Disabilità orientamento e progetto di vita nella scuola inclusivaUniversità di CataniaRivista Annali n. 17/2018 del Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università di Catania
Disabilità orientamento e progetto di vita nella scuola inclusivaUniversità di CataniaRivista Annali n. 17/2018 del Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università di Catania
Osservazione e teoria psicoanaliticaInterazione ClinicaLa Qualità nella scuola non può essere considerata solo un caso particolare dell'applicazione di principi, metodi e strumenti elaborati in altri contesti produttivi, ma ...
’aٳٲԳٴAnnalisa Barbier, PhDATTACCAMENTO PATOLOGICO E FUNZIONALE:come nascono, come si costruiscono a quale tipologia di rapporto adulto portano i diversi stili di attaccamento
11 luglio agosto_2011_lorigine_dialogo_allattamentoCarmen GiordanoL'allattamento e la sua posizione dell'abbraccio, una posizione che consente la comunicazione madre-bambino, l'allattamento come origine del dialogo.
BimbiBelliMagazine, n. 11, Luglio 2011
1. Corso di Laurea in Scienze e Tecniche
Psicologiche
a.a. 2007/2008
PSICODINAMICA DELLO
SVILUPPO E DELLE
RELAZIONI FAMILIARI
Dott. ssa Silvia Pogliano
2. AREE DI INTERSEZIONE TRA PSICOANALISI
E PSICOLOGIA EVOLUTIVA
DAGLI ANNI ’70 SI È VERIFICATO UN GRANDE IMPULSO ALLA
RICERCA E ALLA COSTRUZIONE TEORICA NEL CAMPO DELLO
SVILUPPO INFANTILE
PARTE DELLA RICERCA SULLO SVILUPPO PRECOCE SI È
INDIRIZZATA VERSO L’ELABORAZIONE DI UN MODELLO TEORICO
IN GRADO DI INTEGRARE
STUDI
SULL’ATTACCAMENT
O
TRADIZIONE
PSICOANALITIC
A
PSICOLOGIA DEL
SÉ
DA QUESTO INCONTRO HA PRESO CORPO
LA INFANT RESEARCH
3. INFANT RESEARCH
RICERCA SULLO SVILUPPO INFANTILE
ORIENTATA DA QUESITI CLINICI
DIMOSTRA CHE LA SPINTA A CREARE E A MANTENERE
LE RELAZIONI È CENTRALE NEL BAMBINO E NELL’UOMO
E NE ORGANIZZA L’ESPERIENZA PSICOLOGICA
(Sameroff, Emde 1989; Stern 1985)
4. AREE DI INTERSEZIONE TRA PSICOANALISI E
PSICOLOGIA EVOLUTIVA
AREA INTERATTIVO-COGNITIVISTA (TREVARTHEN)
attenzione particolare allo studio delle forme primarie di relazione e
interazione che il bambino crea insieme alle proprie figure di
accudimento. Tale attenzione ha avuto un supporto
fondamentale nella tecnica di indagine microanalitica
delle
osservazione dei momenti interattivi
CONTRIBUTO DI STERN
studi che, per mezzo dell’indagine microanalitica,
hanno contribuito alla scoperta delle competenze
comunicative del neonato
CONTRIBUTO DI EMDE
propone un modello evolutivo in cui gli affetti svolgono
il ruolo di organizzatori della vita psichica del bambino
5. NUOVI METODI DI OSSERVAZIONE
PSICOLOGIA
EVOLUTIVA
METODI OSSERVATIVI
PIÙ SOFISTICATI
DATI
MICROANALITICI
INFANT OBSERVATION
(teoria psicoanalitica)
6. INFANT OBSERVATION
PARTICOLARE TECNICA DI OSSERVAZIONE,
MESSA A PUNTO DA E. BICK NEL
1949,
UTILIZZATA
INIZIALMENTE COME TRAINING FORMATIVO PER
GLI PSICOTERAPEUTI INFANTILI
È UN’OSSERVAZIONE PSICOANALITICA, CHE CONSIDERA
L’OSSERVATORE COME SOGGETTO E NON SOLO COME
STRUMENTO DI REGISTRAZIONE
7. SCOPI DELL’INFANT OBSERVATION
OSSERVARE
Lo sviluppo della relazione madre-bambino in famiglia.
L’osservatore ha come unica responsabilità quella di
mantenere una presenza non intrusiva e attenta
APPRENDERE
attraverso l’esperienza la peculiarità
e le modalità di una relazione
ESPERIRE
in diretta la fatica e gli ostacoli che la coppia madre-bambino
può incontrare nella costruzione della relazione
RICONOSCERE
attraverso il controtransfert la messa in atto dei meccanismi
difensivi che possono “inquinare i dati osservativi”
8. CARATTERISTICHE
DELL’ INFANT OBSERVATION
L’osservazione è all’interno del nucleo familiare
L’attenzione è focalizzata sulla relazione del
bambino con le figure parentali
Transfert e controtransfert servono come guida per
una comprensione profonda della situazione emotiva
dell’osservatore, della madre e del bambino
9. L’USO DELL’OSSERVAZIONE IN
RICERCHE RECENTI
TREVARTHEN (1984)
DALLO STUDIO DEL BAMBINO RICAVA DATI SULLA NATURA
E SULLA FUNZIONE DELLE EMOZIONI UMANE
L’obiettivo delle emozioni umane è quello di regolare le
rappresentazioni mentali
dei contatti
delle relazioni interpersonali
Le sue ricerche (1984,1998,2001,2005) sulle prime forme di
intersoggettività presuppongono una precoce relazionalità del
neonato (innate protoconversational readiness)
10. INTERSOGGETTIVITÀ PRIMARIA
Trevarthen alla fine degli anni Settanta individuò, nel
corso del primo anno di vita del bambino, l’emergere
di due differenti forme di intersoggettività
ԳٱDzٳپà primaria
(fino al quinto mese di vita)
ԳٱDzٳپà secondaria
(a partire dal quinto mese di vita)
11. ԳٱDzٳپà primaria
Il concetto di intersoggettività primaria sottende tutte le
forme di interazione che emergono dal secondo mese di
vita fino all’incirca al quinto → “dialoghi sociali” (scambi
di sguardi, sorrisi e vocalizzazioni)
Già nel corso dei primi giorni e delle prime settimane di vita il
neonato manifesta un orientamento preferenziale verso l’adulto,
in particolare la madre:
dimostra di riconoscerla quando si avvicina
concentra lo sguardo su di lei
mostra attenzione nei confronti dei movimenti del suo volto
dimostra interesse per la sua voce
12. TREVARTHEN
Per Trevarthen esiste nel neonato una motivazione
innata a comunicare che si esprime già nel secondo
mese di vita unitamente alla consapevolezza
dell’altro come interlocutore → nel neonato, fin
dalla nascita, è presente una motivazione al dialogo
e un interlocutore come “altro virtuale”
Non è semplicemente la madre che
attribuisce significato e intenzionalità ai primi
segnali comunicativi del bambino
inserendosi nel flusso della sue attività
(Schaffer), ma è il bambino stesso a essere
un competente e precoce comunicatore
(Riva Crugnola, p. 5)
13. TREVARTHEN
Dopo la sesta settimana il neonato è
emotivamente coerente e capace di attivare
una comunicazione giocosa in stato di
veglia
C’è nel bambino una tendenza innata ad ingaggiare
relazioni (companionship) differente dai segnali di
attaccamento che egli rivolge all’adulto per ottenere
protezione e supporto alla base della costruzione dei
legami di attaccamento (Trevarthen, 2001; Riva Crugnola p.7)
14. La madre o il caregiver tende a rispecchiare la mimica
espressiva del neonato, in particolare l’espressione di emozioni
positive attraverso l’imitazione drammatizzata ed enfatizzata dei
suoi primi atti comunicativi (Stern, 1985)
Per Trevarthen (1998,2001) il bambino possiede competenze di tipo
percettivo in base alle quali è in grado di discriminare la voce
della madre
L’interazione madre-bambino già nei primi mesi è
regolata da schematizzazioni della reciproca
relazione
che permettono al singolo partner di predire e
anticipare il comportamento dell’altro
15. Nei primi mesi gli episodi comunicativi tra bambino e caregiver
hanno durata breve, governata da cicli regolari e prevedibili
Le capacità comunicative che il neonato manifesta
precocemente possono svilupparsi e trovare una più articolata
coerenza attraverso l’incontro con un partner intuitivamente
responsivo
Tali capacità si consoliderebbero
intorno alle sei settimane di vita del
bambino
16. Secondo alcune ricerche di Haviland e Lelwica
(1987), il bambino si dimostra capace di riconoscere
le emozioni della madre, discriminandone le
espressioni :
i bambini di 10 settimane rispondono con il sorriso
alle espressioni di gioia della madre
reagiscono con l’aggrottamento delle sopracciglia
a quelle di collera
manifestano disagio (sbavando con la bocca,
masticando a vuoto,…), a fronte di quelle di
tristezza
17. L’uso della comunicazione emotiva nei
bambini piccoli appare fondamentale
Non solo per sollecitare le azioni di
cura e accudimento da parte
dell’adulto
Ma anche per costruire con lui un
coinvolgimento positivo (funzione
metacomunicativa, riferita al rapporto di
sé con l’altro)
18. Verso i sei mesi compaiono interazioni giocose con
l’adulto caratterizzate da elementi di scherzo è
“canzonatura” (teasing game) → il bambino si
esibisce, “fa il clown”, prendendosi in giro con smorfie
ridicole, si muove con esagerazione in modo
istrionico, allestendo dei veri e propri spettacolini.
GIOCHI PROTOSIMBOLICI
Centrati sull’esibizione consapevole e
ritualizzata di sé; implicano una modalità
comunicativa caratterizzata da una maggiore
consapevolezza sociale, relativa a una
maggiore comprensione di sé in rapporto alle
reazioni dell’altro
19. ԳٱDzٳپà secondaria
A partire dal quinto mese si assiste a una frattura nella
relazione diadica madre-bambino fondata sulla comunicazione
faccia-a-faccia (inizia l’interesse del bambino a esplorare
l’ambiente circostante e diminuisce l’interesse per la
comunicazione con la madre)
(Riva Crugnola, p. 16-17)
Fino ai nove mesi il bambino non è ancora in grado di
coordinare la sua interazione con la madre e
quella con gli oggetti
20. Trevarthen (1993), in posizione radicale rispetto agli altri
autori, sottolinea come la consapevolezza dell’altro sia
presente nel bambino già dalle
prime settimane di vita
“Già alla nascita (i bambini) sono in grado di
partecipare a uno scambio dinamico di stati
mentali che ha un’organizzazione e una
motivazione conversazionale, ed è
potenzialmente una condivisione di
intenzione e conoscenza”
(Trevarthen, 1993, p.187)
21. L’USO DELL’OSSERVAZIONE IN
RICERCHE RECENTI
STERN (1977-1985)
Le sue ricerche si collocano nell’area
dell’esperienza del senso di sé che
sorgerebbe nei primi mesi di vita, legato
in un primo tempo all’attività percettiva
del neonato e in seguito alla
condivisione degli stati emotivi con la
madre
22. L’USO DELL’OSSERVAZIONE IN
RICERCHE RECENTI
STERN (1977-1985)
PROPONE UN INTERFACCIA TRA
BAMBINO CLINICO
RICOSTRUITO ATTRAVERSO I
RICORDI NEL CORSO DELLA
PSICOTERAPIA PSICOANALITICA
PROSPETTIVA
RETROGRADA
VISIONE ADULTOMORFA
DELLA PRIMA INFANZIA
BAMBINO
OSSERVATO
PROSPETTIVA
ANTEROGRADA
PER COMPRENDERE LO
SVILUPPO NORMALE E
SPIEGARE L’ONTOGENESI DI
FORME PATOLOGICHE
23. DANIEL STERN
INTENZIONI
BAMBINO CAPACE DI
DISCRIMINAZIONI
ATTACCAMENTO
RIFERIMENTI SELETTIVI
DOTATO DI CAPACITÀ PERCETTIVE COMPLESSE
SENSIBILE A QUANTO PRESCRIVONO LE INTERAZIONI
CHE REGOLANO GLI SCAMBI CON LA FIGURA DI
ACCUDIMENTO
24. BAMBINO COME PARTE DI UN
SISTEMA INTERAZIONALE
VISTO COME UN SISTEMA BIOLOGICAMENTE
STRUTTURATO ATTRAVERSO MECCANISMI DI
AUTOREGOLAZIONE ORIENTATI VERSO
CONSERVAZIONE
DI UN EQUILIBRIO
DINAMICO
SVILUPPO DI UNA
ORGANIZZAZIONE
DI COMPLESSITÀ
CRESCENTE
25. IL NEONATO NON CERCA DI LIBERARSI
DALL’ECCITAZIONE AL FINE DI RAGGIUNGERE UN
EQUILIBRIO INTERNO, MA FIN DALLA NASCITA È
DISPONIBILE ALLA STIMOLAZIONE
NECESSARIA PER FORNIRE
LA MATERIA PRIMA PER LA
MATURAZIONE DEI
PROCESSI
SENSO-MOTORI
PERCETTIVI
COGNITIVI
26. DANIEL STERN
AFFERMA CHE LA SUA TEORIA HA
MOLTO IN COMUNE CON
TEORIA PSICOANALITICA TRADIZIONALE
TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
MA NE DIFFERISCE PERCHÉ ASSUME
COME PRINCIPIO ORGANIZZATORE IL
SENSO
SOGGETTIVO DEL SÈ
27. DANIEL STERN
LE CAPACITÀ DEL BAMBINO SONO ORGANIZZATE
E TRASFORMATE IN PROSPETTIVE SOGGETTIVE
ORGANIZZANTI IL SENSO DEL SÉ E DELL’ALTRO
IL SENSO DEL SÉ VIENE VISTO COME
UN’ESPERIENZA SOGGETTIVA
ORGANIZZANTE
28. DANIEL STERN
Ognuno dei sensi del Sé emerge in congiunzione con le
nuove capacità che accompagnano i cambiamenti dello
sviluppo infantile precoce
Pur emergendo in momenti
SENSI DEL SÈ
successivi, Stern ritiene che operino
contemporaneamente per tutto il
corso della vita
Rappresentano forme diverse e specifiche
di fare esperienza di Sé e delle relazioni
interpersonali
29. Innovazioni di Stern
Contesta radicalmente la nozione di fasi evolutive collegate a
specifiche entità cliniche (es. oralità, attaccamento, autonomia,
indipendenza, fiducia).
Preferisce parlare di aspetti che permangono lungo l’intero arco
della vita e che operano in ogni momento dello sviluppo.
Molti “dogmi” della psicoanalisi sono applicabili solo
dopo la comparsa del linguaggio: la teoria
psicoanalitica non viene smentita, però Stern ritiene
che non funzioni troppo bene nel primo periodo della
vita (non lo riesce a descrivere adeguatamente)
30. L’analisi di
paralleli:
Stern
si
muove
su
due
livelli
1) Critica la concettualizzazione e la terminologia utilizzate dalla
Mahler che a suo parere legano in maniera impropria condizioni
patologiche successive, come l’autismo e la simbiosi, a periodi
evolutivi normali, riflettendo quella che egli considera una visione
patomorfica e retrospettiva dello sviluppo.
2) Inverte le tappe di questo processo proponendo un modello che
sostiene fondamentalmente la precoce capacità del bambino di
sperimentare l’emergere di un’organizzazione del Sé fin dai primi
mesi di vita e quindi un’embrionale capacità di differenziazione tra il
Sé e l’altro.
31. DANIEL STERN
SENSI DEL SÈ
SENSO DEL SÈ VERBALE
SENSO DEL SÈ SOGGETTIVO
SENSO DEL SÈ NUCLEARE
SENSO DEL SÈ EMERGENTE
0-2
2-6
7-15
(Età – mesi)
15-18
32. DANIEL STERN
SENSO DEL SÉ
EMERGENTE
CAMPO DI RELAZIONE
EMERGENTE
Dalla nascita fino al 2° mese di vita
avviene un processo nel quale il
bambino si applica attivamente nel
porre in relazione tra loro differenti
esperienze, grazie anche alle
capacità innate (il corpo acquisisce
dati sensoriali )
Per esempio, i bambini sono capaci di
percepire una forma toccando un
oggetto; ciò significa che essi sanno
come deve essere l’oggetto senza mai
averlo visto prima
33. DANIEL STERN
SENSO DEL SÉ
NUCLEARE
CAMPO DI RELAZIONE
NUCLEARE
Si verifica tra il 2° e il 6° mese di
vita, quando il bambino avverte
che lui e la madre sono entità
fisiche separate, agenti distinti con
distinte esperienze affettive e storie
separate
Il Sè fisico viene sperimentato come
una entità fisica unitaria dotata di una
volontà, di una vita affettiva e di una
storia proprie. Esso opera al di fuori
della consapevolezza: viene
considerato implicito ed è difficilmente
verbalizzabile
34. DANIEL STERN
SENSO DEL SÉ
NUCLEARE
CAMPO DI RELAZIONE
NUCLEARE
Il bambino esperisce un senso di
coesione relativo alle sensazioni
trasmesse dal corpo.
Il bambino acquisisce il senso di
continuità del Sé trasversale nel tempo,
nella forma di memoria dell’esperienza
di sé
35. DANIEL STERN
SENSO DEL SÉ
SOGGETTIVO
CAMPO DI RELAZIONE
SOGGETTIVO
Fra il 7° e il 9°mese di vita i bambini
“scoprono” che esistono altre menti
oltre alla loro, rendendo possibile
un’intersoggettività tra bambino e
genitore (condivisione delle
intenzioni)
Il bambino acquisisce la capacità di
avere un oggetto comune di
attenzione, di attribuire agli altri
intenzioni e motivazioni e di percepirle
correttamente,di attribuire agli altri
degli stati d’animo e capire se sono o
no conformi ai propri
36. DANIEL STERN
SENSO DEL SÉ
VERBALE
CAMPO DI RELAZIONE
VERBALE
Tra il 15° e il 18° mese il bambino
possiede una riserva personale di
esperienza e di conoscenza del mondo.
Questa conoscenza può essere
oggettivata ed espressa in simboli che
divengono veicoli di significati da
comunicare attraverso il linguaggio
Questo nuovo senso del Sé opera nel
campo della relazione verbale e poggia su
nuove capacità: la capacità di oggettivare
il Sé, di essere autoriflessivi, di
comprendere e produrre il linguaggio
37. DANIEL STERN
SENSO DEL SÉ
NARRATIVO
CAMPO DI RELAZIONE
NARRATIVO
Il Sé viene definito dalle narrative
autobiografiche, che comunque includono
(e sono condizionate da) alcune
caratteristiche dei precedenti stadi di
sviluppo del Sé.
La ricostruzione in forma narrativa delle
esperienze precedentemente vissute
nell’ambito degli altri sensi del Sé ha
probabilmente un effetto organizzante
nuovo e trasformativo sull’esperienza
stessa e sulla sua rappresentazione.
38. DANIEL STERN
GLI STUDI DI STERN MOSTRANO COME LO
SVILUPPO DELL’ORGANIZZAZIONE E DELLA
REGOLAZIONE DELL’ESPERIENZA AVVENGA
ALL’INTERNO DI UN
SISTEMA
RECIPROCA
DI INFLUENZA
MADRE-BAMBINO
ALL’INTERNO DI TALE SISTEMA IL BAMBINO
ACQUISISCE UNA PROPRIA CAPACITÀ DI
REGOLAZIONE DEL SÈ E FORMA LE BASI DELLA
PROPRIA PERSONALITÀ
39. DANIEL STERN
LA STIMOLAZIONE CHE IL BAMBINO RICEVE NEL
RAPPORTO CON LA MADRE GLI CONSENTE DI
ELABORARE
SCHEMI MENTALI
DEGLI OGGETTI
SONO IL RISULTATO DELL’ESPERIENZA
SENSO- MOTORIA
SENSO- PERCETTIVA
RELATIVA ALL’OGGETTO STESSO
40. DANIEL STERN
I BAMBINI UTILIZZANO QUESTE CAPACITÀ
RAPPRESENTATIVE ALL’INTERNO DI
CONTESTI INTERATTIVI
SVILUPPANO ASPETTATIVE DEI
PRIMI EVENTI SOCIALI
SI FORMA COSÌ LA RAPPRESENTAZIONE DELLA STRUTTURA
INTERATTIVA, CIOÈ DEL MODELLO DI UNA REGOLAZIONE
RECIPROCA ORGANIZZATO SECONDO PARAMETRI
TEMPORALI
SPAZIALI
AFFETTIVI
41. DALLA RESPONSIVITÀ MATERNA
ALLA SINTONIZZAZIONE
Grande attenzione al comportamento materno nel processo di
regolazione affettiva
Tale meccanismo regolativo si struttura all’interno di una matrice
relazionale ed è dipendente dalla capacità della madre di
strutturare il repertorio di espressioni emotive e comunicative
infantili
L’ATTENZIONE NON VIENE POSTA
UNICAMENTE SUL BAMBINO, MA SULLA
RELAZIONE MADRE - BAMBINO
42. DALLA RESPONSIVITÀ MATERNA
ALLA SINTONIZZAZIONE
PRECOCE ATTIVITÀ
COMUNICATIVA DEL
BAMBINO
secondo la definizione data
dalla teoria
dell’attaccamento
RISPOSTA PRONTA E
ADEGUATA AI BISOGNI DEL
BAMBINO
ha portato
A UN RIPENSAMENTO
RELATIVAMENTE AL RUOLO
SVOLTO DAL CAREGIVER
RIGUARDO LA
RESPONSIVITA’
AI SEGNALI DEL LATTANTE
43. DALLA RESPONSIVITÀ MATERNA
ALLA SINTONIZZAZIONE
CONCETTO DI RESPONSIVITÀ RIPRESO E INTEGRATO
NEL COSTRUTTO PIÙ AMPIO DI
AFFECT ATTUNEMENT (Stern,
1985)
CAPACITÀ MATERNA DI ANDARE OLTRE LA
SEMPLICE IMITAZIONE DEL COMPORTAMENTO
INFANTILE E DI SINTONIZZARSI CONDIVIDENDO
LO STATO EMOTIVO DEL BAMBINO
44. DALLA RESPONSIVITÀ MATERNA
ALLA SINTONIZZAZIONE
Attraverso la sintonizzazione emotiva la madre non solo
rispecchia il comportamento espressivo e motorio del bambino
(primo semestre di vita), ma lo ritraduce in differenti modalità
espressive.
Sulla base di questo scambio il bambino impara a
modulare le proprie risposte comportamentali ed emotive,
come se agisse all’unisono con la madre e facessero
parte di un loro mondo, di uno spazio sentito (companion
space, Brazelton, 1998).
45. DALLA RESPONSIVITÀ MATERNA
ALLA SINTONIZZAZIONE
Il punto di vista soggettivo del bambino in interazione con il
caregiver è la base per la concettualizzazione degli
SCHEMI-DI-ESSERE-CON
Rappresentazioni che contengono un protocopione con un
agente, un’azione, degli strumenti per compiere l’azione e
un contesto
(Fonagy & Target, p. 325 esempio madre depressa)
46. RESPONSIVITÀ, EMOZIONI E FUNZIONI
PARENTALI NELLA TRASMISSIONE
DELL’ATTACCAMENTO
La responsività in senso comportamentale rappresenta la
risposta contingente del genitore ai bisogni del bambino
In questa accezione la responsività appare solo
parzialmente responsabile dell’associazione tra i
modelli di attaccamento genitoriali e tipo di
attaccamento dei bambini
47. Per Haft e Slade (1989) la responsività è la capacità della
madre di condividere in modo sintonico (Stern, 1985) gli affetti
positivi e negativi del proprio bambino. Esiste una correlazione
tra i modelli operativi interni della madre circa l’attaccamento e
la sua capacità di sintonizzarsi con il figlio
Per Emde il ruolo della madre è quello di “validare” le emozioni
del bambino, in particolare quelle positive, attraverso il loro
rispecchiamento e la loro condivisione, fornendogli in questo
modo la base per la costruzione di fonti interne di fiducia
48. Belsky (1991,1997), rivela come la sicurezza dei pattern di
attaccamento del bambino sia collegata alla capacità della
madre di effettuare scambi positivi con lui nei primi anni di
vita e come questo si correli al grado di coinvolgimento del
padre nella relazione con la madre
Lo scarso coinvolgimento del padre sembra determinare un
aumento degli scambi affettivi negativi tra madre e bambino
49. I padri tendono a improntare la loro interazione
con il figlio nel corso del primo anno di vita
attraverso una modalità maggiormente ludica,
centrata sul contatto fisico, e caratterizzata da
un livello di arousal più elevato, con picchi di
attivazione positiva e passaggi repentini a
situazioni di pausa rispetto al livello di
attivazione più regolare e prevedibile
dell’interazione materna
50. RESPONSIVITÀ E FUNZIONE
RIFLESSIVA
Fonagy (1992,1995,1999), muovendosi congiuntamente nell’ambito
dell’orientamento psicoanalitico e della teoria dell’attaccamento,
ha dato un contributo originale all’ipotesi relativa alla
trasmissione intergenerazionale dei modelli di attaccamento
La trasmissione intergenerazionale coinvolge anche le
modalità difensive o elaborative che il genitore adotta
verso le proprie esperienze emotive legate alle relazioni
con le figure parentali della propria infanzia
51. Una madre con uno stato della mente di tipo distanziante
trasmetterebbe al bambino, attraverso la mancata
responsività ai suoi bisogni, l’incapacità di entrare in
contatto con i propri affetti, incapacità maturata nel corso
delle sue relazioni infantili con le figure genitoriali,
contribuendo alla costruzione del bambino stesso di un
pattern attaccamento insicuro evitante
Le strategie difensive adottate dai
genitori nei confronti del bambino hanno
nel contempo un influsso anche sulle
modalità che questi ha di rappresentarsi
la sua relazione con loro
52. Nel caso di genitori distanzianti o preoccupanti, le
rappresentazioni di sé e dell’altro che il bambino inizia a
costruire insieme ai modelli operativi interni di
attaccamento possono essere soggette a processi
di restrizione o di distorsione dell’informazione, generando
modelli multipli ed incoerenti di sé e delle figure di
attaccamento
Fonagy ha ipotizzato che la responsività del genitore
si fondi su una funzione riflessiva del Sé
attraverso la quale egli costituisce il bambino, fin dai
suoi primi mesi, come oggetto di stati mentali, quali
pensieri, desideri, emozioni, attribuendo al figlio
appena nato una “teoria della mente” corrispondente
alla propria
53. Fonagy approfondisce quegli aspetti della funzione della
madre che Bion e Winnicott, nell’ambito dell’orientamento
psicoanalitico, hanno definito capacità di contenimento e di
rèverie
Bion (1962) la definisce come la duplice capacità della
madre di contenere mentalmente ogni emozione di segno
positivo o negativo, che il neonato le trasmette, nonché di
restituirgliele trasformate ed elaborate.
Se la madre non è in grado di assolvere a tale funzione,
soprattutto nel caso di emozioni negative, il neonato può
essere sommerso da emozioni molto intense,
sperimentando in condizioni estreme un
terrore senza nome.
nome
54. Secondo Winnicott (1965), l’incapacità della madre di
funzionare in modo sufficientemente buono, soddisfacendo e
fornendo un contenimento ai bisogni emotivi del figlio, può
provocare nel bambino ansie “impensabili”, quali il
sentimento di andare in pezzi, di essere senza orientamento,
di precipitare senza limiti, influenzando i suoi processi di
costruzione e integrazione dei primi nuclei del sé.
55. Secondo Fonagy, il genitore con un modello
operativo interno di tipo sicuro dispiega una funzione
riflessiva nei confronti del figlio, contribuendo a
renderlo capace di esplorare senza deformazioni e
restrizioni i propri stati mentali.
Un genitore, invece, con un modello di attaccamento
di tipo insicuro, non rappresentandosi il bambino
compiutamente come un soggetto di stati mentali,
non sarebbe in grado di tollerarne le emozioni,
costringendolo in questo modo a sacrificarne
l’espressione pur di mantenere il proprio legame di
attaccamento.
56. La trasmissione dei modelli di attaccamento ha come
mediatore privilegiato la funzione riflessiva del Sé del
genitore.
Il bambino a contatto con un genitore con un’adeguata
funzione riflessiva non solo può interiorizzare a livello
intrapsichico un’istanza parentale che è in grado di
contenere e trasformare i suoi stati emotivi, ma che è
anche in grado di “pensarlo” e quindi di rifletterne
l’immagine come soggetto di stati mentali.
Il bambino, in questo modo, può trovare se stesso
nell’altro.
57. La funzione riflessiva del Sé della madre o del padre diventa,
quindi, un fattore protettivo per la trasmissione della
sicurezza dell’attaccamento, anche nel caso in cui il bambino
si trovi in contesti familiari “a rischio”, implicanti vari tipi di
deprivazione sociale e affettiva.
Fonagy, nel 1999, evidenzia che i MOI sicuri o
insicuri non sono acquisizioni definitive nella vita
mentale infantile e adulta, ma stati della mente
suscettibili di continue oscillazioni.
Il caregiver ha la funzione di agevolare nel bambino il
passaggio da uno stato mentale di base (inizialmente
insicuro) a una prevalenza di stati sicuri, che gli
permetteranno l’esplorazione dell’ambiente circostante e
del proprio mondo interno.