatologici infantili, si instaurano dissincronie e un distacco crescente tra i due protagonisti. La madre non riesce ad attendere il proprio turno ed assecondare l’iniziativa spontanea del figlio, per cui interviene ansiosamente con lui, ostacolando l’instaurarsi di un ritmo condiviso. In altre situazioni i bambini possono presentare un temperamento difficile, si stancano presto o sono ipereccitati, irritabili. Tali caratteristiche possono interagire con la “vulnerabilità” della madre, ad esempio con una madre depressa che ha difficoltà a relazionarsi con la poca responsività del figlio. Queste interazioni problematiche rendono difficile per il bambino, ad esempio nel contesto dell’interazione alimentare, il riconoscimento personale dei segnali di fame- sazietà, in quanto questi si possono sviluppare in un contesto adeguato di rispecchiamento con il caregiver e di sensibilità materna.
  • 12. Diadi Madre-Bambino con Disturbo Psicopatologico - le rotture interattive si presentano con una frequenza più elevata, mentre lo stato affettivo dei due protagonisti è maggiormente caratterizzato da emozioni negative - si instaurano progressive difficoltà nella mutua regolazione degli scambi comunicativi, nell’alternanza dei turni e nel riconoscimento da parte del caregiver dei segnali di autonomia quando madre e bambino affrontano la delicata fase del passaggio verso l’autonomia - l’incremento degli scambi conflittuali di queste diadi madre-bambino, unitamente al persistere dei comportamenti oppositivi del bambino e di affetti negativi di rabbia e di ostilità evidenziano una relazione intensamente problematica tra le madri e i bambini
  • 13. Stato affettivo della madre Ansia Depress. Dieta Bulimia Contr.Orale Dif Maneggevolezza Irregolarità ritmi Reattività emotiva Ansia/Depressione Ritiro Conflitto interattivo PSICOPATOLOGIA INFANTILE Madre Bambino .51 .54 .50 .24 .36 .44 .63 .30 .43 .66 .35 .59 Tutte le correlazioni riportate sono significative (p<.05) Punteggi più bassi negli affetti positivi di responsività materna e più alti nel conflitto interattivo si associano allo status psicopatologico materno e alle difficoltà autoregolative dei bambini
  • 14. Caso E, coppia madre-bambina; età della madre: 35 anni, età della bambina: 14 mesi E ha 14 mesi; viene ricoverata in un Reparto Pediatrico per un rifiuto alimentare accompagnato da scarso accrescimento per i valori normativi dell’età. Le indagini mediche, strumentali e la valutazione dello stato nutrizionale non riscontrano alcuna causa organica all’origine dello scarso accrescimento. Dall’ AAI della madre “…che sono stata abbandonata da mia madre, però lei poi all’età di 5 anni mi ha ripreso, mi ha riconosciuto e dopo si è sposata e io infatti ho tre nomi, uno me l’ha dato il giudice, poi mia madre mi ha dato il suo nome e poi l’uomo che ha sposato…”
  • 15. “…la mia vita l’inizio a ricordare dai 5 anni in su, dai 5 anni in su mi ricordo tutto, io… l’unica cosa che mi ricordo sono delle suore…mia madre è molto falsa io non riesco a parlare con lei, se le dico tu quando ero piccola mi facevi questo… non è vero io sono matta, le dico ma c’era nonna, era matta pure lei, siamo tutti matti, tutti bugiardi solo lei dice la verità…Si manesca perché mena, è stata manesca sempre …molto critica perché lei è perfetta, lei vede i difetti negli altri ma i suoi non li vede quindi è molto critica nel parlare… cioè mi fa ridere, a crepapelle…”